Amore e altre post-verità
Cercare l’anima gemella è più facile nell’èra di internet? Siamo andati a spiare il set di un reality per cuori solitari, e abbiamo scoperto cosa sta cambiando in tv
L’appuntamento è in un noto ristorante dell’Eur. Quando arriviamo all’ingresso un ragazzo ci ferma: stanno facendo delle riprese, non si può entrare. Sono già arrivati? “No, stanno riprendendo il cibo, il lavoro dei camerieri, i particolari dell’ambiente. In pratica tutto ciò che non si può riprendere durante l’appuntamento”. Tra poco il ristorante sarà aperto, ma non per tutti. Alcuni clienti saranno dei semplici avventori, altri siederanno a un tavolo per due, e sarà la prima volta che si incontrano.
“Quando entrano devi guardare la telecamera che riprende da vicino i volti. Hai mai visto un colpo di fulmine?”, ci dice Simona Ercolani, ad e direttore creativo della Stand by me nonché regina di alcuni dei programmi di maggior successo della televisione italiana, “succede davvero, lo capisci subito se si piacciono oppure no”. Nel ristorante si sta girando la versione italiana di un “dating show”, il format inglese “First dates” che ha debuttato nel 2013 su Channel 4. Si tratta di un reality show per cuori solitari alla ricerca dell’anima gemella, prodotto per Discovery Italia, che andrà in onda in Italia a marzo su Real Time (canale 31 del digitale terrestre) con il titolo “Primo appuntamento”. “Abbiamo avuto un enorme riscontro, dopo le prime pubblicità”, dice Alessandra Sogliani, executive producer di Discovery Italia, e si riferisce allo sproporzionato numero di persone single che ha risposto all’appello lanciato dalla produzione: volete trovare l’anima gemella? Noi possiamo aiutarvi a farlo.
Il primo appuntamento è una specie di scommessa, nella quale si puntano pure molti soldi, per l’esattezza 6,7 miliardi di euro soltanto in Italia, soltanto nel 2015. Secondo un sondaggio di Cebr commissionato da Meetic, gli italiani hanno parecchi appuntamenti all’anno, una percentuale tra le più alte rispetto agli altri paesi europei: un single ha tra i 25 e i 26 incontri galanti ogni dodici mesi, per un totale di 8,9 milioni di italiani attivi nel “dating”. Tra loro, ci sono pure le migliaia di persone che hanno risposto all’annuncio della produzione del “First Dates” italiano.
La prima a entrare nel ristorante è una coppia di anziani. Annamaria ha 77 anni, non è mai stata sposata e cerca una persona che abbia dei figli, per occuparsi anche di loro. Viene accolta all’ingresso e spiega subito che è stata innamorata una volta sola, ma prima del matrimonio il futuro sposo è venuto a mancare. “Avrebbe avuto qualche difficoltà a salire sullo sgabello, così l’abbiamo fatta sedere subito al tavolo per non metterla a disagio”, dice Ercolani: la regola è stemperare l’emozione da primo appuntamento al bancone del bar, mentre si attende l’ingresso della possibile anima gemella scelta dalla squadra di autori. Tutto in “Primo appuntamento” è vero, dal maître Valerio Capriotti ai camerieri, fino al menù. Perché il programma ruota intorno al concetto di “verità”, una caratteristica tipica della tradizione anglosassone di fare televisione: si usa il sistema delle “fixed rig”, termine tecnico per indicare che le telecamere sono fisse e nascoste, e quindi per il partecipante è più facile dimenticarsi di essere registrato.
