Droghe, scene erotiche e sadomaso contro la sinistra, tana dell'invidia
Da molto tempo, che non apparivano nuovi esempi letterari di deboscia intelligente e dunque sia lodata Marta Zura-Puntaroni. Recensione entusiasta di “Grande era onirica”
"La capacità procreatoria dell’uomo è così strettamente legata al suo piacere, alla sua capacità di eiaculare, di venire. Quello che conta nelle donne non è l’orgasmo. E’ la fertilità. La capacità di concepire. La capacità di dare vita. La donna non ha bisogno di provare piacere per dare vita”.
Non è Costanza Miriano, è Marta Zura-Puntaroni, esordiente minimum fax con un romanzo pieno di droghe, ancorché legali, e di scene erotiche sadomaso: “Grande era onirica” (minimum fax, 180 pp., 16 euro). Perché si può essere insieme incontinenti e raziocinanti e questo lo si sa, o lo si dovrebbe sapere, almeno dall’Ecclesiaste. Ma era da qualche tempo, forse da molto tempo, che non apparivano nuovi esempi letterari di deboscia intelligente e dunque sia lodata questa nuova scrittrice marchigiana (San Severino Marche 1988) che vive non nella solita Roma bensì a Siena. Naturalmente “Grande era onirica” è ambientato a Siena e Madame Bovary è lei, l’autrice (o almeno così credo, o almeno così spero). E’ talmente saggia la voce narrante che quando dice “le case farmaceutiche hanno creato decine di composti sintetici per favorire l’erezione e l’orgasmo nell’uomo: noi donne siamo state riempite di maniere per restare o non restare incinte” il tono non è sarcastico o lamentoso bensì oggettivo, quasi soddisfatto. La protagonista, che non per insistere ma guarda caso si chiama Marta, è insomma una ragazza chestertoniana per la quale due più due fa sempre quattro, anche nelle fasi oniriche che prendono il nome dalle diverse dipendenze: Martini, Davidoff, Tavor, Fevarin, Depakin Crono, Entact, Olanzapina...
Intontita da alcol e psicofarmaci? Il rischio non viene nascosto: “La mia vita è diventata questa cosa qui: dosaggi, studio degli effetti – positivi, collaterali – ore di psicoterapia – soldi che se ne vanno – ore di psichiatria – soldi che se ne vanno – ricalibrazione delle sostanze, cambio del principio attivo”. Tuttavia il pericolo è sventato, lo sguardo non si appanna, la consapevolezza non viene meno e lo dimostra la lucida critica all’intera baracca psicomedica: “Le scuole di psicoterapia e psicanalisi sono simili alle religioni. Confessati, dammi cento euro, confessati, dammi cento euro, confessati, dammi cento euro”. La psicanalisi freudiana è “la più crudele e infervorata”, lo specialista junghiano serve solo a produrre ricette per medicine di cui non è noto il meccanismo d’azione e forse nemmeno l’azione, la Psicoterapia Familiare, la Scuola Cognitivo-Comportamentale, il Gruppo Settimanale di Aiuto per la Gestione delle Emozioni Scomode sono sette ereticali che meritano derisione e fuga. Verrebbe da dire: ma perché non la pianti di girare ambulatori e non vai a confessarti gratis da un prete? Forse è chiedere troppo a una ragazza sì cosciente ma pur sempre studentessa universitaria della finis Italiae, dunque affondata in uno spazio-tempo dove anziché pregare si fa yoga, dove l’amore fisico viene definito “fare sesso” e sminuito con preservativi e anticoncezionali.
Ho detto università: la protagonista se la fa con un professore, di quelli famosi per farsi le studentesse, e questo serve all’autrice per catalogare il moralismo delle compagne indignate per le altrui copule: “Facce di studentesse di sinistra: tutte uguali: l’abbigliamento, le calzature, i dreadlock dei capelli, il tartaro macchiato di tabacco negli spazi interdentali, le unghie rosicchiate...”. La sinistra come tana dell’invidia, concetto espresso da parecchi saggisti ma da ben pochi romanzieri (io ricordo solo Houellebecq, “La carta e il territorio”).
“Grande era onirica” è il libro di una donna che si finge narcotizzata per evitare la crocefissione riservata ai veggenti, e si conclude con un magnifico, controtendenziale elogio delle mura: “Se mai dovessi avere un figlio lo partorirei qui a Siena, e farei annunciare la sua nascita alla contrada, e lo battezzerei qui nella contrada... Resto diversi minuti a progettare il futuro di un figlio immaginario, a organizzargli l’esistenza perché nasca e viva e muoia tra le mura, al sicuro, nell’amore della contrada”.