La dittatura del gender
John Waters è un grande scrittore anticonformista e da due anni vive sotto linciaggio mediatico per essersi opposto ai matrimoni gay nella sua Irlanda. Formidabile j’accuse contro i tribunali del popolo e quel pensiero unico che ha ucciso la libertà d’espressione
(Il testo originale in inglese è disponibile qui / English version here)
Quando ho iniziato a fare il giornalista, trentacinque anni fa, la democrazia era intesa come qualcosa che aveva a che fare con la conversazione. Uno dei compiti principali dei media era quello di favorire il dialogo fra persone con idee diverse. Era una visione molto differente da quella di oggi, dove lo scopo finale è la facilitazione di un accordo fra le parti, come se lo scopo di una discussione fosse portare tutti a dire le stesse cose. Allora, la chiave di un dialogo era l’argomentare stesso: tirare fuori le forze e le debolezze delle varie opinioni per vedere se la prospettiva degli altri poteva avere una qualche influenza sui propri processi mentali. Era diffuso il senso che tutto questo fosse vitale per la democrazia, e che la gente ne avesse bisogno tanto quanto aveva bisogno dei libri e delle poesie.
Era anche piacevole. Tutti amavano assistere agli scontri fra opinioni divergenti. Era divertente. La conversazione era la linfa vitale della comunità umana, non era un ostacolo al progresso ma la sua stessa essenza.
Esprimere una visione eterodossa in certi ambiti significa rischiare la serenità e la reputazione
Tutto questo sta cambiando. Di certo sta cambiando nel mio paese, l’Irlanda, e sta cambiando vistosamente anche negli Stati Uniti, in Inghilterra e in altri posti che conosco bene. Le conversazioni sincere sono guardate con sospetto. Molti fra quelli con le visioni più radicali circa la direzione in cui la nostra società dovrebbe andare obiettano all’idea di doversi confrontare con chi non è d’accordo con loro. Esprimere una visione eterodossa in certi ambiti significa rischiare la vita, la serenità e la reputazione. I media, che un tempo incanalavano il disaccordo democratico, sono diventati la corte suprema del politicamente corretto, dove gli imputati subiscono processi pubblici per aver infranto il marxismo culturale che ci governa.
Ho subito il mio processo tre anni fa quando, all’approssimarsi del referendum sul matrimonio gay in Irlanda, una drag queen di nome “Panti Bliss” mi ha chiamato omofobo in televisione, dicendo che stavo cercando di distruggere la sua felicità, senza tuttavia offrire nessuna prova a sostegno della tesi. “Omofobia”, si capisce, è una parola truffaldina. Non ha un significato oggettivo chiaro se non quello che ha assunto all’interno della nostra cultura. E’ stata inventata dagli attivisti lgbt come strumento di lotta, concepito per demonizzare nemici, critici e oppositori in modo da escluderli e metterli sotto silenzio.
L’Oxford English Dictionary definisce “fobia” una “paura o un disprezzo estremi verso una cosa specifica”. Lo stesso dizionario definisce “omofobia” una “intensa avversione per l’omosessualità e gli omosessuali”. La parola ha anche la connotazione di una quasi-fobia verso gli omosessuali che può indicare il fatto che il soggetto stesso sta cercando di sopprimere l’attrazione verso il suo stesso sesso. Variazioni della parola “omofobia” sono usate dagli attivisti gay come strumento di censura, per imbrattare gli oppositori della loro opinione o delle loro richieste con una macchia che non può essere ripulita da nessuna risposta ragionata, una macchia che costringe anche gli altri al silenzio. Chiamare qualcuno omofobo non significa soltanto demonizzarlo e perciò metterlo a tacere, significa considerare le sue argomentazioni come radicate esclusivamente nell’odio o nella paura, cosa che dispensa dal rispondere ragionevolmente a ciò che dice.
Quando ho capito che si trattava di una calunnia calcolata, ho risposto con una lettera dell’avvocato in cui chiedevo al network televisivo di ritirare le accuse e scusarsi. Si sono aperte le porte dell’inferno. Per diverse settimane sono stato esposto al linciaggio di attivisti lgbt pagati da un’organizzazione “filantropica” americana con un misterioso ma profondo interesse nelle vicende del mio paese.
L’aspetto più immediato e notevole di questa ricaduta è la pioggia di email che sono cominciate ad arrivare, crescendo in intensità nella notte, salvo poi calare. Ogni mattina mi svegliavo con la casella piena di fango. Quella che segue è una selezione casuale che rappresenta il livello generale di veleno, analfabetismo e mancanza di immaginazione.
