Gli inquisitori cortesi
Da Lagarde a Milo, i campus d’America sono teatro di centinaia di casi di intolleranza progressista
Roma. Cento professori che chiedono di togliere la parola a un blogger di trentadue anni invitato da una associazione studentesca, mille manifestanti che distruggono aule e finestre, la polizia in tenuta antisommossa che disperde la folla, il rettore che cancella l’evento. E’ successo all’Università di Berkeley, in California, dove è nato il “free speech movement”. Al centro stavolta c’era Milo Yiannopoulos, giornalista di Breitbart News (sito del consigliere strategico di Donald Trump, Steve Bannon) autoproclamatosi “Dangerous Faggot” (sta per “frocio pericoloso”). Ma in quindici anni i campus d’America, che prima di essere templi della conoscenza sono laboratori delle “equal opportunities”, hanno assistito alla cancellazione di decine di eventi con oratori liberal e conservatori da parte di quelli che Jonathan Rauch nel suo nuovo libro definisce “Kindly Inquisitors”. Gli inquisitori cortesi. La Fondazione per i diritti individuali nell’istruzione ha compilato un “database degli inviti cancellati”, risalendo indietro dal 2000 fino a oggi e stilando una lista di trecento incidenti.
La California, uno degli stati più di sinistra d’America, ha visto il maggior numero di incidenti. L’attuale presidente di Berkeley, Janet Napolitano, è stata cacciata dall’Hastings College di San Francisco perché da ministro degli Interni aveva deportato non pochi immigrati. Lo Scripps College in California ha impedito di parlare al giornalista del Washington Post George Will. La Rutgers University, una scuola femminile di arti liberal a Claremont, in California, ha impedito l’intervento di due ex segretari di stato: Condoleezza Rice (“collaborazionista di un guerrafondaio seriale”) e Madeleine Albright. Stessa sorte per l’ex first lady, Laura Bush, cui hanno chiuso la bocca all’Università della California (“ha credenziali superficiali”), dove non ha potuto parlare neppure l’ex ministro del Tesoro, Lawrence Summers (“è un misogino”). Non è andata meglio, sempre a Berkeley, al venture capitalist Peter Thiel. Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, è scappato dalla San Francisco State University al grido di “Intifada Intifada”.
Ayaan Hirsi Ali, dissidente e apostata dell’islam, non ha messo piede alla Brandeis University. Stessa fine per Charles Murray, critico del welfare, bandito dalla Azusa University. E’ impossibile tenere il conto di tutte le personalità cui è stato impedito di parlare: Henry Kissinger all’Università di Austin (“il macellaio della Cambogia”), l’ex presidente della Banca mondiale Robert Zoellick allo Swarthmore College (“è un criminale di guerra”), l’attore Alec Baldwin alla George Washington University (“è un omofobo”), la direttrice del Fondo monetario Christine Lagarde allo Smith College (“è una imperialista”) e l’ex direttore della Cia John Brennan alla University of Pennsylvania (“i droni uccidono i bambini”). Non è andata bene neppure a un attivista per i diritti umani come il palestinese Bassem Eid, escluso dall’Università di Chicago. Prima hanno circoscritto la libertà di espressione a un luogo specifico nei campus (alla Colorado Mesa University è limitata al “patio di cemento adiacente la porta ovest del Centro universitario”). Poi hanno iniziato a rilasciare patenti di circolazione. E sono finiti con le molotov. In un crescendo di isteria.