“Macché Rai irriformabile”. L'ex dg Saccà difende il dg Campo Dall'Orto
L'ex direttore di Rai 1 sostiene la “riforma della governance targata Renzi”
Roma. Quando sente qualcuno dire che la Rai è “irriformabile” (come è successo dopo la bocciatura del piano Verdelli), Agostino Saccà sbotta: “E’ come guardare il dito e perdersi la luna”. Premessa: Saccà, che ora fa il produttore cine-tv con la sua società Pepito, in Rai ha fatto di tutto: vicedirettore di Rai2, caporedattore al Tg3, capostaff di Letizia Moratti presidente, capo del palinsesto, capo del marketing strategico, capo della comunicazione, direttore di Rai1, direttore della fiction e direttore generale (con contorno del cosiddetto “caso Saccà” quando fu sospettato di connivenza con Mediaset, poi sospeso, poi reintegrato dal tribunale del lavoro e infine riabilitato dal gip). Con precedenti dunque non sempre amichevoli, sono anni che Saccà si fa difensore esterno della Rai, paragonandola (come nel 2011 su questo giornale) al “calabrone che a rigore scientifico non dovrebbe volare, con quella massa, e invece vola” – vola nel senso della quota di mercato “miracolosamente mantenuta”, dice Saccà, “a dispetto dei cambiamenti in atto nei media”. E adesso l’ex dg Rai, che rivendica “di aver parlato in anni lontani di canone in bolletta” e specifica di “essere pregiudizialmente favorevole alla Rai” non per ragioni di business (“quest’anno ho fornito fiction per appena lo 0,7 per cento del budget di Rai fiction”), si fa difensore al cubo della “riforma della governance targata Renzi” e anche del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto, da lui definito “uomo che conosce il prodotto televisivo”. E dunque, tirando fuori dati e tabelle, Saccà dice di voler contribuire a “contrastare una spinta controriformistica”.
Il dato da cui parte è quello della moltiplicazione delle reti nazionali: “Avevamo dieci reti nazionali nel 2007, come ha scritto anche il Corriere della Sera citando riviste specializzate, e oggi ne abbiamo 185. Avevamo circa 35 milioni di tv. Ora abbiamo 32 milioni di tv tradizionali, 7 milioni di tv con decoder e circa 3 milioni di smart tv. Connessi a internet ci sono 73 milioni di dispositivi tra pc, tablet e smartphone: tutte possibilità di ricevere contenuti video. Una rivoluzione che significa anche esigenza di intercettare nuovi pubblici pregiati. In un simile quadro, la Rai sembrava condannata a morte. Ma è come se ci fosse un Dio nascosto in Rai, ne sono convinto fin dai tempi in cui, da direttore della comunicazione della Moratti, consigliavo di rifiutare i 250 miliardi di lire del decreto salva-Rai – cosa che Moratti fece al grido di ‘la Rai si salva da sola’”. L’eterna “percezione” di una Rai come “riserva indiana”, dice Saccà, “è smentita dai dati: nel 1987 faceva in prime time il 45 per cento, ora circa il 40, nonostante la rivoluzione tecnologica. E abbiamo visto, ultimamente, quanti e quali siano gli operatori interessati a produrre in Italia, facilitati anche dalla nuova legge sul cinema e la tv: inglesi, francesi, angloaustraliani. E penso anche che sia fuorviante definire ‘soldi pubblici’ il canone, perché il canone è ‘un’imposta di scopo per finanziare il servizio pubblico’: io ti do soldi perché tu mi dai un servizio, è una transazione commerciale”.
Il confronto con l’estero, dice Saccà, mostra che “la Bbc prende, tra canone e sovvenzioni, circa 4 miliardi e novecento milioni di euro all’anno; la tv francese 3 miliardi e duecento milioni; la tv tedesca 7 miliardi e settecento milioni; la Rai – di solo canone –1 miliardo e 850. In Europa ci si è resi conto che c’è bisogno di risorse fuori dalle risorse di mercato, specie in mercati nazionali piccoli e con gli Stati Uniti che hanno per mercato il mondo. In questo quadro mi pare che Campo Dall’Orto abbia dimostrato una visione chiara di come la Rai possa attirare pubblici moderni e cosmopoliti, abituati alla fruizione televisiva internazionale. Questo si vede già dalla riuscita ricerca di un adattamento del prodotto generalista, con programmi innovativi e di successo come ‘Stanotte a San Pietro’, ‘Stasera Casa Mika’ e ‘Rocco Schiavone’. E dalla rivoluzione costituita da Ray play, la più grande tv on demand totalmente gratuita che dà al palinsesto e ai magazzini Rai grande vitalità”. “Il calabrone dovrebbe essere stecchito”, dice Saccà, “invece quasi quasi diventa un albatros”.