“Omofobia”, parola truffaldina, concepita per demonizzare critici e nemici e metterli sotto silenzio
“Sei un fottuto omofobo”. “Sei un CRETINO OMOFOBO”. “Abbi la decenza di scusarti con Panti, e poi sparisci dalla faccia della terra”. “Fottiti, indegno pezzo di merda. E cazzo anche tu sei brutto forte. Tagliati quei capelli unti, CRETINO OMOFOBO”. “John Waters è un CRETINO OMOFOBO”. “Prendi i tuoi capelli unti e crespi e mettiteli nel tuo culo pieno di odio, stronzo”. “Lei è un fanatico. E le chiedo gentilmente di AMMAZZARSI”. “Vai a fare in culo e muori orrendo idiota che brandisce la Bibbia, i giovani di questo paese ricorderanno per sempre il tuo odio ideologico e le tue giravolte per difendere una istituzione fanatica”. “Da giovane eterosessuale mi fai venire il voltastomaco con il tuo altezzoso complesso di superiorità. Non dimenticarti che anche tu come tutti noi devi tirarti giù le mutande e cagare, testa unta”.
La grande lobby del pensiero unico
“Uguaglianza”, come “omofobia”, una parola ricattatoria usata in modo capzioso.
Ci chiedono di adeguarci alle idee degli anni 60 e di deprecare quello che c’è stato prima
“Ciao John, volevo soltanto dirti che tutti in Irlanda pensano che sei un bastardo”. “Sei una macchia di piscio secco”. “Potresti giustificare il fatto che tu meriti più diritti di una coppia gay?”. “Ho incontrato autisti di taxi che almeno avevano il coraggio di ammettere che erano razzisti. Tu non sei soltanto un bullo ma anche un codardo”. “Addio omofobo professionista!”. “Fai alla progressista Irlanda un favore e abbandona il giornalismo, sei uno scandalo per il mio paese”. “Sono sicuro che tu e i tipi omofobi come te non freneranno i desideri della maggioranza degli irlandesi ancora per molto”.
E così via.
Dopo alcuni giorni ho notato dei pattern. Le email di rado contenevano accuse specifiche, solitamente s’ispiravano e ricalcavano quelle già inviate. In nessuna di queste si vedeva il tentativo di aprire una discussione. Ricevo molti messaggi critici, a volte offensivi, ma di solito tendono a essere legati a qualcosa che ho scritto o detto, anche se a volte gli autori mi hanno frainteso oppure hanno sentito soltanto voci di seconda mano. Queste email, invece, erano fatte interamente da insulti.
Per diverse settimane sono stato esposto al linciaggio. Mi sono figurato l’immagine di una stanza piena di attivisti gay che sputano email velenose contro i presunti nemici della loro felicità. Un’autentica industria del fango
Arrivavano in ondate dopo il tramonto fino alle prime ore del mattino, a volte venti o trenta al giorno. Raramente ne ricevevo prima di mezzogiorno e talvolta l’intero malloppo della giornata arrivava dopo le dieci di sera. Poi ho notato qualcosa di ancora più strano. Alcuni giorni non ricevevo alcuna email, e pensavo che si fossero fermate. Il tardo pomeriggio successivo, però, ne ricevevo una solitaria e pensavo: non sarebbe interessante se ne ricevessi una ventina di queste prima di mezzanotte? Puntualmente succedeva. E’ accaduto molte volte. Un mercoledì ricevevo venti email, il giovedì nessuna, il venerdì altre venti, anche se nel frattempo il livello di attività, commenti e interventi nel dibattito era rimasto invariato.
Mi sono figurato l’immagine di una stanza, da qualche parte nelle viscere della città, piena di attivisti gay che sputano email velenose contro i presunti nemici della loro felicità, magari fermandosi per un attimo per scambiare qualche idea su nuove formule e insulti, un’autentica industria del fango che lavora in modo febbrile per la causa della giustizia e della pace.
Lo tsunami sui social media è stato replicato sui media mainstream, con molti dei miei “colleghi” che ne approfittavano per regolare vecchi conti. Alla fine ho dato le dimissioni dall’Irish Times, per il quale ho lavorato per 24 anni, dopo aver scoperto che un presunto collega e amico si era unito alla festa dell’odio, twittando con uno pseudonimo, Thomas59. Quando ho avvertito il mio direttore di questa violazione dei principi fondativi della nostra azienda, mi ha ignorato.
