La sede di Mediaset a Cologno Monzese (foto LaPresse)

La tv generalista non è strategica, ma “papirologia”. Appunti per il dopo

Maurizio Crippa

Il futuro di Mediaset (e Rai) visto da Aldo Grasso. I contenuti

Perdere il broadcasting. La parola magica in questi giorni attorno a Mediaset è “strategica”. In senso finanziario e industriale è chiara. Ma sotto il profilo della centralità comunicativa e/o culturale? Il Biscione e la Rai, prese all’ingrosso, sono le due maggiori aziende culturali del paese e lo rimarranno ancora per un certo tempo, in termini di pubblico e fatturati. Ma tra qualche anno (dieci, per gli ottimisti) la tv generalista avrà ancora la sua strategicità di diffusione “broad” di contenuti per una platea universale? I numeri sono noti a tutti i player: la crescita esponenziale dei servizi videostreaming, delle piattaforme che producono-trasmettono contenuti per il video on demand, sul web e sul mobile è cresciuta nel mondo dell’85 per cento fra 2010 e 2016. L’Italia arriva tardi ma il mercato galoppa. In più c’è da considerare l’età media del pubblico da tv generalista, over 50 tendenza 60. I giovani dai 30 in giù, la tv non la guardano davvero più. Per quanto resteranno socialmente strategiche Mediaset e Rai? E come possono sopravvivere? Aldo Grasso, critico televisivo, docente e direttore del Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi della Cattolica, sposta il mirino: “Premesso che i milioni di ascolti e di incassi li fanno ancora i media maistream, e continueranno a farli – con lo sport, le dirette dei grandi eventi – bisogna osservare che cosa sono o stanno diventando quelli che chiamiamo i new media, i network e le piattaforme digitali. Il nuovo parte da un modello antico: assomigliano sempre più alle case editrici. Il futuro sarà il Catalogo. L’offerta di contenuti che metti a disposizione”.

Dunque, non quanta gente raggiungi “in chiaro”, o in abbonamento, ma la grandezza della libreria. “Questo significa che la necessità delle tv generaliste, e in generale tradizionali, è quella di puntare sui contenuti. Mediaset rischia di perdere strategicità perché in questi anni ha investito pochissimo in contenuti, e ha abdicato all’informazione. Mediaset ha un modello manageriale e comunicativo vecchio, anni ’90, e l’errore con Mediaset Premium è stato non sperimentare nient’altro di nuovo: come invece, almeno in parte, ha fatto Sky, che infatti oggi ha un bouquet di offerte, alcune serie come Gomorra, vendibili all’estero. Sul fronte Rai, negli ultimi anni, si è fatto qualcosina di più per mettersi al passo coi tempi, anche come linguaggi, ma il problema resta: per sopravvivere alla rivoluzione bisogna cambiare, e il punto di forza sono i contenuti”. Resta che il modello televisivo, quello “la televisùn la g’ha una forsa de leòn”, che abbiamo conosciuto è destinato a perdere centralità. E forse nemmeno trasformarsi in un editore può bastare. “Sì, ma è la storia dei media, che segue l’evoluzione tecnologica e sociale. Dobbiamo saperlo: il teatro, la radio, il cinema hanno avuto periodi in cui rappresentavano la centralità della comunicazione sociale e culturale. La tv lo è stata per decenni, in futuro non lo sarà più. Dunque si deve rimodellare. Tenendo conto che una base di pubblico generalista rimarrà, non sparisce del tutto”.

  

A proposito: l’età degli spettatori indica un mercato saturo e in declino. “Penso all’università: vent’anni fa gli studenti volevano solo commentare quel che vedevano in tv. Oggi arrivano e nessuno la sera prima ha visto la tv. Al massimo ‘X Factor’. Sa cosa mi chiedono? Di vedere i programmi degli anni ’60 o ’70. Com’erano fatti, come ci si vestiva. Per loro la storia della televisione è come la papirologia”. Ma trasformarsi in “media company” – la mission che la Rai s’è data e Mediaset non può evitare – cioè produrre contenuti ed essere attivi su piattaforme diverse, è la strada giusta? “Certo, ed è l’unica, e devono muoversi. La cosa più bella fatta dalla Rai di Campo Dall’Orto – e paradossalmente la meno pubblicizzata – è ‘Raiplay’, il servizio per rivedere i programmi sul tablet o il pc. Che ha una qualità superiore ai concorrenti. Ma torniamo all’inizio: va riempito di contenuti, di qualità”. Strategie. 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"