“Gli scrittori abbiano il coraggio di parlare di islam”. Intervista a Sansal
L'autore di 2084, massimo scrittore algerino vivente, si interroga sull'atteggiamento dei colleghi: “Perché tacciono? Troppo famosi e ricchi da compromettersi la reputazione”
Roma. “La letteratura e le arti non stanno svolgendo un ruolo di primo piano nella lotta contro la barbarie”. Quando due giorni fa Boualem Sansal, massimo scrittore algerino vivente, in un’intervista alla France Presse ha attaccato il ceto letterario cui appartiene, reo ai suoi occhi di tacere sull’islam, di parlare sempre d’altro, non aveva letto l’inserto culturale di Repubblica. R2 ha appena lanciato il nuovo romanzo di Pieter Aspe. “Giallista belga da due milioni di copie”, Aspe torna con il commissario Van In, “di fronte a dei terroristi che si immolano facendo scoppiare discoteche piene di ragazzi, sgozzano pedofili, sequestrano e uccidono laici brutalmente. Non sono islamici però, ma cattolici fondamentalisti”. Sensazionale.
Sansal, “l’Orwell algerino”, l’autore del romanzo “2084” (Gallimard) e in precedenza di “Le serment des barbares”, invita gli scrittori, gli artisti, gli intellettuali a mobilitarsi contro il pericolo islamista. “Il fondamentalismo islamico è una novità nel campo europeo e già contamina e corrompe i suoi valori, dimostrando come sia estremamente pericoloso”, dice Sansal al Foglio. “Spetta agli intellettuali e agli scrittori smontarne i meccanismi e spiegarli alla gente”. Ma i letterati tacciono. “Solo una piccola minoranza è impegnata. La paura, le minacce scoraggiano gli altri a mobilitarsi e ad aggiungere la loro voce. E’ un peccato. Gli scrittori dovrebbero, con la loro mobilitazione, incoraggiare le persone a resistere contro i predicatori, sostenendo i paesi di origine contro questo fondamentalismo. Vi è una certa urgenza, perché l’Europa è in una posizione di debolezza e di disgregazione, e questo incoraggia i fondamentalisti islamici a raddoppiare i loro sforzi e l’aggressività per tirarla giù completamente. La stampa deve porre le domande, invece è indifferente o complice”.
Ma dove sono i romanzi? Dove sono i Le Carré e i Ludlum, i Fleming e i Clancy, i Forsyth? Il numero di quelli che trattano del terrorismo islamico è così basso che non se ne ricorda nemmeno uno. Prendiamo John Le Carré, il maestro delle spy story, l’autore della “Spia che venne dal freddo” e altri bestseller. L’islam radicale non figura mai nei suoi libri, Le Carré preferisce facili nemesi come le case farmaceutiche (“The Constant Gardener”), le multinazionali, i big del petrolio, Israele, i servizi segreti occidentali, Bush e Blair. Nick Cohen, giornalista liberal, sul mensile Standpoint ha accusato Le Carré di “affettazione più deplorevole degli intellettuali occidentali”, ovvero “la convinzione che l’occidente è l’unico nemico che valga la pena di combattere”. In questo Le Carré è stato maestro di “centinaia, probabilmente migliaia, di scrittori che hanno preso la strada di Le Carré e descritto i mali dell’occidente e la cricca della Cia. Non riesco a sfuggire alla sensazione che essi sono codardi”.
“Quando i Clancy, i Forsyth pubblicarono i loro bestseller, l’America e il Regno Unito erano gli amici e i difensori dell’islam, dell’Arabia Saudita, del Qatar”, continua lo scrittore algerino Boualem Sansal al Foglio. “Oggi sono troppo famosi e troppo ricchi da voler compromettere la loro reputazione e immagino che abbiano paura di ricevere la fatwa di morte come Salman Rushdie, o che i loro editori li abbiano sconsigliati dall’affrontare questo argomento troppo controverso”. Intanto, avverte Sansal, è l’islamismo a prendere sul serio le idee. Lo aveva capito Tahar Djaout, ucciso nel maggio del 1993 dagli islamisti ad Algeri. Il romanzo che aveva appena finito di scrivere poco prima della morte, “L’ultima estate della ragione”, parla di un libraio, Boualem Yekker, in una città dominata da fondamentalisti islamici la cui smania per il potere è pari alla loro paura e all’odio per la creatività e la bellezza. I libri forniscono a Boualem un’àncora di salvezza, almeno per un po’. I fondamentalisti islamici vedevano negli scrittori come Djaout, e oggi in Sansal, i messaggeri dell’occidente e della cultura secolare. Per questo uccisero Laadi Flici, scrittore e medico; Abdelkader Alloula, commediografo e ammiratore di Goldoni, o Youcef Sebti, il poeta surrealista.
“Come il nazismo e lo stalinismo”
A gennaio, parlando alla Fondazione Varenne, Sansal ha scioccato il pubblico presente: “La Francia è già sulla strada dell’islamizzazione da parte di un islam importato, arcaico, brutale, settario, infernale e opportunista”. “Il sistema islamico, come tutti i sistemi totalitari, afferra l’individuo come si fa in un computer, ne cancella la memoria per fargli il lavaggio del cervello e poi ci iscrive un nuovo software che controlla tutte le funzioni come se ne fosse il direttore spirituale”, conclude Sansal nell’intervista al Foglio. “L’esperienza dimostra che è anche molto veloce: si è visto come giovani normali in poche settimane, mesi, si staccano dalle loro comunità, dalle loro famiglie, dai loro amici, per immergersi in un mondo nuovo radicalizzato, diventando un jihadista, un attentatore suicida. Gli intellettuali hanno una grande responsabilità in questa evoluzione, non hanno capito l’ascesa dell’islam radicale e, quando finalmente lo hanno capito, non hanno avuto il coraggio di combatterlo. Hanno fallito nella loro responsabilità storica intellettuale. Essi dovrebbero recuperare oggi, mobilitarsi per agire energicamente. Dovrebbero creare sinergie con gli intellettuali di tutti i paesi, perché l’islam radicale è globale. Nella sua guerra totale contro il mondo moderno, l’islam radicale ha dovuto adattare i suoi metodi all’ambiente, ha approfondito tutti i sistemi totalitari che sono esistiti nel XX secolo: lo stalinismo, il fascismo, il nazismo. L’islam radicale riduce a zero la capacità degli uomini di pensare, di decidere, di inventare. E li uccide nella loro responsabilità, nella loro famiglia, nella loro cultura, ne fa dei meri esecutori”.