La cosa davvero strana è che fino a quel momento non avevo detto quasi nulla in pubblico sul matrimonio gay, a parte domandare un paio di volte perché i politici fossero così interessati a questa non-questione mentre si rifiutavano con decisione di affrontare temi che avevo sollevato per anni, come il caos del sistema famigliare, la discriminazione dei padri nel sistema giudiziario e l’assenza di ogni riconoscimento dei diritti naturali di un padre non sposato nella legge irlandese. Non solo non ho attaccato la felicità di Panti Bliss, ma non ho nemmeno contestato il matrimonio gay in pubblico. Ero scettico sulla questione, fino a un certo punto, con certe motivazioni, con alcune riserve ed eccezioni, dunque non totalmente contrario. Ero pronto ad aspettare e a considerare qualunque proposta sarebbe stata messa sul tavolo.
Credo di essere diventato un bersaglio per quattro ragioni.
Si sapeva che ero cattolico, e dunque si presumeva che avessi una visione cattolica e tradizionale del matrimonio, e probabilmente anche dell’omosessualità.
Negli ultimi anni ero stato esplicito in un paio di casi in cui avevo fatto notare l’ipocrisia di certi giornalisti liberal e altri in casi che riguardavano omosessuali famosi. In uno di questi, si era scoperto che un noto poeta aveva avuto una relazione sessuale con ragazzi minorenni in un paese straniero. In un altro, un politico gay aveva dato un’intervista in cui suggeriva che l’Irlanda era troppo chiusa sugli abusi ai minori, e avrebbe dovuto guardare con più favore all’idea della relazione fra uomo e ragazzo, come avveniva nell’antica Grecia.
In quanto attivista dei diritti dei padri all’educazione dei figli, ho contestato un precedente referendum, nel 2012, che con la scusa di estendere i diritti dei bambini ha trasferito i diritti dai genitori allo stato. Eravamo una manciata dalla parte del No contro l’intero sistema parlamentare irlandese e i media. Siamo partiti con il consenso a cifra singola, abbiamo chiuso al 42 per cento, e probabilmente avremmo vinto se avessimo avuto un’altra settimana o giù di lì.
Mi sono espresso in particolare in favore del diritto dei cittadini di difendere ogni elemento della Costituzione così com’era, poiché rappresentava, fino a una riforma referendaria, la volontà del popolo. Era già diventato chiaro a quel punto che coloro che volevano il matrimonio gay non intendevano esporre i loro argomenti, ma desideravano che la loro proposta fosse accolta per acclamazione.
Per due anni, fino al referendum del 2015, il mio paese è stato vittima dello stupro culturale della propaganda. Il modello irlandese delle nozze gay è il gold standard attraverso cui ogni paese sarà misurato in termini di tolleranza
Per due anni, fino al referendum del maggio 2015, il mio paese è stato vittima dello stupro culturale della propaganda, foraggiata dai fondi stranieri, con l’obiettivo di condurre un raid predatorio sulla nostra definizione costituzionale del matrimonio, della famiglia e del ruolo dei genitori. Siamo stati assaliti con il bullismo emotivo e con i ricatti morali, ridotti a capri espiatori, siamo stati in parte persuasi e in parte costretti a introdurre una forma di matrimonio gay che è la più estrema di tutto il mondo. Poiché era una nazione fortemente cattolica, l’Irlanda è stata indicata dalla lobby gay internazionale come la nazione-trofeo la cui caduta potrà essere usata nel mondo come un grimaldello per scardinare altre nazioni meno devote.
Quelli che in Irlanda minacciavano di presentare qualche ostacolo per questa agenda politica sono stati presi di mira per assicurare che il trofeo potesse essere catturato con il minimo sforzo. Il modello irlandese del matrimonio gay è il gold standard attraverso cui ogni paese nel mondo sarà misurato in termini di tolleranza e progressivismo. Come risultato del passaggio dell’emendamento, abbiamo introdotto nella Costituzione un dispositivo che non soltanto permette ai gay di sposarsi, ma implicitamente afferma che non c’è differenza costituzionale fra una coppia fatta da due uomini o due donne e una coppia fatta da un uomo e una donna.
Il caso di Panti Bliss certamente ha avuto l’effetto di espormi. Dopo aver visto il modus operandi del branco lgbt sono diventato sempre più certo che avrei dovuto oppormi in tutti i modi ai loro tentativi di costringere l’elettorato irlandese ad adeguarsi al loro pensiero. Quando ho visto l’emendamento, mi sono deciso.
A una prima lettura, la formulazione dell’emendamento appariva relativamente innocua. Diceva: “Il matrimonio può essere contratto da due persone in conformità della legge senza distinzione di sesso”. Questa stesura dimessa s’attagliava alla tattica della lobby gay di presentare la questione come legata ai “diritti umani”, identica, dicevano, alla storica campagna per l’uguaglianza dei diritti dei cittadini di colore negli Stati Uniti.
