La gloria dei Magi
La città era “colorata come la santa Gerusalemme”, centinaia di uomini in corteo dall’alba al tramonto. Così era la solenne Epifania a Firenze nel Quattrocento
Chi erano i magòi ap’anatolòu menzionati nel testo greco del Vangelo di Matteo? Si è proposto a più riprese che Kaspar, Melkon e Balthazar fossero degli astrologi babilonesi, dei sacerdoti medi mazdeisti, dei sapienti iranici, degli antichi qabbalisti. Al di là delle diverse interpretazioni possibili, fu san Girolamo, Padre e dottore della chiesa nonché autore della Vulgata, il primo a riconoscere in essi un notevole significato teologico e cristiano-devozionale. Ai semplici del popolo d’Israele Dio si sarebbe rivolto e mostrato per mezzo dell’angelo, mentre ai sapienti e dotti esperti di astri e cosmogonie, ma pagani, Egli avrebbe inviato lo stesso messaggero in forma che essi, come afferma Cardini ne “I Re Magi, storia e leggende” (Marsilio), sarebbero stati capaci di accogliere e comprendere. Stella fulgore nimio rutilat: una stella che brilla di straordinario splendore. San Basilio e san Giovanni Grisostomo riconobbero ai tre sapienti venuti dall’oriente una sorta di status venerabile in quanto primi adoratori non ebrei di Gesù e così il mito dei Re Magi si incardinò nella sfera pietistica del cristianesimo, anche se in verità tale favore non durò a lungo.
Nel corso dell’Alto Medioevo infatti, mentre il culto dei Magi continuò a diffondersi soprattutto in oriente, nella pars occidentis dell’Europa la parola Magòi cominciò a rappresentare semanticamente un’accezione legata alla magia pagana e oscura, e accadde così che in occidente fino al X secolo la loro simbologia venne ridimensionata e relegata a un fosco destino che ridusse i sapienti adoratori del Bambin Gesù a dei misteriosi druidi. Le cose tuttavia mutarono nuovamente grazie al carisma di san Domenico di Guzmán, per mezzo del quale il culto dei Re Magi tornò definitivamente in auge nel cattolicesimo. Con la forza e la passione del grande predicatore, San Domenico indicò nei Re Magi un esempio di umiltà e di generosità per tutti i cristiani. Più volte affermò che essi, pur potenti, ricchi e sapienti, si umiliarono inginocchiandosi per venerare un bambino povero nato al freddo in una grotta e deposto in una mangiatoia. Per san Domenico e l’Ordo Praedicatorum ogni uomo avrebbe dovuto mostrare le stesse virtù e praticare la medesima fede dei Magi e, per tale ragione, il fondatore dei frati domenicani desiderò che ogni chiesa dell’Ordine ne contenesse l’iconografia. Da allora l’ardente e stretto rapporto tra i Domenicani e il rinnovato culto dei Re Magi si rinsaldò sempre più (quella dell’Epifania è da sempre una festa del tutto speciale per l’Ordine), al punto che successivamente anche san Tommaso d’Aquino scrisse che la stella sopra la grotta della natività (che Giotto per primo nella Cappella degli Scrovegni di Padova rappresentò come una cometa dopo aver ammirato nel 1301 la Halley attraversare i cieli fiorentini), non era un semplice corpo celeste, ma una luce miracolosa, anzi di più, lo stesso Spirito Santo, aggiungendo che i tre Magòi erano certamente degni di culto spirituale. E non va dimenticato peraltro che la stessa iconografia di san Domenico lo rappresenta sovente con una stella sopra il capo, simbolo di sapienza che riporta alla leggenda dei tre Re d’oriente.