Entra Renzo, 73 anni, nasconde sotto la giacca una rosa per il suo primo appuntamento. Viene accompagnato al tavolo, dove Annamaria riceve il fiore con lo sguardo di chi ne ha viste troppe, o troppo poche, e inizia subito dopo a parlar d’altro. In effetti i due parleranno fitto per le successive due ore, dimenticandosi di essere seguiti minuto per minuto dagli autori, dai produttori, dai tecnici, e dalle telecamere nascoste del ristorante. Un’intera sala con una trentina di persone, posizionata a pochi metri dalla sala del ristorante, osserva in tempo reale ogni dettaglio (“Renzo ha delle pillole accanto al tovagliolo”, grida qualcuno dalla postazione di comando, “sono per la pressione”, spiega qualcun altro). A differenza di altri reality sul mondo del dating, che hanno come scopo la narrazione romantica, qui il segreto è questo: far dimenticare ai protagonisti di essere parte di una trasmissione televisiva. “E’ tutto costruito per mantenere quanto più possibile l’autenticità della situazione”, dice Ercolani. E infatti i partecipanti vestono come vogliono, “devono sentirsi a loro agio”, spiega Sogliani, e alla fine della cena devono pagare il conto, altrimenti si svela il trucco “e viene meno la motivazione”: trovare l’anima gemella. Ogni coppia, dopo la cena, risponde non a una proposta di matrimonio ma a una semplice domanda, la più banale e ordinaria: vuoi rivedermi?
L’amore nell’èra della post-verità, delle fake news, degli alternative facts è perfettamente a suo agio. Da “Amore e Psiche”, “Tristano e Isotta”, fino a “Cyrano de Bergerac”, ci sono secoli di letteratura che racconta di relazioni affettive manipolate dall’inganno, dalla sostituzione di persona, dal travestimento, dalla circonvenzione di incapace. In questo caso internet non ha fatto altro che aumentare un sistema utilizzato da sempre, un topos letterario che si è fatto più facile da sfruttare. Prima dei social network, negli anni Novanta, c’erano le chat room: la gente usciva di casa ed entrava negli internet cafè, dove pagava per stare qualche ora su internet a parlare con sconosciuti, sotto pseudonimo. Il fine non era incontrare l’amore della vita, per quanto la maggior parte delle chat room avesse come tema il sesso. Poi arrivò Facebook e il dibattito sull’identità digitale, ovvero l’idea che non essere se stessi online, costruirsi un’identità virtuale, fosse in qualche modo un comportamento scorretto, da stigmatizzare (uno dei motivi che contribuì al fallimento di Second Life). E’ anche per questo che cercare l’amore su internet non è ancora del tutto sdoganato, men che meno in Europa: essere assidui frequentatori di una applicazione per il dating online non è qualcosa di cui parlare alla cena di Natale. In America il grande successo di Tinder è dovuto anche alla capacità dei fondatori di usare la comunicazione per rendere il dating un’attività comune e sana: tutti cercano l’amore online, non solo gli sfigati, è il messaggio, e Tinder è finito perfino in una puntata della popolare serie tv sui ricchi e perfetti dottori di Seattle, “Grey’s Anatomy”. L’inganno però è dietro l’angolo, e non è un caso se nel 2010 Henry Joost e Rel Schulman hanno girato il documentario “Catfish”, basato sull’innamoramento virtuale di Ariel per una donna, Megan, che in realtà era un’altra. Il problema delle false identità online si è poi trasformato in una serie televisiva che smaschera le persone che si fingono qualcun altro in rete, ai danni di ingenui malcapitati.
Annamaria e Renzo si sarebbero potuti incontrare forse in un supermercato, ma difficilmente su Tinder. Alla fine, però, più che al banco del pesce, hanno deciso di affidare la propria sorte sentimentale a persone in carne e ossa: “Abbiamo fatto un lungo lavoro di casting”, dice Ercolani, “poi gli autori hanno selezionato e formato sulla carta le quarantasei coppie – quaranta saranno protagoniste del reality, sei di riserva”. Riserva? “Sì, non sai i forfait che abbiamo avuto durante le vacanze di Natale”. Questa è una ulteriore differenza con le altre trasmissioni di dating, che per anni hanno tentato la strada che è un po’ quella di internet, e cioè del “match”, dell’accoppiamento scientificamente provato (ti piace andare a cavallo? l’algoritmo ti trova un fantino; sei un immaturo cronico? il sessuologo ti trova una donna crocerossina, e così via). Voi, invece, come avete fatto gli accoppiamenti? “Unendo al nostro intuito la conoscenza approfondita di ogni single. Volevamo davvero trovare qualcuno che si trovasse con l’altro. E’ come presentare qualcuno alla tua migliore amica, lo guardi e pensi: questo potrebbe piacerle”. Mentre Annamaria e Renzo continuano la loro conversazione su meteo, geografia e cibo (“gli anziani sono perfetti, sanno sempre di cosa parlare, e gli argomenti sono quasi per tutti gli stessi”, ci spiegano), entra Cinzia, 57 anni. E’ una donna piacevole, indossa un abito da “primo appuntamento” e la sua rigidità tradisce l’emozione – non è chiaro se sia dovuta alla consapevolezza di far parte di un reality show, oppure dal prossimo incontro. Dopo qualche minuto di attesa le va incontro Guglielmo, 55 anni che è molto più disinvolto, forse troppo, e riempie i vuoti parlando a sproposito. Le dice subito che è innamorato – ossessionato – da Maria Grazia Cucinotta. Trascorre la successiva mezz’ora a farsi dettare il menù dal maître, mentre Cinzia aspetta attenzioni. Nella sala regia gli autori parlottano, commentano, allargano le braccia: Guglielmo sta sbagliando tutto.