Quello che osserviamo, anestetizzati, non è solo una presa di potere da parte di un movimento non rappresentativo, ma la sospensione stessa della democrazia e la distruzione dei suoi pilastri principali. Le nozze gay, ultima portata di un menù di “diritti progressisti” che hanno tentato di rovesciare la realtà
Non è forse nemmeno necessario osservare che il paragone è totalmente fasullo. L’estensione della piena cittadinanza ai neri negli Stati Uniti era un fatto di vera “uguaglianza”, perché si accordava con i principi fondamentali che riguardano la dignità di ogni persona umana e possono essere rispettati senza alcuna diminuzione dei diritti di altre persone. Non c’era perciò una ragione valida per cui l’uguaglianza non fosse così definita e messa in pratica, cosa che ha messo in luce che c’era effettivamente stata in precedenza una negazione gratuita e incredibile dei diritti umani.
Le stesse condizioni non si applicano alla richiesta della comunità lgbt sul matrimonio gay. Non contenti di un semplice decreto con cui gli omosessuali avrebbero potuto formare un’unione civile oppure accedere a una categoria dedicata del matrimonio, chiedevano che l’Irlanda riscrivesse il manuale della natura umana per soddisfare le loro richieste di “uguaglianza”.
L’emendamento in realtà era un colpo di mano, l’usurpazione di un istituto che è appartenuto esclusivamente a coppie che, come minimo, avevano la possibilità teorica di procreare. Inoltre, il matrimonio gay, qualora accompagnato dai diritti d’adozione e dalla legittimazione di potenziali pretese sui figli di altri, non poteva non avere conseguenze per altre categorie di cittadini. Estendendo i pieni diritti di genitori alle coppie gay, la società irlandese avrebbe accettato una radicale diluizione dei diritti concessi ai genitori. Ciò era inevitabile, perché l’emendamento era stato messo nell’articolo della nostra Costituzione che si occupa non soltanto del matrimonio ma anche della famiglia e dei diritti dei genitori. Il risultato – una bomba costituzionale – è che non ci sarebbe più stata alcuna protezione costituzionale per le funzioni procreative complementari di uomini e donne, e nessun riguardo particolare per le connessioni biologiche verso i loro figli.
Il matrimonio gay, accompagnato dai diritti d’adozione e dalla legittimazione di potenziali pretese sui figli di altri, non poteva non avere conseguenze per altre categorie di cittadini. Una lunga storia che fa capo alla diffusione del “marxismo culturale”
La riforma è stata venduta grazie all’uso furbo delle parole, specialmente la parola “uguaglianza”, come nella formula “referendum sull’uguaglianza del matrimonio”. La Costituzione irlandese stabiliva già che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma lasciava anche spazio alla possibilità di differenze in quanto a capacità e funzioni. Un autobus è uguale a un treno? Due uomini che legalmente possono essere definiti “uguali” a un uomo e una donna con dei figli possono essere considerati una “famiglia”? “Uguaglianza”, come “omofobia”, è una parola ricattatoria che è stata usata in modo capzioso per costringere le persone a cambiamenti che inevitabilmente avrebbero distorto diritti che generazioni di irlandesi hanno dato per scontati.
Dobbiamo chiarire una cosa: il matrimonio gay non è stata una spontanea manifestazione di interesse verso un “diritto umano” o un “diritto civile” trascurato. Se fosse stata una di queste due cose, uno si sarebbe potuto aspettare di trovare una lunga storia di campagne e argomenti ragionati che risalgono a decenni or sono, cosa che chi è in favore dell’emendamento cerca di farci credere. Se uno si prende il tempo per andare a spulciare gli archivi di un qualsiasi giornale progressista che in tempi recenti si è espresso con decisione in favore di questo “diritto” – e con la stessa decisione ha condannato chi non si adegua – difficilmente troverà un solo articolo sul tema fino a circa cinque anni fa. Troverà un’analoga assenza nei discorsi dei politici che di recente si sono schierati sull’argomento e si sono prodotti in condanne di chiunque non accetta la loro definizione di “illuminismo”.
Il matrimonio gay è soltanto l’ultima portata di un menù di “diritti progressisti” che hanno tentato di rovesciare la realtà. Viene dopo la “affirmative action”, il diritto di scegliere e la teoria del gender nella lista delle tematiche ordinatamente allineate nelle agende politiche delle società occidentali, senza che si sentisse il bisogno di una discussione pubblica. Questi trend contemporanei hanno una lunga storia che fa capo alla diffusione del “marxismo culturale” in Germania e America ottant’anni fa. Nella versione breve, basta sottolineare che queste idee sono entrate nel mainstream della cultura occidentale negli anni Sessanta, quando si sono trasformati nell’implicita ideologia del movimento “peace and love” e dei rivoluzionari del 1968.
