Nel cavallo stanco di Boldini c'è la rassegnazione del genio della Belle Epoque
Una mostra dedicata al pittore ferrarese al Complesso del Vittoriano di Roma fino al 16 luglio
Una carrozza vuota senza il suo cocchiere e un cavallo che la trascina a fatica lungo una strada sterrata con alberi e cespugli poco definiti, mostrati in tutta l’essenza della loro ambiguità. L’animale è stanco e spaventato, vuole raggiungere una meta, scappa da qualcuno o da qualcosa e la sua andatura è in bilico costante tra rassegnazione e ribellione. “Cavallo e Calesse (La cavallina storna)”, prezioso acquerello della Fondazione Sorgente Group, è un’opera che non ci si aspetta da uno come Giovanni Boldini (1842-1931), simbolo della Belle Epoque, dello splendore e della piacevolezza del vivere. Boldini, l’artista ferrarese che conquistò Parigi e donne bellissime nonostante la sua statura (un metro e cinquantaquattro), molte delle quali immortalate poi nei suoi celebri dipinti. Femmes fatales ossessionate dalla vertigine dei sensi, ma allo stesso tempo madri e mogli fedeli, vanitose e ben salde nelle loro virtù morali, le sue “divine” – come amava definirle – un aggettivo il cui significato non stava nella bellezza estetica fine a se stessa, ma nel loro inconfondibile charme aristocratico.
“In realtà Boldini era un uomo malinconico, costantemente compreso nei propri pensieri e incapace di slanci ironici”, ha spiegato al Foglio Tiziano Panconi, storico dell’arte e curatore, assieme a Sergio Gaddi, della mostra a lui dedicata al Complesso del Vittoriano di Roma fino al 16 luglio prossimo dove troverete, tra gli altri, anche il Ritratto di Josefina Alvear de Errazuriz (1892) della Collezione Mainetti. “La tecnica dell’acquerello è piuttosto inconsueta per il pittore ferrarese” – ha precisato il curatore – “mentre il soggetto utilizzato (il cavallo col calesse, ndr) e il periodo in cui fu realizzato (il 1905, ndr), non possono non far pensare che Boldini si sia ispirato alla poesia “La cavallina storna”, composta da Pascoli due anni prima e dedicata al padre morto in seguito a un’aggressione da parte di sconosciuti sulla via del ritorno a casa”. Nato povero come Verdi (da lui poi raffigurato in un suo quadro-simbolo), enfant prodige dell’arte, Boldini avvertì la sua modesta condizione sociale come fardello e ostacolo alla propria affermazione professionale e umana, “una malinconia costante che si portò dietro tutta la vita”, ha ricordato Panconi, la stessa che ritroviamo anche negli sguardi diretti e superbi delle “sue” donne, come in tutto quel particolare clima sentimentale ed emotivo in cui vivevano.