E' il Salone del libro di Torino, ma sembra il Lucca Comics
Oltre graphic novel, albi e Stephen King anche i fumetti acquistano progressivamente spazio, tanto che per l’occasione Topolino presenta un numero speciale
Leggere non fa bene. I grandi lettori sono diventati tali anche perché da piccoli veniva detto loro che leggere “rovina gli occhi” o che non dovevano “leggere” ma “studiare”, si diventa lettori forti anche per trasgressione.
Leggere è bello, non “fa bene”, le signore che dicono che “bisogna bere” non riescono a finire la misera bottiglietta da mezzo litro che si portano in giro. E, nei suoi trent’anni, il Salone del Libro di Torino (al Lingotto fino a lunedì 22) si è progressivamente spostato dall’approccio “fa bene” a “è bello”, aprendosi anche a medium limitrofi o assimilabili.
Se Lucca Comics, vero paradiso dei nerd, è sempre più una fiera dell’intrattenimento, lo sta diventando anche il Salone, sempre più colorato e vivace. I fumetti acquistano progressivamente spazio, tanto che per l’occasione Topolino al Salone presenta un numero speciale, con copertina del torinese Paolo Mottura, che raccoglie alcune storie disneyane su libri e letteratura.
Ci sono graphic novel (libri a fumetti) di tutti i tipi, e al Salone quest’anno tornano fumettisti con un ampio seguito come Zerocalcare e Leo Ortolani, creatore del supereroe parodistico Rat-Man che presenta il comico-satirico “Libro delle meraviglie”.
Si fanno spazio anche i giocattoli per bambini grandi. Allo stand della casa editrice evangelica Claudiana, per i cinquecento anni dalla Riforma Protestante, campeggia Martin Lutero in versione Playmobil. Da vecchi appassionati dei Playmobil (abbiamo ancora il leggendario galeone dei pirati) probabilmente lo compreremo anche se non siamo fan dell’ex monaco agostiniano (Camillo Langone può stare tranquillo.
Da quest’anno arrivano pure i cosplayer (quelli che si vestono come personaggi di fumetti, film, serie tv) ben conosciuti a Lucca, per festeggiare J. R. R. Tolkien e il suo “Signore degli Anelli”.
Tolkien era un autore fantasy, seppure sui generis, e fino almeno agli anni Novanta (in certe conventicole ancora adesso) la letteratura di genere era snobbata e considerata spazzatura. E il re della spazzatura (una sua rubrica su un giornalino universitario era intitolata “Garbage Truck”, il camion della spazzatura) era considerato Stephen King, che quest’anno il Salone lo celebra (a settembre compirà settant’anni) in una conferenza di due ore con scrittori e giornalisti.
Peccato per la mancanza del Re (almeno un collegamento Skype con King si sarebbe potuto fare), però al Salone ci saranno suoi “figli”.
Come il piemontese Massimo Volta, presente all’evento kinghiano, che ha girato il cortometraggio “Nona”, primo film italiano tratto da un racconto di King: gli ha pagato un dollaro per i diritti visto che lo Zio Steve (come lo chiamano i suoi “Fedeli Lettori”) vende i diritti cinematografici di certi racconti a un prezzo simbolico per favorire i registi emergenti.
Il film, su un amore psicotico fa un ragazzo e una dark lady probabilmente non umana girato in inglese, è piaciuto a King (e anche a noi, che lo abbiamo visto a un festival horror dell’alessandrino).
O come la scrittrice emiliana Barbara Baraldi, cresciuta leggendo horror in posti da horror (“ero quella che vestiva sempre di nero, parlava poco e pensava troppo, aveva tre cani e nove gatti e viveva nell’ultima casa a sinistra”), al Salone esce il suo “Aurora nel buio” (Giunti), storia di serial killer in un’Emilia più che mai “paranoica”, con echi di antichi rituali pagani.
L’inizio, con l’inquietante Casa Ranuzzi disabitata da anni sembra, citare l’infestata Hill House di “La Casa degli invasati” di Shirley Jackson, uno degli horror preferiti da King. “Stephen King è un maestro nel raccontare le ossessioni dei suoi protagonisti” dice al Foglio. “Le innesta in grandiosi affreschi della vita di provincia in cui irrompe l’elemento imprevedibile del perturbante. Credo che questa struttura si adatti perfettamente alla situazione italiana”.
King narra orrori di provincia come quelli di “Twin Peaks”, la serie di David Lynch che nel 1990 ha rivoluzionato la serialità televisiva, rendendola, spesso, d’autore (prima c’erano i telefilm, adesso le serie tv); senza “Twin Peaks” forse non avremmo avuto “Lost”, “Breaking Bad” e “Il trono di spade”. Il Salone si chiude, lunedì pomeriggio con una conferenza sulla terza stagione della serie, dopo un quarto di secolo, in arrivo a fine maggio.
Libri (anche a fumetti), scrittori di genere, giocattoli, serie tv: è un Salone che magari non “farà bene”, ma senz’altro “bello”.