Nell'èra della maleducazione è vietato dire: “Buongiorno”
Le risposte brusche e i gesti di fastidio nascondono probabilmente la paura di essere attaccati
Domenica scorsa mio padre, che non è di Roma, stava cercando l’ingresso al parco del Celio. Io gli avevo spiegato dov’era, però male come sempre. Lui era con mia figlia e con il cane. Un uomo apparentemente normalissimo passava di lì e mio padre, vi assicuro una persona non spaventosa né aggressiva, gli è andato incontro: “Buongiorno mi scusi, posso chiederle…”. “No”, ha urlato l’uomo, ed è passato oltre. Mio padre scioccato, mia figlia entusiasta: si sono girati stupiti verso l’uomo, che a sua volta si è girato e ha fatto un gesto con la mano, accompagnato da una frase scandita benissimo: “Ma che cazzo volete?”. Mio padre ha comunque trovato l’ingresso del parco, nonostante le mie indicazioni e quelle dell’uomo. Nell’èra della maleducazione, “The age of rudeness”, come il titolo di un lungo saggio pubblicato dal New York Times nei giorni scorsi, le risposte brusche e i gesti di fastidio (se per sbaglio sfiorate qualcuno per strada) nascondono probabilmente la paura di essere attaccati. O comunque molestati, risvegliati dai nostri pensieri, scossi dai discorsi a tu per tu con Twitter o con Instagram, distolti dalle nostre recriminazioni, dal nostro nervosismo.
Così come l’aggressività e la maleducazione degli uomini in divisa negli aeroporti, anche verso le signore anziane in sedia a rotelle, nasconde il sospetto che quella vecchietta nasconda una bomba dentro i gomitoli del lavoro a maglia. E’ una brutalità non necessaria ma istintiva, un atteggiamento difensivo, un modo di non mostrarsi disponibili alla sottomissione e alla fregatura. Forse l’uomo del parco aveva paura di essere accoltellato da mia figlia, o che mio padre gli chiedesse un prestito, o che il cane gli rubasse il portafoglio. Più probabilmente aveva individuato una seccatura, un’invasione intollerabile della sua solitudine in quel: “Buongiorno”. L’èra della maleducazione, infatti, prevede anche la progressiva eliminazione del “Buongiorno”. Come se non ci fosse tempo da perdere in fronzoli, se si dovesse eliminare tutta la forma per arrivare direttamente alla sostanza, perché tutto corre velocissimo e se ci fermiamo a dire: “Grazie” restiamo indietro e qualcuno se ne approfitterà.
Al supermercato una signora non riusciva a prendere la bottiglia dell’olio, troppo in alto per lei. Le ho detto: signora, l’aiuto? Lei ha mugugnato una cosa che io ho preso come un sì, forse sbagliando. Le ho preso la bottiglia dallo scaffale, la signora me l’ha strappata dalle mani ed è sparita in un’altra corsia, anche con l’aria contrariata di chi non può perdere minuti preziosi di malumori accettando un favore. Chissà infatti che cosa avrei potuto pretendere in cambio, forse il contenuto del suo carrello o una firma contro la droga. Mi sono sentita una molestatrice e ho deciso di non salutare la cassiera, per non sembrare invadente e per non far innervosire quelli in fila dietro di me. E una volta entrata nel portone del mio palazzo, poiché sentivo dei passi, mi sono lanciata a razzo dentro l’ascensore chiudendo subito la porta con un gran fracasso, per il terrore di incontrare qualcuno e di dover dividere il viaggio di sette secondi con un vicino di casa, invece di stare sola e beata con la faccia dentro il telefono, a mandare sorrisi e baci via chat a chiunque. Il contrasto fra la gentilezza e l’affettuosa serenità d’animo, la sollecitudine che mettiamo nei nostri messaggi al mondo e la nostra espressione spaventata e rabbiosa quando qualcuno ci chiede: “Che ore sono?” dimostra che non siamo realmente maleducati. Abbiamo solo bisogno di essere rassicurati. Se mio padre avesse mandato un messaggio su Facebook all’uomo del parco, quello lo avrebbe probabilmente inondato di cuori e di link a Google Maps.