La nostra cultura è arrivata a credere che gli anni Sessanta sono stati la Rivoluzione Finale, la prima sequenza della Fine della Storia. Da lì in avanti, niente del pensiero e dell’immaginazione umana necessita di essere cambiato drasticamente. Tutto ciò che è richiesto è che sintonizziamo la nostra civiltà sulle idee e gli ideali degli anni Sessanta e deprechiamo quello che c’era prima. E’ la perfetta sintesi di un’idea totalitaria: una cosa che è già stata scritta per il futuro e che non è esposta alle modifiche dell’uomo, come se il futuro fosse una città che è già stata costruita e non ci resta che trasferirci con tutti i nostri averi.
Le ideologie degli anni Sessanta ci hanno fornito un altro codice per il controllo e l’oppressione dello spirito umano, altro che controcultura. Gli obiettivi degli “idealisti” degli anni Sessanta sono la materia oscura della società consumistica moderna, alimentano una concezione dei diritti e della uguaglianza che in cambio spinge il sistema economico in avanti verso qualunque cosa pensa di andare. Matrimonio gay, utero in affitto, cambiamento dei valori della vita famigliare, identità frammentate: tutte queste sindromi generano attività che devono essere monetizzate, mentre coloro che ne sono soggetti diventano più docili alla distrazione e all’anestesia. Il fatto che la lista di richieste sia intrinsecamente contraddittoria non è per loro un’obiezione: chiedere, per esempio, le quote rosa e allo stesso tempo invocare l’eliminazione delle oppressive identità di genere. In realtà, i guru del marxismo culturale insegnavano che creare confusione e contraddizioni era una cosa buona e necessaria.
Per via della persistente ripetizione, ci siamo abituati all’idea che tutti questi concetti sono sintomi della libertà. La lista di queste richieste “liberali” è tenuta insieme non da un impegno per i diritti umani o per gli interessi di un gruppo, e nemmeno dalla preoccupazione per qualunque impulso umano, ma dal desiderio di conformarsi a un’agenda sociale radicale piena di obiettivi “cool”, e che perciò hanno il beneficio di dipingere coloro che li appoggiano in modo virtuoso, mentre i critici sono retrogradi e reazionari. La rivoluzione degli anni Sessanta è precipitata nella quasi totale assurdità, eppure rimane in gran parte accettata senza critiche in una cultura che è stata persuasa che è possibile eludere la stessa natura umana.
Questo illumina alcune delle molte surreali dimensioni dello pseudodibattito che ha preceduto il voto in Irlanda. A livello superficiale, la gente ha trattato il referendum come una cosa serissima e importante, ma dentro di sé molti si domandavano: da dove viene questa cosa? Di cosa parla? Perché succede? Come ha fatto una piccola minoranza della società irlandese a imporre la sua volontà all’intero establishment politico, quando molte cause hanno grosse difficoltà ad arrivare a un dibattito parlamentare? Perché improvvisamente ci è stato chiesto di considerare controverse cose che ci erano sempre apparse ovvie, cose che per milioni di anni non abbiamo sprecato un minuto a riflettere, ad esempio: davvero un bambino ha bisogno di suo padre e sua madre? La preside e il lattaio non potrebbero andare altrettanto bene? E il pompiere e il lattaio? In Irlanda, nella prima metà del 2015, degli adulti avevano conversazioni di questo tenore in radio e in televisione, per settimane e settimane.
Nel corso della campagna, il governo irlandese ha detto che l’emendamento era una semplice aggiunta alla forma esistente di matrimonio, e che non aveva conseguenze sui figli né sulla definizione costituzionale della famiglia. Una cosa disonesta e folle.
Una nuova formula per la famiglia. Ma trattando allo stesso modo sotto la Costituzione una coppia di uomini o di donne, non si sarebbe potuto evitare di abolire lo status legale della connessione biologica fra un genitore e un figlio come criterio della genitorialità
L’aggiunta di una nuova formula nell’articolo 41 della Costituzione, intitolata “la famiglia”, era destinata a modificare le disposizioni di quella sezione e a influenzare i significati della clausole esistenti, così che il potenziale impatto sui diritti espliciti e impliciti sarebbe stato imprevedibile anche per gli avvocati più esperti. L’articolo 41 della Costituzione irlandese comincia così: “Lo stato riconosce la famiglia come prima e fondamentale unità naturale della società e come una istituzione morale dotata di diritti inalienabili e imprescrittibili, antecedenti e superiori al diritto positivo”. Qualcuno davvero immaginava che un voto per il Sì potesse cambiare il significato costituzionale di parole come “naturale”, “primario”, “fondamentale”, “antecedente” e “superiore”? La lobby del Sì e il governo hanno ignorato queste obiezioni e si sono rifiutati di rispondere a qualunque domanda specifica riguardo a questo ovvio pericolo. La parola “naturale” in quel contesto si riferiva chiaramente al fatto che la famiglia fino a quel momento era stata principalmente definita come una madre, un padre e i figli, con i figli nati dalle funzioni biologiche complementari dei due genitori.
