La riscossa del realismo parte dal verdetto della Corte europea sul latte di soia
Un paio di serie considerazioni sulla sentenza che impedisce a prodotti liquidi non provenienti da mungitura di chiamarsi latte occorre farle
Per quanto inaspettato, non ci si può che rallegrare del verdetto della Corte europea che impedisce a prodotti liquidi non provenienti da mungitura, ma dalla soia o da altro, di chiamarsi “latte”. Con ancora più allegria si accoglie la motivazione che dice che “le denominazioni [simili]… non possono essere utilizzate per prodotti diversi”, ossia, volgendola in positivo, prodotti di natura diversa vanno chiamati con nomi diversi. Non si può infatti che rallegrarsi della vittoria del realismo del senso comune in un’epoca in cui tante volte esso sfugge permettendo confusione linguistica e giuridica in molti campi. Tanto per citare un caso noto, non ci sarebbero voluti nomi e leggi diverse per amori diversi? Ma a prescindere da questo appunto, ormai buono solo per la memoria, un paio di serie considerazioni sulla sentenza della Corte europea occorre farle.
Innanzi tutto, rimane un segno grave dei nostri tempi che sia la magistratura a dover chiarire e normare qualunque aspetto della vita sociale. Questo iper-giuridicismo deriva dall’estremo individualismo e dall’ancora più estrema lettura della libertà come pura autodeterminazione piuttosto che come adesione al bene e alla società. Incapaci di avere valori davvero comuni che nascano da concezioni comuni, dobbiamo chiedere ai giudici di arbitrare infinitamente diverbi senza fine, che allontanano tutti da tutti, come nell’Inferno descritto da Il grande divorzio di C. S. Lewis.
In secondo luogo, più in profondità, nella sentenza della Corte emerge un richiamo alla “natura” che sembrava ormai desueto. La Corte richiama sia alla natura in senso stretto (“Il latte è esclusivamente il prodotto della secrezione mammaria normale”) sia, in senso meno positivistico, alla natura come rispetto degli “usi tradizionali” che possono sancire le eccezioni. Insomma, al di là dell’articolazione difficile tra natura e cultura, la Corte ricorda che c’è una realtà che il senso comune riconosce. Si dirà che non si può tornare a qualcosa di tanto antico come la “natura delle cose” – del latte, per esempio – o la “realtà”. Tra quelli che pensano che richiamarsi alla realtà e alla natura sia un’operazione autoritaria e violenta, quelli che ritengono il nulla la sola vera realtà e quelli, più recenti, che ritengono che il progresso, che intendono come il passare del tempo, debba comunque essere approvato come unica realtà valida, non sembrava che la fine del Novecento e l’inizio del Duemila riservassero molto spazio a realismo e natura, comunque poi li si voglia intendere. Eppure, proprio qui sta l’aspetto più controverso dei fondamenti filosofici e storici della giurisprudenza. Le Corti supreme, come quella Costituzionale italiana, si sforzano – secondo il bell’insegnamento di Paolo Grossi, presidente della medesima – di cogliere la voce della società in mutamento, facendo da “valvola respiratoria” per una legge che rischia altrimenti di essere normativamente asfittica. Come garantire, però, di cogliere i cambiamenti autentici e duraturi e non piegarsi, invece, a ogni moda? Come decidere se il latte di soia è un nuovo latte o se si tratta di un qualcosa di diverso che solo la moda può far considerare identico nella provenienza e negli effetti al vecchio amato liquido?
Chiamatele come volete, ma non ci sono chance molto diverse dall’appello alla realtà e alla natura delle cose se si vuole salvare il significato delle parole. Forse non era il caso che fosse la magistratura a dircelo, ma stavolta la magistratura ha espresso e difeso il pensiero del senso comune nei confronti di questa realtà. Certo, si tratta di un rapporto misterioso e complesso, ma qualunque ne sia la spiegazione, comunque si voglia articolare la relazione tra natura e cultura, non è possibile che essa cancelli la nostra comune percezione di riferimento al mondo di cui i nomi, come sempre, sono immagine e vita. La difesa del fatto che solo il latte sia latte sembra banale ma, forse, è un inizio di riscossa.