Spiana grillozzi, bersanozzi, gotoricchi, dalemotti. Sì, io amo Laura Cesaretti
Spacca il cielo della stupidità con tiritere piene di genio. La mia Laura petrarchesca, non perdona, non è né pietosa né misericordiosa
Mi sono innamorato di Laura Cesaretti. Non come l’innamorato fisso, che scherza nel suo genio inimitabile per una meritata gloria letteraria. Mi sono proprio innamorato. Di lei. Sono monogamo e peccatore debole, ma ogni volta che vado su Twitter, lei c’è. Un trionfo di battute che spiana grillini, grillozzi, bersanozzi, gotoricchi, dalemotti, che asfalta letteralmente tutto ciò che è vacuo, insincero, tutto il cagoia dell’antipolitica falsa e della politica per persone dabbene, dabbenaggine. Lo fa con coraggio femminile, con assiduità e cura degna della Donna che è in lei. Lo fa con l’anima ma si vede anche dietro le 140 fulminanti battute il linguaggio del corpo. Cesaretti, la mia Laura petrarchesca, non perdona, non è né pietosa né misericordiosa. Mette in salvo, lei che dovrebbe essere sicuro porto trecentesco con i bei capelli a l’aura sparsi, la manliness, la virile capacità di dire le cose come stanno, di esistere vivendo e vivere esistendo, ciò che manca a tanti frilli di giornalisti cotonati che stanno sempre a pensare ai ministri del futuro governo Grillo, Di Maio-io-io, Dibba-ba-ba, Wilders.
Questi si svegliano accaldati, come diceva il grande Lucio Colletti di un famoso commentatore opportunista, pieni di angoscia, stretti in un sogno che è incubo e dolore: si domandano quanti culi hanno da dare ai parvenu del vaffanculo, e si trovano sempre in difetto, più culi, più culi, invocano nella notte. Lei dorme di sasso, lo so, lo intuisco. Si sveglia e tuìtta. Ogni mezz’ora, anche di più. Lavora con le mani in pasta nella politica e nell’antropologia politica di questo paese disperatamente vile, ma ritrae sapiente le sue belle mani foglianti (era dei nostri, è dei nostri) dalla fanghiglia degli incorrotti e va alla tastiera per castigare gli infami, colleghi, avversari, frequentatori a sbafo del bordello parlamentare e politico, finti democratici rousseauiani, gente tirchia di sé, che ha una squallida vocazione per il potere purchessia, che ha le facce meritate di Di Maio e degli altri futuri sindaci e ministri dei miei stivali. Il suo è un magnifico concerto di ottoni di Aaron Copland, non un bel brandeburghese di Bach.
Non consola in nome di Dio, squilla in nome del diavolo che ha in corpo, crea il giusto allarme, sveglia il pasticcio delle coscienze vendute al cosiddetto più forte, e se Renzi si incasina, se il Pd si scinde, se il referendum è perduto, se tutto deve ripartire da zero, eccola che riparte da meno uno, che suona la squilla di lontano non già per dire ai dolci amici addio, come in Dante, ma andate a farvi sfottere ai nemici di questo disgraziato paesello, ai colleghi fissati con l’onestà-tà-tà, ai profeti golosi del nulla. Vedo che il geniale Fedele Confalonieri, chiacchierando con il radioso Salvatore Merlo, ha da ridire sui marciapiedi affollati dell’informazione puttana: un contratto per un milione di euro a Laura, una trasmissione in prime time di striscia, quotidiana, e la soddisfazione del pluralismo politico e della conversazione civile è tolta. Non potendo corteggiarla, perché sono ammogliato, vecchio e bavoso, e per giunta fedele quanto basta, almeno per ora, io la rituìtto, geniale soluzione per le dichiarazioni d’amore via web. Vorrei farlo sempre, ma non ci riesco: Laura è sempre un passo avanti, ha sempre pronto un fulmine gioviale e giunonico, spacca il cielo della stupidità così estesa con le sue tiritere piene di genio e di postura. Non so se lo si sia capito, io amo Laura e non posso vivere senza di lei.