Ucciso nel 2015, censurato nel 2017. Il destino di Charb
In Francia scompare il libro sui “truffatori dell’islamofobia” del direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier
Roma. “Charb? Dov’è Charb?”. Sono le parole terribili che quel 7 gennaio 2015 riecheggiarono nelle stanze della redazione di Charlie Hebdo. “Charb”, ovvero Stéphane Charbonnier, il direttore e l’anima della rivista satirica francese che, ultima in Europa, aveva pubblicato le vignette su Maometto. I Fratelli Kouachi quella mattina cercavano lui, Charb. Dopo averlo guardato dritto negli occhi gli spararono. Poi chiamarono, uno alla volta, i membri della redazione e subito vennero fatti secchi anche loro. Durante pochi minuti, i terroristi realizzarono una mattanza “scientifica”, che prevedeva la richiesta del nome ai giornalisti prima dell’esecuzione.
Charb stava lavorando a un pamphlet, che sarebbe uscito postumo, col titolo di “Lettera ai truffatori della islamofobia”. Di fronte alla critica contro il suo giornale, Charb aveva deciso di rispondere ai nemici. Ma i “nemici” a cui si rivolgeva Charb non erano i terroristi islamici che avrebbero decimato la sua redazione, ma gli “escrocs”, i truffatori intellettuali e i benpensanti che per anni avevano demonizzato, isolato, processato e indebolito Charlie Hebdo. Gli “attivisti comunitaristi” che cercano “di imporre alle autorità giudiziarie il concetto politico di ‘islamofobia’”. E poi la gauche: “E’ ora di porre fine a questo disgustoso paternalismo della sinistra intellettuale, borghese e bianco di sinistra”, scriveva Charb, che consegnò queste pagine al suo editore il 5 gennaio. Due giorni dopo ci fu il massacro.
Ora alcuni di quei benpensanti si prendono la rivincita sul direttore di Charlie Hebdo. Nelle ultime settimane, numerosi eventi culturali in Francia hanno “deprogrammato” la lettura pubblica della “Lettera ai truffatori della islamofobia”. La trasposizione teatrale del libro postumo di Charb doveva avere luogo all’Università di Lille, a cui avrebbe dovuto partecipare anche Marika Bret, una delle redattrici di Charlie Hebdo. Ma a Lille, il presidente della università Xavier Vandendriessche temeva gli “eccessi” e “il clima pesante”, così ha pensato bene di eliminare Charb dal programma. Per ben due volte. Il regista, Gérald Dumont, ha parlato di “censura” in una lettera inviata al ministro della Cultura, Audrey Azoulay.
Nelle stesse ore, infatti, il libro di Charb scompariva anche da due sale di un festival di Avignone, dove gli organizzatori parlano di “scelta poetica e politica” nel deprogrammare l’opera di Charb. “Se non è possibile ascoltare le sue parole, lui sarà morto due volte”, dicono gli organizzatori. “Come ridurre i morti al silenzio”, è insorto Raphaël Glucksmann, mentre Bernard-Henri Lévy sintetizza così: “Ucciso nel 2015, censurato nel 2017”. E’ il destino di Charb, ancora vittima dei paternalisti, schifosi intellettuali borghesi bianchi di sinistra. Contro la messa in scena delle parole del direttore di Charlie si era schierata anche la Lega dei diritti dell’uomo, perché “la sua posizione (di Charb, ndr) sulla religione musulmana non corrisponde all’idea che abbiamo di laicità”, ha detto alla Voix du Nord Gérard Minet, segretario della sezione di Lille della Lega.
Una delle ultime pagine scritte da Charb parlava degli islamisti che avrebbero attentato alla sua vita: “Se i sorci prendono d’assalto l’elefantiaca Repubblica e quest’ultima fugge chiamando la mamma, avremo perso. La laicità ha il culo abbastanza grosso per sedersi su questi parassiti e sterminarli”. Charb si sbagliava: il culo ce l’ha ormai molto, ma molto stretto.