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Tutte le guerre alimentari che mettono in pericolo i cenoni di Natale di mezzo mondo

Maurizio Stefanini

Dalla querelle sul panettone in Italia a quella per il torrone a base di melanzane in Spagna, passando per il foie gras francese vietato per volontà degli animalisti, fino all’effetto Brexit sul Christmas Pudding britannico

“Per il nostro panettone noi di Motta avremmo potuto usare tofu tritato, papaya, seitan, alga essiccata, e cuocerlo per trenta secondi nel microonde. Invece no! Lo abbiamo preparato seguendo la nostra ricetta, originale dal 1919. Da sempre”. Con coda: “E da oggi anche con bacche di goji! Scherzo…”. E così il Natale del 2016 è passato alla storia come quello della feroce arrabbiatura dei vegani che, in un contro-spot violento, hanno descritto gli ingredienti del dolce più tipico della tradizione natalizia italiana come “mestruo di pollo”, “glutine anticeliaco”, e “cazzo di canditi che fanno cacare a tutti”. Giudizio probabilmente opinabile e qualunque indagine di mercato dimostrerebbe che tra canditi e tofu la maggior parte degli italiani preferisce i primi. Ma anche se così non fosse, dal momento che un vegano doc un panettone non lo mangerebbe mai, la Saatchi&Saatchi Italia – col suo spot da 16 milioni di euro – ha avuto buon gioco nel titillare la crescente irritazione dei consumatori tradizionali verso quella che è percepita come l’aggressività di una setta.

 

Questo Natale, invece di essere occasione di pace per uomini e mangiatori di buona volontà, rischia di essere piuttosto il periodo prediletto per guerre alimentari. Non solo in Italia. In Spagna, ad esempio, non c’è la tradizione del panettone, ma quella del torrone. Anzi, secondo la maggior parte degli storici dell’alimentazione, proprio la Spagna attraverso i possedimenti aragonesi di Sardegna e Sicilia avrebbe fatto da ponte per l’introduzione in Italia di questo dolce che oggi è indissolubilmente associato alla più importante festa cristiana, ma che in realtà fu inventato dai musulmani nordafricani. Ebbene, se in Italia il panettone è andato all’attacco dei vegani, in Spagna è stata la Asociación Española de Fabricantes de Vegetales Congelados (Asevec) ad andare all’attacco del torrone, proponendone una incredibile versione con broccoli e carote. Sembra un prodotto vegano, ma in realtà non lo è: tra gli ingredienti c’è anche il prosciutto, più precisamente il pregiato jamón iberico. L’Asevec dunque non vuole vietare la carne, ma spiegare che comunque consumare sempre tante verdure fa bene. Soprattutto alle loro tasche, potrebbe essere un commento maligno, ma tant’è.

 

Più simile al panettone è il Christmas Pudding inglese. Tra gli ingredienti ci sono uova, mandorle, frutta candita, rum e spezie, e come forma e colore può evocare qualche altro dolce natalizio italiano tipo il parrozzo abruzzese (che fu inventato nel 1920 da un pasticcere pescarese ed ebbe come suo primo assaggiatore nientemeno che Gabriele D’Annunzio). Ma anche gustare il Christmas Pudding quest’anno, più che occasione di convivialità, è diventato occasione di polemiche, per via del tremendo rincaro seguito alla Brexit. Retaggio di un paese che fino a poco tempo fa era un impero esteso su un quarto del globo, il dolce di Natale britannico è fatto soprattutto con materie prime importate, e per il deprezzamento della sterlina seguito all’esito del referendum sulla permanenza nell’Unione europea ha finito per rincarare del 21 per cento.

Ma se Londra piange, Parigi non ride. Di rigore nel pranzo di Natale francese è entrato infatti il foie gras. La tradizione di far ingrossare il fegato di oche e anatre con l’alimentazione forzata risale addirittura alla gastronomia dell’antica Roma, in cui i volatili erano nutriti con fichi. Il “Iecur ficatum”, cioè fegato ai fichi, era una locuzione talmente diffusa che nelle lingue neo-latine moderne fegato italiano, foie francese, higado spagnolo, fígado portoghese e ficat romeno non derivano da iecur, ma proprio da ficatum. Ma oggi la produzione di fois gras è contestata dagli animalisti, che sono riusciti ad ottenerne il divieto in Italia, Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Svezia, Svizzera, Paesi Bassi, sei dei nove Länder austriaci, Argentina, Israele, California, città di Chicago. Insomma, la produzione francese ha rappresentato 19.992 delle 27.116 tonnellate prodotte nel 2011, con unici altri fornitori di rilievo in Bulgaria (2.660 tonnellate), l’Ungheria (2.450), la Spagna (850) e la Cina (200). Ma proprio in Francia negli allevamenti di oche e anatre da foie gras sono appena stati segnalati ben 19 focolai di influenza aviaria. Il ministero dell’Agricoltura ha già annunciato che quest’anno la Francia non otterrà il via libera per l’export di foie gras fuori dai confini dell’Ue, e anche le tavole dei cittadini transalpini sono a rischio.

Ma quello che per i francesi è un incubo a proposito del fois gras è già una dura realtà per i russi a proposito del caviale, che è il loro must natalizio. Dal 2006, infatti, dopo decenni di eccessiva pesca nel Caspio e nel Mar Nero, la produzione di caviale da uova di storione selvatico è stata messa al bando al livello internazionale per evitarne l’estinzione, in modo che oggi i connazionali di Putin devono importarlo. I vegani hanno inventato alternative a base di melanzane, alghe e anche finger lime, un agrume australiano che si è acclimatato meravigliosamente bene nel Messinese. Ma chi vuole il prodotto originale deve oggi affidarsi all’acquacultura, grazie alla quale un po’ a sorpresa è diventata proprio l’Italia il primo produttore mondiale, con una quota di produzione pari a un quinto del totale planetario: 20 tonnellate.

E anche alcuni capisaldi del cenone natalizio statunitense sono a rischio. Le noci pecan, ad esempio, dal 2013 hanno iniziato a rincarare perché sono diventate di moda tra i cinesi che ne fanno incetta. O lo sciroppo d’acero, che per i tre quarti è prodotto nel Québec, dove però da un po’ di tempo è in atto una sorta di guerra tra Fédération des producteurs acéricoles du Québec (Fpaq) e molti produttori indipendenti che ne contestano il monopolio e il diritto a imporre quote di produzione.

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