Dopo l'amore
Sempre più coppie si separano ma continuano a vivere insieme. Per necessità e anche per (dis)amore
La fine di una storia d’amore, di un matrimonio, di una vita insieme, non sempre coincide con il trasloco di uno dei due, di solito l’ex marito, l’ex compagno, in un appartamento più piccolo, buio, semi-arredato, in cui è difficile far entrare la credenza di zia Giovanna che con ostinazione lui ha portato via, caricandola sull’auto, rompendo un cassetto, e maledicendo zia Giovanna per tutto il tempo.
Secondo un’inchiesta francese pubblicata dall’Obs, sempre più separazioni avvengono senza muoversi di casa. In nome dei figli, della comodità, del mutuo e delle bollette, ma in nome anche di quel cipresso che si vede dalla finestra e a cui nessuno dei due vuole rinunciare. In nome della libreria, che se potesse parlare direbbe: lasciatemi qui. Se l’economia di coppia si basa fondamentalmente sulla casa in cui si è scelto di vivere insieme e crescere i figli, l’appartamento con i mobili Ikea tutti da montare, il divano abbastanza grande per tutti, e il tavolo lungo perché nell’idea di felicità c’erano sempre gli amici a cena, anche la fine di una coppia si basa sul posto che non si vorrebbe lasciare, quello in cui si sente al sicuro ma dove però è volato via tutto, e non sono servite le terapie, i nuovi inizi, le liti e le riconciliazioni, e andiamo a litigare in bagno perché i bambini non devono sentire.
Secondo l’Obs, se si è abbastanza ragionevoli da sentirsi ancora una famiglia, se non ci si odia troppo per quell’ultimo anno in cui lei non faceva altro che scappare e inventare convegni a Bologna, se insomma il disamore non ha compromesso anche la possibilità di incontrarsi davanti alla porta del bagno la mattina e dirsi: buongiorno, allora la migliore soluzione (non definitiva, ma niente è definitivo nella vita sentimentale) è quella di restare. Restare a casa, restare uniti nella separazione. Trovare il modo di dividere quello spazio che prima era completamente comune in qualcosa che sembri ancora una casa, ma con letti (stanze, se possibile) separati. Gli americani chiamano questa scelta “living apart together”, e i motivi non sono quasi mai soltanto economici, perché se non ci si sopporta più si è disposti a ogni impoverimento pur di non vedere la sua tazza della colazione nel lavello, la sua giacca appesa alla sedia.
Ci sono ex coppie che non vogliono far subire ai figli il trauma da divorzio, che loro ancora ricordano sulla loro pelle, quelle domeniche in cui, bambini, venivano messi sull’ascensore della nuova tristissima casa del padre, e ripresi la sera, con due colpi di clacson. La separazione dolce, dicono, è questa separazione in cui la convivenza non svanisce insieme all’amore. Ci sono sere in cui bisogna per forza uscire, perché l’accordo prevede che lei abbia una cena con i suoi amici e tu non sei invitato perché fai parte del passato, ma forse ti offriranno una fetta di dolce, sentendoti rientrare, lei proverà tenerezza e ti chiederà di sederti: in fondo una volta quelli erano anche amici tuoi. Un film francese dell’anno scorso, “Dopo l’amore”, di Joachim Lafosse, racconta l’impossibilità di continuare a vivere insieme, la divisione del frigorifero, le notti sul divano, lo smarrimento delle bambine, lei che si infuriava quando lui tornava a casa senza avvertire, lui che per andarsene voleva la metà dei soldi, perché quella casa l’aveva ristrutturata con le sue mani, e però in realtà sperava di ricominciare. Non è facile andarsene, ma nemmeno restare. Ci sono le foto di loro due anche in cucina, attaccate al frigorifero con un magnete, c’è lui che russa come ha fatto sempre, solo dieci metri più in là, ed è difficile dire, adesso, che qualcosa è cambiato.
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