Come gli intellettuali guardano le estreme oscillazioni delle religioni
Recensione critica degli almanacchi filosofici di Micromega. Lo scontro (come vorrebbe Paolo Flores d’Arcais) fra scienza, razionalità, laicità, illuminismo e persistenti oscurantismi religiosi
Vedo che non riesco a mancare il mio appuntamento con gli almanacchi filosofici di MicroMega. Quello ora in edicola è quasi interamente dedicato al tema del giorno, “Gli intellettuali e la religione”, con l’aggiunta di un interessante, discutibile saggio di Perry Anderson (dell’inglese New Left Review) sugli eredi di Gramsci, e un dialogo su filosofia e idea di comunismo nella quale Alain Badiou tende protervamente a delirare con inalterabile eloquenza (ah, i filosofi francesi! che pasta di retori…).
Ma veniamo a filosofia e religione, o allo scontro (come vorrebbe Paolo Flores d’Arcais) fra scienza, razionalità, laicità, illuminismo e persistenti oscurantismi religiosi. Simpatizzo con Flores d’Arcais quando polemizza con i nuovi metafisici (anche suoi amici) che non hanno certo abbracciato nessuna religione, ma avendo ingerito per anni con ingorda soddisfazione il chewing gum ontologico di Heidegger credendo di fare un buon affare ora ne sono inguaribilmente intossicati. Le grandi religioni storiche sono certo imbevute di metafisica teologica, avendo remotissime origini ed essendo istituzionalmente vissute di dogmi. Ma più che la religione e le religioni (fra cui quelle orientali, quasi puramente filosofiche, morali e pragmatiche) credo che da prendere criticamente di mira siano la teologia e la metafisica. La teologia perché è una palestra per elucubrazioni logiche o erudite su un’entità per definizione intellettualmente inafferrabile come Dio. La metafisica perché è un ramo della filosofia premoderna, che giustamente l’onesto Kant dichiarò impraticabile per un occidente nel quale i tempi delle esperienze mistiche erano tramontati: diciamo, per capirci, dopo il protoesistenzialismo di Montaigne e l’empirismo radicale di Hume.
Per affrontare il tema intellettuali e religione, MicroMega usa un questionario o guida tematica che la gloriosa rivista della sinistra americana Partisan Review propose nel 1950. A rispondere furono allora John Dewey, la Arendt, i poeti W. H. Auden e Robert Graves (anche studioso di mitologia), ottimi critici letterari come Irving Howe e Alfred Kazin, e naturalmente pensatori cristiani come Jacques Maritain e Paul Tillich. A leggere ora le poche risposte ripubblicate da MicroMega, di Arendt, Graves e Maritain, si resta delusi. Soprattutto la Arendt, qui piuttosto professorale, si impegna poco. Mentre il primo intervento attuale, quello di Telmo Pievani, epistemologo, mi sembra che esprima più energicamente e brillantemente anche le convinzioni di Flores d’Arcais. Il suo punto di partenza è che le religioni risultano “radicalmente ambivalenti” dato che possono produrre sia un Osama bin Laden che un Dalai Lama, cioè sia il diabolico che l’angelico. Essendo una concezione totalizzante del vivere e del morire, ogni religione è esposta a oscillazioni estreme. Laicità, laicismo e ateismo dovrebbero perciò evitare di proporsi come sostituti altrettanto totalizzanti delle religioni, per non ereditarne le deteriori certezze nella pretesa di sapere come si deve vivere e morire.
Le conclusioni di Pievani mi sembrano del tutto accettabili (le condividerebbe, credo, anche Papa Bergoglio): non va tollerata l’intolleranza; laicità significa libera espressione, anche religiosa, di ognuno; le fedi religiose dovrebbero vivere liberamente nella vita privata dei singoli; la fede religiosa va separata dal potere politico; per creare senso comunitario oggi non c’è più bisogno di religioni, basta un’etica pubblica condivisa. Avrei dubbi su un punto: se “l’empatia, la compassione, la solidarietà verso il genere umano” sono valori fondamentali, è certo che “possono essere difesi e mantenuti in assenza di credenze religiose”; ma non si può negare che “possano” imparare molto dall’etica delle religioni: dal cristianesimo come dall’induismo, dal buddismo, dal taoismo e perfino dalle religioni animistiche, che vedono un’anima in ogni cosa. In fondo l’animismo, mi sembra, si è recentemente reincarnato nella visione ecologista. Infine direi che i miti non sono certo verità scientifiche, tutt’altro. Ma aiutano a pensare, immaginare, immedesimarsi. Le arti creano miti, figure, visioni, racconti. Senza favole e fiabe le culture umane sarebbero un deserto. L’idea del passaggio dal mito alla scienza e dalla religione alla ragione è a sua volta, negativamente, un mito. La migliore idea politica di Walter Benjamin è che il capitalismo è una religione. Il denaro, lo sviluppo, le macchine sono divinità potentissime che, promettendo libertà, non ci lasciano liberi. La società secolarizzata, razionalizzata e organizzata pullula di miti, idoli, feticci, superstizioni, tabù e dogmi. Un ipermercato crea più illusioni e infatuazioni di una cattedrale. Uno show televisivo e un concerto rock sono riti religiosi. Chi crede che le scienze siano la sola forma di sapere sano, può arrivare a pensare che se Kafka avesse ricevuto una più solida educazione scientifica si sarebbe liberato delle sue paure infantili e delle sue manie di persecuzione.