Aiuto, qualcuno vuole affossare i più grandi direttori di museo d'Italia
Il consiglio di Stato e due cavilli per la riforma Franceschini
Milano. Come nei migliori musei, all’inizio serve una mappa per orientarsi. Più avanti nel percorso troverete alcune essenziali didascalie. Ecco la mappa. I direttori delle Gallerie Estensi di Modena, del Museo archeologico di Taranto, del Museo archeologico di Reggio Calabria, del Museo archeologico di Napoli, del Palazzo Ducale di Mantova hanno visto bloccare le proprie nomine in ruolo (legge Franceschini 106/2014) dal Tar del Lazio sulla base di ricorsi presentati da altri pretendenti che non hanno ottenuto quei posti. Il Consiglio di Stato domani si riunirà in udienza collegiale per discutere la sospensiva chiesta dal ministero dei Beni culturali contro la sentenza del Tar. Poi lo stesso Consiglio dovrà decidere sul ricorso del ministero. Dalla decisione non dipende soltanto qualche carriera personale, ma la tenuta dell’intera riforma dei grandi musei.
Ora una descrizione, didascalica, dell’assurdo contenzioso in base al quale una sentenza della magistratura amministrativa, pur se al suo sommo livello, potrebbe affondare con un paio di cavilli un’intera riforma di un settore strategico del paese. Peter Assman, austriaco, dirige Palazzo Ducale a Mantova, che nel 2016 ha registrato un incremento di visitatori del 51 per cento. Gabriel Zuchtriegel, tedesco, dirige il Parco archeologico di Paestum che nel 2016 ha incrementato del 70 i visitatori. La sua nomina non è stata bloccata solo per un vizio di notifica, ma Zuchtriegel potrebbe cadere nella stessa tagliola che minaccia anche James Bradburne, anglo-canadese, direttore della Pinacoteca di Brera, più 30 per cento di visitatori nel 2016, o Eike Schmidt, tedesco, direttore degli Uffizi contro i quali nessuno ha mai presentato ricorsi. Se infatti il Mibact dovesse perdere la sua partita, e il Consiglio di Stato dovesse dare ragione ai ricorrenti, si aprirebbe un vulnus nel quale potrebbero precipitare tutti e venti i direttori dei grandi musei e delle istituzioni di interesse nazionale nominati con la riforma Franceschini.
Al Mibact sono circospetti e fiduciosi, ma un po’ di tensione c’è. La questione tecnica che più è stata sottolineata come base della sentenza del Tar – che Franceschini ha definito una “figuraccia di fronte al mondo” – è quella di avere nominato in quei ruoli personale straniero. Secondo il Tar, il bando “non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani”. O, come ha dichiarato uno dei più acerrimi nemici della riforma, il professor Tomaso Montanari, “c’è una legge sul pubblico impiego del 2001 che dice espressamente che ogni dirigente pubblico deve essere cittadino italiano… Nessun paese d’Europa permette ruoli così importanti a chi non è cittadino”. Tralasciando che il direttore della National Gallery è italiano e quello del British Museum è tedesco, molti giuristi, tra cui Sabino Cassese, ritengono che sulla legge italiana faccia invece premio la legislazione europea: “Il Tar del Lazio ha dimenticato che fin dal 1957 esiste la libera circolazione dei lavoratori in Europa e ignora che il diritto europeo consente la nomina di cittadini stranieri come direttori di musei anche statali”, ha dichiarato Cassese all’Ansa. E siccome l’Italia è il paese basato sui cavilli, si è trovata anche una sentenza in cui il Consiglio di Stato diede torto a un ricorso analogo contro un cittadino greco proprio in base alle “disposizioni sulla libertà di circolazione all’interno dell’Unione”. Per tutelarsi, il governo in Commissione Bilancio ha fatto inserire un emendamento alla manovra in base al quale “nella procedura di selezione pubblica internazionale” di un certo tipo di figure apicali non si applicano i limiti previsti per il resto della Pubblica amministrazione.
In realtà la minaccia che pende sui direttori dei più importanti musei italiani è più sottile e scivolosa. È la parte dei ricorsi che contesta il modo in cui si erano svolte le “prove orali” per i selezionati, e i relativi punteggi assegnati. I colloqui svolti dalla commissione furono a porte chiuse (anche se furono videoregistrati). E forse si poteva escogitare di meglio. Dunque per il Tar vi fu assenza dei “principi di trasparenza e parità di trattamento dei candidati”. Se il Consiglio di stato confermasse questo aspetto, il problema riguarderebbe anche tutti gli altri direttori. L’obiezione del ministero è che, proprio trattandosi di posizioni di dirigenti di prima fascia, essi non vengono scelti tramite concorso. E c’è una scuola di giuristi che sostiene esattamente questa posizione. A Repubblica, l’esperto di diritto amministrativo Gianluigi Pellegrino ha spiegato: “Non siamo di fronte a un concorso ma a una scelta fiduciaria, anche se previo pubblico avviso. È quindi il ministro, che per altro si è avvalso dell’ausilio di una commissione di esperti internazionali, ad avere l’ultima parola nelle nomine dei direttori dei musei statali”. Come spesso in Italia, il destino di una riforma essenziale e che funziona è in mano all’interpretazione del cavillo. Ma, come ha detto il prof. Montanari: “Sì, ma la legge è legge”.