L'importanza del pensiero negativo
Le persone positive non esisterebbero se non esistesse il contrasto con i pessimisti. Non lasciare che una bella giornata rovini la tua vita d’inferno
L’importanza del pensiero positivo, dicono. L’importanza di un accumulo quotidiano di micro momenti di positività, scrive il New York Times, come sorridere la mattina sotto casa a un bambino che sta andando a scuola e augurargli buona giornata, e pensare che bello oggi c’è il sole, e che meraviglia stasera se facciamo in tempo andremo al cinema, e se non facciamo in tempo berremo comunque un vino buono, e grazie del caffè, e che godimento mi dà leggere questo articolo su Amos Oz, o su Juve-Napoli, ed è quasi Pasqua e forse per la prima volta dopo un milione di anni non pioverà.
Dicono gli studiosi che faccia bene alla salute, al glucosio nel sangue, al cuore e insomma a tutto, essere un po’ felici o fingere di esserlo, apprezzare il mondo intorno o almeno non mandarlo al diavolo ogni minuto. Quindi i giornali, i libri, i siti internet, sono pieni di ricette per diventare pensatori positivi, abbandonare la negatività, le imprecazioni a denti stretti, e se proprio non è possibile trasformarsi in persone solari e ottimiste ci viene chiesto di recitare una parte, anche in nome delle regole del vivere civile secondo cui se si viene invitati a cena non si può dire al telefono: piuttosto che venire a casa vostra a mangiare quella roba immonda e a sedermi su quel divano duro e a parlare di collezioni di orologi, mi darei fuoco. Diremo quindi: ma certo, con piacere, oh no accidenti mi viene in mente che quella sera parto per l’Argentina, mi dispiace. Più fingiamo di essere ottimisti e felici e entusiasti, più lo diventiamo. Si chiama circolo virtuoso e promette anche ai misantropi e ai depressi di trasformarsi, con il tempo e l’ostinazione, in esseri umani positivi, con il rischio di eliminare il senso del tragico.
Ma le persone positive non esisterebbero se non esistesse il contrasto con i pessimisti, con i catastrofici, con quelli che seguono eroicamente un imperativo categorico: non lasciare che una bella giornata rovini la tua vita d’inferno. Sono loro, con il bicchiere sempre mezzo svuotato, con la smorfia all’ingiù ogni mattina, con la disperazione negli occhi appena squilla il telefono, e con una identica disperazione quando il telefono non squilla, a costruire il trionfo degli ottimisti, a farli perfino sembrare buoni, oltre che fortunati. A farli insomma risplendere di quella luce saggia e fastidiosa, al limite dell’esaltazione, perché sono convinti che troveranno parcheggio, e infatti in quel momento si libera un posto, e perché credono che se augurano buona giornata riceveranno una buona giornata in cambio, e l’autoconvincimento è così potente che nessun tombino, nessuna cartella di Equitalia, nessun litigio furioso offuscherà questo cielo blu.
In ogni caso, anche se accadesse qualcosa di brutto, l’ottimista non se ne accorgerebbe. Perché è il pessimista che ha lo spirito allenato all’osservazione dei dettagli negativi: il cappuccino è tiepido perché il barista mi odia, lo zucchero di canna è finito perché è una giornata sventurata, l’autobus mi è passato davanti agli occhi perché il mondo complotta contro di me, mia figlia ha preso cinque in francese perché la Francia mi è ostile, c’è il sole ma è una truffa, non è vero sole, è quasi pioggia. E come stai? Meglio che non ne parliamo. E che fai a Pasqua? A Pasqua piove. Potersi rilassare con un po’ di negatività, sentirsi a casa dentro la catastrofe: noi finto allegri non chiediamo di meglio.