Foto di Pacheco via Flickr

Com'era il sogno californiano visto da un intellettuale cattolico

Matteo Muzio

Lo storico Kevin Starr raccontò il potenziale immaginifico di una terra così distante sia dal puritanesimo del New England sia dal Sud schiavista

Difficile quantificare l'influenza avuta nell'immaginario moderno dalla California. Nel cinema, come nella musica, nella letteratura e nell'arte. Farne una storia intellettuale dagli inizi come stato, nel 1850 fino a oggi, sembrava impresa ardua. A riuscirci è stato Kevin Starr, storico e capo della Biblioteca centrale della California dal 1994 al 2004, scomparso il 14 gennaio scorso all'età di 76 anni. Un figlio della California, nato e vissuto a San Francisco, figlio di una madre single che viveva nel quartiere povero di Tenderloin con un assegno del welfare di 130 dollari mensili. Lì Starr scopre il "valore educativo della Chiesa cattolica", frequentando la St. Boniface School da bambino, la St. Ignatius High School da adolescente e infine, la University of San Francisco, retta dai gesuiti, dove si laurea in letteratura inglese.

 

Mentre Starr è assegnista di ricerca ad Harvard, nel 1970 scopre nel fondo bibliotecario dell'ex deputato Horace Davis, tutto dedicato al Golden State e alla West Coast, il potenziale di una storia della California che riesca a contenere il "potenziale immaginifico che da essa proviene".

 

Così pubblica nel 1973 la sua prima opera ,"Americans and the Californian Dream 1850-1915", tratto dalle lezioni di Harvard, libro che vuole rappresentare la presa di coscienza degli Stati Uniti di uno stato nuovo e lontano, completamente diverso dal puritano New England e dal Sud schiavista, uno stato che fu provincia messicana e terra di missione dei francescani di Junipero Serra nel Primo Settecento, che aveva cambiato volto rapidamente dopo la scoperta dell'oro nel 1849 e l'arrivo improvviso di 300mila persone che l'avevano raggiunta per mare e terra rischiando la vita.

 

Questa prima opera sarebbe diventata il primo libro di una serie, dedicata all'evoluzione del "Sogno Californiano" nel XX secolo, dall'età progressista fino ai primi anni Sessanta. Secondo sua moglie, Starr non riusciva proprio "a focalizzare la sua mente su anni così turbolenti come gli anni Sessanta e Settanta" che in un certo qual modo strapazzavano la sua idea della California come l'eden protetto della sua infanzia e prima adolescenza, dove però, come scrive nei suoi libri, le tensioni socio-economiche e razziali stavano già covando sotto una coltre fatta di pacifiche villette a schiera e di quartieri costruiti ex-novo, come nel caso della San Fernando Valley a Los Angeles. Scriverà però un libro sul periodo dal 1990 al 2003, quando la California dovrà fare i conti con la crescita della Silicon Valley e con una crescente crisi economica dovuta ai problemi di budget di uno stato che non riusciva proprio a ridurre in modo efficiente le sue spese. Ma sotto questa coltre, Starr ha anche reso vivido e comprensibile un fitto microcosmo che animava la vita culturale e politica delle singole città (quasi tutti i libri hanno capitoli dedicati a San Francisco, Los Angeles e San Diego), di tante persone che hanno contribuito a creare il più grande immaginario della cultura occidentale. Così come nel suo ultimo libro Continental Ambitions: Roman Catholics in North America, the Colonial Experience Starr ha messo in luce il grande contributo dei cattolici alla formazione della Frontiera del West e della California, così la sua morte lascia un enorme vuoto in un mondo accademico che lo aveva in gran parte snobbato, ritenendo troppo "cattoliche" le sue storie della California, che invece ce la restituiscono in tutti la sua ricchezza e umanità. Durante una delle sue ultime apparizioni era stato definito dal Los Angeles Times come "figura senile, ma con la mente veloce come un olimpionico". Definizione che ben si adatta al suo insostituibile lavoro di storico.