La guerra in casa
“Così gli islamisti costruiscono lo scontro di civiltà in una Francia al collasso morale”. Parla Mendel
Roma. “Si stanno preparando a questo scontro di civiltà da vent’anni, noi abbiamo alzato le orecchie solo da due, loro sono molti più avanti nel loro programma di quanto non siamo pronti noi”. “Loro”, ci spiega Alexandre Mendel, autore del libro più completo sugli islamisti, “La France Djihadiste” (éditions Ring), sono i ventimila salafiti che vorrebbero rovesciare la patria dei Lumi, l’Esagono della laicità. Mendel è il primo ad aver inchiestato Lunel, borgo del sud tra Montpellier e Nimes, che ha la più alta percentuale di volontari dell’Isis. In questa intervista al Foglio, Mendel ci parla del nuovo libro che pubblicherà a ottobre, “La Partition”, sottotitolo: “Come la Francia ha capitolato di fronte all’islamismo”. Lo sfondo del nostro colloquio è naturalmente l’attacco agli Champs-Élysées.
“Ci sono ventimila salafiti”, dice Mendel al Foglio. “È un esercito più grande di quello della Svezia. È gente pronta a colpire le urne. Provi a immaginare: la gente si alza per votare, accende la tv e scopre che hanno attaccato i seggi. È da un anno che si parla di questo. Ci sono 50 mila seggi. È questa la paura dell’intelligence. E l’attacco di ieri ha forse già cambiato le elezioni, a favore della destra”. Un anno fa, l’esercito francese ha istituito un “comando per il fronte interno” dedicato a preparare il paese per disordini civili di massa e nel caso in cui gli islamisti avessero preso il controllo delle banlieue. Secondo Leslie Shaw, esperto di terrorismo della Business School di Parigi, questo significa una cosa sola: “Che in un simile scenario, la ‘guerra’ di cui ha parlato François Hollande nel novembre del 2015 non sarà quella combattuta in un teatro straniero, ma la guerra in casa”.
I bastioni jihadisti in Francia sono Seine-Saint-Denis, Vitry-sur-Seine (Val-de-Marne) e Villeneuve-la-Garenne (Hauts-de-Seine). Se nell’Ile-de-France si concentrano 25 moschee salafite, la Grand Lyon ne conta venti. Marsiglia ne ha una dozzina. Ce ne sono molte nel nord, tra Lille e Roubaix. La campagna attira molti salafiti, dove si possono isolare. Nessun censimento serio è stato condotto. Ma si parla di una popolazione fra 15 e 30 mila persone, che predicano e preparano lo scontro di civiltà. Chi sono i jihadisti francesi? Un rapporto del Centro per la prevenzione contro il settarismo nell’islam, fondato dall’antropologa Dounia Bouzar, dice che non vengono da famiglie povere, ma al 67 per cento dalla classe media. Solo il cinque per cento ha commesso reati. E l’80 per cento viene da famiglie “atee”. Quanto è grande questa armata islamista francese? “Hanno 120 moschee, ne abbiamo chiuse venti, ma gli imam continuano nei garage, negli appartamenti”, dice al Foglio Alexandre Mendel, uno dei massimi esperti di islamismo. “Siamo in guerra ma non facciamo prigionieri. Non un solo imam è in carcere. Hanno decine di scuole, come madrasse, dove educano i bimbi a odiare gli occidentali, la civiltà. Hanno case editrici e le ‘no zone gones’, dove la sharia è implementata, le donne sono invisibili, la gente non sposata è intimidita, c’è solo cibo halal e così via. Ce ne sono 25 in tutta la Francia, non vanno confuse con quelle dove la polizia non entra per paura. Non hanno bisogno di armi, a Nizza gli è bastato un camion. Anche se molti sono armati. Poi c’è una grande ‘zona grigia’, il 42 per cento dei giovani vogliono implementare la sharia. Ci sono piccoli gruppi che fanno sport o vanno in montagna per prepararsi alla guerra. Stanno convertendo seimila francesi all’islam ogni anno, nonostante la brutta immagine della loro religione. E gran parte dei convertiti abbraccia l’islam radicale. Uno dei due terroristi che voleva colpire Fillon era un convertito. Due moschee salafite nascono ogni settimana. E le salafite sono molto più popolari di quelle mainstream. L’80, 90 per cento dei giovani che va in moschea li trovi fra i salafiti. Ricevono soldi dai sauditi, dal Qatar, ma si autofinanziano, come a Trappes. In ogni supermercato c’è chi che chiede soldi per costruire una moschea”.
Passate le elezioni, a quale scenario si preparano? “Costruiranno lo scontro di civiltà chiudendo le comunità. Vogliono la ‘partizione’ della Francia. In dieci, quindici anni ci saranno luoghi dove la sharia sarà la legge. Siamo in ritardo. Dovevamo chiudere le moschee, incarcerare gli imam, entrare nei quartieri. Quello sarebbe stato un atto di guerra, ma loro pensano che noi siamo stupidi, deboli, che non abbiamo reagito ai massacri. Siamo deboli e loro lo sentono”. Cosa provano per il loro paese? “Sentono che siamo un paese al collasso morale, le nozze gay, il divorzio, non abbiamo valori, abbiamo abbandonato i figli, non facciamo bambini come in Italia, non proteggiamo la cultura. Pensano che il declino del cristianesimo è legato all’ascesa dell’islam. Sentono che non abbiamo ideologia da difendere. La Repubblica? Nessuno sa cosa sia. Vedono un paese che si agita, ma per loro stiamo andando indietro e loro avanti. Per loro abbiamo rinunciato a tutto. Si vedono come rivoluzionari che redimono la società. Si sentono pronti alla guerra”.
È troppo tardi? “Immagini il prossimo presidente che chiude le moschee. Facile dirlo, difficilissimo farlo. E immagini l’impatto su sei milioni di musulmani: cosa penseranno di un presidente che chiude le moschee e mette in galera i loro fratelli e sorelle? Per questo nell’intelligence lo dicono: non è possibile fermare ‘la partition’ della Francia. Manderemo carri armati nelle roccaforti della sharia? Non ne siamo capaci”.