Era ovvio che se questo concetto veniva mischiato con l’idea che un uomo e un uomo, o una donna e una donna, dovessero essere trattati allo stesso modo sotto la Costituzione, non si sarebbe potuto evitare di abolire lo status legale della connessione biologica fra un genitore e un figlio come criterio della genitorialità. I genitori naturali non avrebbero avuto diritti speciali su altri adulti che reclamavano la paternità o la maternità degli stessi bambini con altre motivazioni – ad esempio, il compagno gay di uno dei due genitori biologici. Nel caso di un contenzioso, una madre o un padre non avrebbero potuto invocare diritti speciali facendo leva sulla biologia, e le stesse parole “madre” e “padre” avrebbero dovuto con ogni probabilità essere abolite. In altre parole, c’era un’invisibile costituency i cui diritti erano enormemente minacciati dall’emendamento, ma i politici disonesti e i giornalisti ideologicamente corrotti avevano negato a questa costituency il diritto a una opportuna discussione su questi temi cruciali. Agli elettori è stato semplicemente detto che avevano il dovere di estendere “l’uguaglianza” alle coppie gay, sono state loro ricordate le intolleranze del passato verso gli omosessuali e gli è stato chiesto come si sarebbero sentiti se i loro figli fossero gay. Non sono stati invitati a giudicare l’emendamento nel contesto dell’ambiente costituzionale, oppure a sostenere una discussione su come questo avrebbe potuto esprimersi nella pratica.
L’essere genitori si trasformerà inesorabilmente
in una questione sanzionata dallo stato.
Il matrimonio omosessuale è un cavallo di Troia che porta nel cuore della civiltà moderna un nuovo concetto della vita famigliare. Una profonda intolleranza mascherata da liberalismo
L’effetto dell’emendamento, in termini culturali, nel tempo includerà anche lo spostamento della protezione legale dei figli dai genitori naturali a un concetto nuovo di genitorialità definito non dalla biologia ma da uno strumento giuridico – l’affidamento – che sarà totalmente nelle mani dello stato e delle sue agenzie, e sarà tolto ai genitori per motivi non chiari né obiettivi, tutto ciò in un procedimento condotto a porte chiuse da un tribunale segreto. Così, l’essere genitori si trasformerà inesorabilmente in una questione sanzionata dallo stato, il quale si arrogherà la funzione di ratificare le relazioni fra genitori e figli secondo il loro status legale. Fra gli effetti collaterali di questo cambiamento va considerato anche la cosiddetta “genitorialità psicologica”, ovvero il ruolo dell’educazione e della cura, il contatto quotidiano e l’interazione, la compagnia messa in relazione alla parentela biologica; ciò che, in altri termini, può rendere un’entità non biologica capace di superare le pretese di un genitore naturale semplicemente guadagnando una prossimità al bambino attraverso circostanze come, per esempio, lo sviluppo di una relazione con uno dei genitori naturali.
L’idea che esiste una categoria fondamentale del matrimonio, definito come un esclusivo impegno fra un uomo e una donna, aperto
a una nuova vita e impegnato nella cura e protezione dei figli, è stata deposta in una tomba giuridica
C’è anche una conseguenza più grave. L’atto sponsale, l’unione sessuale di un uomo e una donna, non può avere alcuna rilevanza legale. L’idea che esiste una categoria fondamentale del matrimonio, definito come un esclusivo impegno fra un uomo e una donna, costruito attorno all’idea della loro unione coniugale, aperto a una nuova vita e impegnato nella cura e protezione dei figli, è stata deposta in una tomba giuridica, per sempre.
E’ importante sottolineare che questo è l’obiettivo ultimo della lobby lgbt. Nonostante possa apparire, in alcune circostanze e contesti, che si voglia accontentare di molto meno che di questa totale trasformazione della legge famigliare, non si tratta che di una tattica. E’ il “metodo salame”, procedere una fetta per volta, per ottenere tutti i guadagni incrementali possibili nella prima ondata, per poi capitalizzare chiedendo come mai i gay hanno avuto accesso alle unioni civili oppure a una versione minore del matrimonio ma senza godere, per esempio, dei diritti di adozione. La lobby lgbt tornerà sempre alla carica chiedendo qualcosa in più, fino alla vittoria definitiva.