Al momento il sito d’incontri più popolare in Italia è Meetic: fondato nel 2001 dall’imprenditore francese Marc Simoncini, oggi conta una quarantina di milioni di iscritti nel mondo. Nel mare di siti e applicazioni specializzati negli incontri di sesso occasionale, Meetic in realtà riguarda più l’amore, e funziona proprio come una agenzia matrimoniale moderna. Il servizio, rispetto ad altre applicazioni come Badoo e Grindr e lo stesso Tinder, non è gratis: si paga un abbonamento (un mese costa meno di trenta euro) e si accede alla ricerca più affine, vale a dire a un servizio in cui il computer vi trova l’anima gemella a seconda dei dati inseriti. Iscrivendosi si accettano pure le condizioni di utilizzo che recitano: “L’iscritto garantisce che i dati comunicati sono esatti e conformi alla realtà”, e poi: “Meetic non ha l’obbligo e non dispone dei mezzi tecnici per garantire l’identità delle persone che si iscrivono”. Ed ecco il limite del dating online rispetto alle antiche agenzie matrimoniali, un limite tecnico: l’algoritmo non arriva fino al momento del primo incontro. Come si fa ad assicurare all’iscritto che l’altro corrisponda alla sua identità online? E come si fa con i timidi cronici, con quelli che “magari è un serial killer”, che al primo incontro non ci arrivano mai?
In Giappone, dove il problema della bassa natalità e del disastroso calo dei matrimoni coinvolge inevitabilmente anche il governo, numerose agenzie organizzano corsi, feste, perfino sessioni di jogging dedicate esclusivamente ai single. La stessa idea l’ha avuta Meetic nel 2014: gli iscritti adesso possono partecipare alle feste, perfino alle vacanze organizzate dalla ditta. Le giornate d’incontro sono state apprezzate, con oltre 13 mila partecipanti a trecento incontri pregressi (stasera, San Valentino, con straordinaria capacità di marketing, Meetic fa incontrare i single in via Paolo Sarpi 60, tutto esaurito). E quindi c’è un dato, forse non scientifico, da registrare: più le vite virtuali diventano estese e sofisticate, più l’empatia diventa un valore aggiunto nelle relazioni. Se l’amore è un inganno, deve essere un inganno reale, non virtuale.