Giotto, “Adorazione dei Magi” (affresco, 1303-1305)
Fra XI e XVI secolo si diffusero più di una ventina di testi contenenti Officia liturgici dedicati ai Re Magi insieme a una ripresa del culto nei loro confronti in diverse città europee, da Colonia (nella cui cattedrale tuttora si ritengono conservate le loro reliquie), a Milano, a Parigi, Arles, Toledo, Monaco di Baviera, tutto il Tirolo (dove ancora oggi i primi giorni dell’anno i parroci scrivono con un gessetto sulle porte delle case le loro iniziali: C+M+B). Ma è a Firenze che fra XIV e XV secolo tra le varie confraternite laicali presenti in città, nacque la Compagnia de’ Magi, un sodalizio laico attivo non soltanto sul fronte delle più disparate calamità e catastrofi del tempo (una su tutte la peste del 1348), ma impegnato soprattutto nell’attività culturale di una città in pieno fermento umanistico. La sua intitolazione fu dedicata appunto alla grande e sentita riscoperta della devozione ai mitici re provenienti dall’oriente, che a Firenze godettero per l’appunto di una attenzione speciale. Lo statuto di questa confraternita prevedeva che gli incontri degli adepti si svolgessero non a caso presso il convento domenicano di San Marco, il cui chiostro, le cui mura e la cui sacrestia divennero un punto di riferimento della Compagnia e della sua vita culturale animata da intellettuali, umanisti e artisti del calibro di Marsilio Ficino. Beato Angelico, Filippo Lippi, Cristoforo Landino, Bernardo d’Alamanno, Pier Filippo Pandolfini, Giovanni Nesi, Donato Acciaiuoli, Alamanno Rinuccini e molti altri. Tutti esponenti del circolo platonico-ficiniano e della cerchia dotta cresciuta attorno alla famiglia de’ Medici.
In pratica tutto il meglio del mondo culturale, letterario e artistico fiorentino era solito frequentare questa prestigiosissima confraternita, sorta certamente con scopi religiosi ma concentrata, almeno nei primi anni della sua esistenza, anche in splendide iniziative non strettamente cultuali. Infatti la storia della Compagnia de’ Magi si può dividere sostanzialmente in due periodi: il primo dal XIV al XV secolo (quando il sodalizio si presentò come una compagnia di Stendardo); il secondo che si esaurì all’inizio del XVI secolo (quando di fatto diventò una compagnia di Disciplina). Così come ogni confraternita fiorentina era solita tenere una processione in occasione della festa del proprio santo patrono, anche quella dedicata ai Re Magi provvide fin dalla sua nascita a organizzare una solenne manifestazione in loro onore, evento che si svolse per la prima volta in città nel giorno dell’Epifania dell’anno 1390. In tale occasione i confratelli allestirono e organizzarono una sontuosa processione proponendo la sacra rappresentazione del viaggio dei Magi dal palazzo di Erode fino alla grotta di Bethlem (ricostruita appositamente presso il convento domenicano di san Marco), accompagnata da uno stuolo di figuranti in costume. Nel 1408, evidentemente dopo il reiterato e incredibile successo delle annuali feste e processioni in onore dei Magi, la Signoria di Firenze diede riconoscimento civico al loro culto in san Marco, ordinando ai “Sei di Mercanzia” e ai capi delle corporazioni di fare offerte di candele alla chiesa domenicana a ogni Epifania.
Con questo riconoscimento ufficiale la festa del 6 gennaio organizzata dall’omonima Compagnia laicale, poteva dunque dirsi entrata a far parte a pieno titolo delle più solenni manifestazioni pubbliche cittadine, una festa che nel giorno dell’Epifania occupava tutte le vie e le piazze di Firenze con centinaia di figuranti, attori, animali esotici, costumi, drappi, gonfaloni e musiche in parata. Nel 1417 il Consiglio del Popolo e il Comune considerarono e votarono favorevolmente un provvedimento da parte della Signoria per assegnare fondi pubblici a favore della Compagnia de’ Magi per far fronte alle ingenti spese relative alla realizzazione della grande manifestazione e cerimonia annuale. Provvedimento che dimostra non soltanto l’attenzione civica per detta confraternita, ma anche quanto costosa e sfarzosa, oltre che imponente, dovesse essere tale processione. Paradossalmente però, tale fama si trasformò ben presto in un fatto negativo per la stessa confraternita. L’accresciuto e quasi improvviso prestigio fu infatti il motivo stesso per cui essa cadde sotto un più rigido controllo da parte della Signoria, timorosa che la capacità di attrattiva sociale della Compagnia potesse creare pericoli per la sicurezza del regime. Tali limitazioni imposte per mano politica non furono però mai eccessivamente severe e liberticide, e il 6 gennaio del 1428 la maestosa processione fu ristabilita a pieno titolo, dopo alcuni anni di incertezze e celebrazioni saltuarie. Tuttavia dalla prima sacra rappresentazione del 1390 a quella del 1429, le cose erano cambiate assai e nel frattempo la sontuosa rievocazione aveva perso molto del suo carattere religioso. La festa si continuò sì a tenere, ora con cadenza quinquennale, ma come detto, la celebrazione si era ormai svuotata dei suoi contenuti religiosi a scapito delle ragioni estetiche ed esibizioniste del potere della Signoria. Prova ne è il fatto che quella del 1447 fu registrata dai cronisti contemporanei come la più grande e solenne festa mai vista in Firenze, che per l’occasione fu tramutata e colorata come la città santa di Gerusalemme e attraversata da un corteo di centinaia di uomini in maschera, con cavalli e stendardi, paralizzando tutta la città dall’alba al tramonto (Hatfield, “The Compagnia de’ Magi”, Journal of the Warburg and Courtald Institutes).
