Se la bufala arriva dai paladini della verità
New York Times ha condotto una battaglia campale contro l’informazione farlocca. Eppure una notizia falsa è sfuggita anche a loro
Il New York Times è uno dei più celebri giornali al mondo, un impero dell’informazione che è riuscito meglio di altri a posizionarsi nell’ambiente digitale. In questo 2016 in cui la menzogna, concetto antico, è diventata una moda virale, tra fake news e post-truth, il NYT ha condotto una battaglia campale contro l’informazione farlocca. I suoi giornalisti lo scorso Novembre scoperchiavano la bugia degli autobus organizzati carichi di dimostranti anti-Trump. Più di recente hanno fatto una visita a Snopes, un sito di debunking. Il quotidiano ha fatto di credibilità, sostenibilità delle fonti e deontologia i suoi capisaldi.
Si sono offesi non poco nel palazzo disegnato da Renzo Piano, quando Rush Limbaugh, guru del giornalismo repubblicano, ha accusato i media tradizionali di veicolare fake news.
Eppure al New York Times dovrebbero farsi un piccolo esame di coscienza perché una notizia falsa è sfuggita anche a loro. Ne parla Yair Rosenberg, sul magazine ebraico americano Tablet. Il 20 Novembre l’Organizzazione Sionista Americana (ZOA) ha organizzato il suo gala annuale, invitando Stephen Bannon, ex direttore di Breitbart, spin doctor di Trump e ideologo dell’alt-right. Nel corso della cena ha preso la parola Alan Dershowitz, celebre docente di legge ad Harvard. Nel suo discorso ha attaccato Bannon, sottolineando come dietro all’avvicinamento strumentale dell’ultradestra agli ebrei ed Israele rimanessero profonde tracce di islamofobia e negazione dei diritti civili. Ha citato direttamente Marine Le Pen e Geert Wilders, ma il suo riferimento più chiaro era al braccio destro di Trump, che ha disertato la serata. Dershowitz aveva già spiegato la propria posizione in maniera più completa tre giorni prima, in un editoriale su Haaretz intitolato “Bannon non è antisemita. Ma è anti-musulmano, contro i diritti delle donne e bigotto”.
Una visione completamente ribaltata da Omri Boehm, autore dell’articolo “Il Sionismo Liberale nell’Era di Trump” sul blog “The Stone”, ospitato proprio dal New York Times. Secondo l’autore, Dershowitz non avrebbe attaccato Bannon ma i suoi oppositori. Gli stessi oppositori di cui il giurista ha detto, intervistato dal New Yorker, “una parte di me vorrebbe essere lì fuori con loro”. Insomma, non un semplice scivolone, un banale refuso, ma una menzogna vera e propria che ribalta completamente l’opinione di un uomo. Si dirà che i quotidiani non possono controllare tutto quello che scrivono i loro blogger (cfr Odifreddi e le camere a gas su Repubblica), ma non è questo il modo in cui si propagano le notizie false? Più che un’incomprensione, nel ribaltamento della realtà di Boehm, c’è un attacco diretto a Derhowitz, teso probabilmente a rappresentare i sionisti come razzisti che vanno a braccetto con l’ultradestra. Boehm si è difeso su Twitter, dicendo che non si riferiva al discorso tenuto al gala di ZOA, tuttavia l’attacco all’avvocato sionista è arrivato un mese dopo il suo articolo su Bannon, in cui la sua posizione era cristallina.
Il ribaltamento della realtà non viene da qualche populista in cerca di click e voti, ma dai paladini della deontologia, dai maestrini col dito alzato in difesa della democrazia e della verità.
Non è la prima volta che la piccola rivista ebraica sbugiarda i giganti dell’editoria liberal: nel 2012 un articolo di Micheal C. Moynihan sempre per il Tablet, portò al licenziamento di Jonah Lehrer dal New Yorker: il tapino si era inventato di sana pianta numerose citazioni sulla sua biografia di Bob Dylan.
“Non esiste lente abbastanza perfetta da ritrarre la realtà senza distorcerla a suo piacimento” scriveva Galileo nel Sidereus Nuncius. Una frase tanto vera quanto attuale, se solo non me la fossi inventata.