Negli ultimi giorni della nostra campagna, una persona con una vista di falco ha richiamato la mia attenzione su un documento piuttosto sconvolgente nascosto nel sito di “Yes, Equality”, il gruppo che coordinava la campagna in favore dell’emendamento. Questo documento non soltanto confermava le nostre peggiori paure circa la reale intenzione della lobby del matrimonio omosessuale, ma andava molto oltre quanto noi stessi avessimo osato pensare nel descrivere le implicazioni di ciò che chiedevano e che presto avrebbero ottenuto. Si trattava di un paper scritto nel 2009 da un’accademica femminista e lesbica intitolato Feminism and the Same-sex Marriage Debate. In sostanza, questo documento articolava un’argomentazione diretta alle femministe più estreme che rimanevano contrarie all’istituto stesso del matrimonio, dicendo loro che era arrivato il momento di abbracciare il matrimonio gay in nome dell’“uguaglianza”.
Recita il paper: “Il matrimonio fra persone dello stesso sesso rovescia gli assunti biologici e culturali ‘naturali’ riguardo alla riproduzione e alla famiglia. Ha il potenziale per sovvertire e ribaltare la concezione storica e le implicazioni del matrimonio. Così facendo, avrà sradicato delle sue tradizioni l’ideologia e il mito romantico del matrimonio che è stato a lungo criticato dalle femministe”.
Con questo abbiamo avuto infine la conferma delle segrete intenzioni almeno dei più agguerriti e militanti elementi della lobby lgbt e del loro caravanserraglio – quegli attori che hanno preso la questione del matrimonio gay dal nulla e l’hanno portata al centro del dibattito pubblico. Il matrimonio gay non è parte di un programma rivoluzionario di libertà, è un cavallo di Troia che porta nel cuore della civiltà moderna un nuovo concetto della vita famigliare. Non implicava tanto la valorizzazione dell’omosessualità per la difesa degli omosessuali, ma fingeva una preoccupazione per l’uguaglianza per ripudiare e smantellare i concetti e le strutture che avevano permesso alle società umane di essere coese da quando i primi uomini hanno preso a muoversi sulla faccia della terra. L’obiettivo non era soltanto l’uguaglianza ma la sovversione del modello normativo della riproduzione e della vita famigliare, il rovesciamento dell’ordine naturale (va notato che la parola “naturale” è significativamente messa fra virgolette nella citazione sopra) e la distruzione del “mito romantico” del matrimonio.
Se qualcuno dalla fazione contraria all’emendamento avesse espresso una critica di questo tipo sulle reali intenzioni della lobby gay, è probabile che i giornali avrebbero messo le loro dichiarazioni nei titoli di prima pagina, accompagnate da dure reazioni della parte del Sì e dalle solite accuse di omofobia. Invece, nonostante io abbia letto il passaggio citato durante diversi dibatti televisivi, non una parola è stata pronunciata o scritta su questo nei media irlandesi. I giornalisti si sono semplicemente voltati dall’altra parte, e così facendo hanno ammesso, infine, che non erano più giornalisti ma tirapiedi ideologici al servizio di un progetto radicale per alterare il vero significato del più centrale e sacro fra gli istituti umani e per ridefinire il significato dell’uomo in relazione alla natura.
Ciò a cui abbiamo assistito in Irlanda nel 2015, e ciò che gli altri paesi occidentali stanno affrontando uno alla volta, non è meno di un attacco al significato e alla struttura dell’edificio umano. E’ anche un sintomo di una civiltà in decadenza, non tanto per le ragioni solitamente addotte (la degenerazione culturale), quanto perché la preoccupazione per una cosa arcana come il matrimonio gay è indicativa del livello di noncuranza e tracotanza che già di per sé è problematica per la civiltà umana. Una delle chiavi è quello che lo scrittore Ron Inglehart chiama “post materialismo”, con il quale non intende una società post consumista. La società post materialista è il culmine della deriva iniziata negli anni Sessanta, che ha le sue radici nell’illuminismo e nello sviluppo della società tecnologica, che ha liberato l’umanità dal lavoro manuale e gli ha permesso di vivere senza muscoli né sudore.