La processione finì con l’essere un mezzo di sfarzo, lusso e ambizioni araldiche che, come spesso accade, la fecero inevitabilmente cadere in disuso. La processione dei Magi entrò inevitabilmente in crisi e si ridusse sempre più nelle dimensioni, tanto che appena qualche anno dopo si cominciò a tenere limitatamente nell’ambito del convento di san Marco. Quando poi l’influenza del Savonarola fu al suo culmine, la processione delle vanità fu definitivamente soppressa e la Compagnia cominciò subito a occuparsi di questioni ben più importanti dell’organizzazione della festa del 6 gennaio. Ecco allora che da compagnia di Stendardo (preoccupata, come scrisse il Varchi nella sua “Storia Fiorentina”, più a divertirsi che a far contento Dio), essa si tramutò in una vera e propria compagnia di Penitenza. Con questo non dobbiamo però pensare che essa prima non si occupasse di questioni religiose e penitenziali, tutt’altro: non devono essere dimenticate infatti le funzioni religiose e i riti devozionali ai quali i soci della Compagnia de’ Magi erano stati impegnati da sempre, tutto l’anno e tutti gli anni, al di là della realizzazione della festa. Ciò chiarito, dalla fine del Quattrocento gli scopi e le attività del mirabile sodalizio divennero esclusivamente religiosi e fideistici. La moderazione, la sobrietà, la rinuncia alla teatralità divennero le nuove parole d’ordine alla base del rapporto tra gli intellettuali affiliati alla Compagnia e la cittadinanza fiorentina. Appartenere alla Compagnia de’ Magi era da sempre ritenuto un grandissimo onore e vi si poteva accedere soltanto previa procedura di rigidissima cooptazione. Neoplatonici, filosofi, umanisti, letterati, scrittori, scienziati, artisti, filologi e molti altri esponenti del mondo culturale fiorentino dell’epoca ne furono soci. I confratelli si radunavano ogni martedi sera nella sacrestia di san Marco e lì svolgevano la loro attività di preghiera e liturgia guidati spiritualmente dai padri domenicani coi quali i rapporti rimasero sempre strettissimi. A intervalli più lunghi consumavano pasti comunitari, facevano brevi esperienze di vita cenobitica e celebravano le principali feste liturgiche.
La Compagnia de’ Magi prese così sempre più la fisionomia di una confraternita di disciplinati, nella quale divenne fortissimo e distintivo l’aspetto religioso di devozione ai Re Magi, con richiami alla misericordia, alla conversione, alla perseveranza, al cammino di fede, alla ricerca della Luce (stella). Si tese a una interiorità spirituale ma anche alle opere, all’assistenza sociale, al soccorso spirituale, alla preghiera assidua e ai riti di penitenza tra i quali figurava perfino la flagellazione. Culmine della pietà del sodalizio divennero, oltre alle celebrazioni dedicate all’Epifania, quelle della settimana santa con la recita dei sermoni (di alto spessore letterario, conservati nel cod. magl. XXXV.211 della Biblioteca Nazionale di Firenze). Gli anni d’oro della Compagnia poco a poco però passarono e nel primo decennio del Cinquecento essa cessò sostanzialmente di esistere, anche se presso le élite culturali fiorentine continuò a essere ricordata per lungo tempo come la più preziosa esperienza religiosa laicale della storia cittadina.