Sono passati diciassette anni dalla prima edizione del “Grande Fratello”. L’esperimento più rivoluzionario della storia della televisione: mettere quattordici sconosciuti in un ambiente artificiale e vedere cosa succede. Nel corso del tempo, però, il “Grande Fratello” ha perso l’attrazione originale dovuta a un insieme di voyerismo e curiosità, e il motivo riguarda soprattutto il lavoro di casting, e la necessità di cercare i contrasti attraverso l’uso di situazioni limite, fatte apposta per aumentare la spettacolarizzazione della realtà. Non ci si immedesima nel concorrente dell’“Isola dei famosi” perché nessuno di noi ha mai vissuto su un’isola deserta, a suscitare un’emozione allo spettatore non è l’identificazione ma lo spettacolo. E’ per questo che “Primo appuntamento” sembra un esperimento nuovo: in televisione, cioè nel regno della finzione, si esplora la realtà che non sia una “realtà alternativa”, ma una realtà raccontata. “E’ un po’ quello che ha sempre fatto Discovery”, dice al Foglio Laura Carafoli, responsabile della programmazione e dei contenuti del gruppo, “si chiamano programmi ‘factual’, ed è una tradizione del mondo anglosassone che noi per primi abbiamo importato in Italia”. L’idea della “sparizione” della macchina di produzione mentre si riprende una coppia che forse si innamorerà è un passo in più: “Nasce dagli ‘observational documentary’, con infinite ore di girato poi tagliate per essere fruibili televisivamente. Ma il reality viene pure da una rinnovata esigenza di verità e autenticità”, dice Carafoli. La narrazione del reale deve essere cruda, perfino disturbante, ma mai con una aspirazione moralizzatrice: “Tra i nostri programmi di maggior successo, per esempio, c’è ‘Questo piccolo grande amore’, importato dagli Stati Uniti, che è la storia di una famiglia con due genitori affetti da nanismo. Racconta una disabilità, ma gli spettatori dopo pochi minuti si appassionano ai protagonisti e dimenticano quasi del tutto il problema”. Il reality “tradizionale” vive forzando i contrasti – a proposito di “Isola dei famosi”, la lite tra Aida Yespica e Antonella Elia fu una specie di giro di boa di questo sistema – oppure, nel caso dei dating, “si mettono i partecipanti, alla fine dell’appuntamento, di fronte a una scelta drastica”, spiega Ercolani, “tipo: mi vuoi sposare? oppure, facciamo un bambino insieme? Ma chi è che dopo un primo appuntamento si trova a rispondere a domande del genere?”. E dunque è la televisione il primo media a invertire la rotta, cercando di tornare alla normalità.
Dopo il “Grande Fratello” ci sono state altre trasmissioni che hanno regalato ai protagonisti una incredibile popolarità in brevissimo tempo. Dunque è difficile cercare la normalità in chi avrebbe magari solo voglia di apparire in televisione: “Lì c’è il lavoro dell’autore che capisce subito quando una persona non è animata da una vera, autentica motivazione”, spiega Ercolani. “In questo caso, per esempio, abbiamo passato mesi a cercare persone che avessero davvero il desiderio di trovare l’amore”. I partecipanti di “Primo appuntamento” sono divisi in “categorie”, proprio per cercare di dare spazio a tutti: ci saranno coppie di teenager, di over, ragazzi disabili e omosessuali (fa parte di questa strategia inclusiva di Discovery pure la campagna #PerOgniGeneredAmore, lanciata ieri con un finto refuso nella pubblicità in occasione di San Valentino, dove “un amore” era scritto con l’apostrofo per domandare all’Accademia della Crusca di farne una parola di genere neutro). Alla fine, da tutte le ore di girato, per ogni coppia gli autori dovranno selezionare venti minuti, “mantenendo però la natura dell’incontro”, spiega Ercolani. Alla fine ogni puntata del programma, che sarà in tutto di otto puntate, racconterà il primo appuntamento di cinque coppie. Sembra quasi che questo ritorno a una televisione raccontata sia in controtendenza con la violenza che viene fuori da alcune pagine online, coni d’ombra che producono bufale, falsità, niente che abbia a che fare con la narrazione: “Il mercato condiziona il prodotto e viceversa. Del resto, la televisione è il nostro specchio, e come autori televisivi abbiamo anche delle responsabilità”, dice Ercolani “raccontare il mondo andando alla ricerca della verità ti rende non solo credibile, ma contribuisce anche a costruire un rapporto di fiducia con lo spettatore. Quando si evita il fine moralizzatore si costruisce un prodotto che racconta un punto di vista diverso”, che esuli dall’eterno conflitto tra buono e cattivo. E così i programmi di intrattenimento rischiano di essere più (tecnicamente) reali e autentici di alcune news: “Ci domandiamo sempre, perché le nuove generazioni che hanno a disposizione di tutto, online, dovrebbero accendere la televisione?”, dice Laura Carafoli, “il segreto sta nel creare un prodotto autentico, con un misto di curiosità e capacità di racconto”.