Il post materialismo funziona così: quando le persone non devono occuparsi di rispondere ai propri bisogni elementari hanno più tempo per concentrarsi su problemi periferici, ad esempio come le loro opinioni e i loro gusti possono aggiungere valore alle loro identità costruite. In Modernisation and Postmodernization, Inglehart dice che è impossibile prevedere, basandosi sugli indicatori economici, quali temi sono più attinenti alla politica delle varie società in un particolare stadio dello sviluppo. Ai post materialisti, dice, importa meno che ai loro genitori dell’autorità, della tradizione e delle istituzioni tradizionali, sono più tolleranti verso le differenze e mettono l’identità personale in cima ai loro indicatori per la soddisfazione e il successo.
Chiaramente qui tolleranza, come la parola uguaglianza, ha un significato diverso da quello originario. In un passato non molto lontano, tolleranza significava non interferire con le convinzioni che contraddicevano le proprie, ma sotto la dispensa contemporanea del politicamente corretto e del marxismo culturale, questo ha lasciato posto a una profonda intolleranza mascherata da liberalismo, che postula che tutto vada tollerato a eccezione delle idee di chi è in disaccordo con ciò che viene proposto.
In questo nuovo clima, la leadership politica e la risposta del pubblico alle questioni politiche più calde hanno più a che fare con le aspirazioni nella sfera personale che con la natura e i bisogni della società: come vuoi che i tuoi pari ti vedano, come le tue opinioni ti presentano agli occhi degli altri. Nelle nostre culture “liberali” le opinioni su questioni pubbliche si sono in qualche modo scollegate dalla convinzione o dall’analisi, diventando etichette delle identità, come t-shirt o tagli di capelli. La gente usa le filosofie o le posizioni politiche per farsi bella, completando così i loro vestiti e le loro automobili (“Guardami! sono un vegetariano filopalestinese che legge il New York Times!”; “Questo ateismo secolarizzato e pro choice mi fa il culo grosso?”). Il menefreghismo alimentato da sei decenni di prosperità e relativa pace ha reso la maggior parte dei nostri popoli incapace di immaginare che qualcosa di terribile possa accadere al loro mondo; perciò, non c’è bisogno di essere coscienti del contenuto fattuale dei temi politici, che semplicemente offrono il tessuto consunto per questo abito ideologico. In questo schema, odiare gli omofobi è importante almeno tanto quanto sostenere il matrimonio gay.
In questo nuovo clima, la leadership politica e la risposta del pubblico alle questioni politiche più calde hanno più a che fare con le aspirazioni nella sfera personale che con la natura e i bisogni della società: come vuoi che i tuoi pari ti vedano
Questa analisi in larga parte spiega il successo della spinta per il matrimonio gay, che è davvero la sintesi dell’insensatezza degli anni Sessanta. Spiega perché, negli ultimi quattro o cinque anni, cose che non erano mai state considerate urgenti sono state innalzate ai primi posti dell’agenda, principalmente attraverso la persistenza dei media nel metterli in cima alla loro lista delle priorità. E’ stata imposta alla nostra società una antropologia ricreata, tesa al trasferimento della custodia della realtà umana da Dio agli uomini – per la verità non tanto agli uomini, quanto a certi uomini. Siamo di fronte a una forma di suicidio culturale della specie, uno smantellamento di ogni cosa da cui la sopravvivenza dell’umanità dipende.
È tempo che il mondo capisca la natura radicale di ciò che è proposto, la repentinità con la quale queste cose sono atterrate nello spazio pubblico di tutte le società occidentali, il veleno e la spietatezza mostrata dagli avvocati di questi cambiamenti e la loro insistenza sul fatto che le società non sono autorizzate ad avere dibattiti esaustivi prima di prendere le decisioni che loro impongono. Quello che osserviamo, anestetizzati, non è solo una presa di potere da parte di un movimento non rappresentativo, ma la sospensione stessa della democrazia e la distruzione dei suoi pilastri principali, inclusi i parlamenti, i media e in certi casi anche i tribunali. Alla fine, questi fenomeni sono di una gravità tale da rendere il matrimonio gay una questione secondaria. Una grave corruzione della legge famigliare e delle sue protezioni, ma in fondo soltanto la caparra di un tributo che contiene ben più inquietanti implicazioni per la razza umana.
John Waters, giornalista e scrittore irlandese, “agnostico non praticante”, è stato uno dei protagonisti della battaglia contro il Sì al referendum sulle nozze gay. Columnist dell’Irish Time per 24 anni, lo ha lasciato quando ha avvertito anche nel giornale l’ostracismo culturale nei suoi confronti.
L’incontro
Il 18 marzo a Milano John Waters parlerà di terra e identità in una conferenza dal titolo: “Family, Land and Tradition: what kind of world we will leave to future generations?”. L’evento si terrà all’Hotel dei Cavalieri, in piazza Missori.