Tutti i libri ne hanno una, nessuno la legge. Fenomenologia della prefazione
Anche se oggi è poco amata, è utile ricordare che ha conosciuto epoche di lustro e ha vissuto il rigoglio massimo negli anni (dicono) d’oro dell’editoria. Breve indagine via Whatsapp tra scrittori ed editori
Eloquentissimo risultato di un sondaggio personale condotto via WhatsApp: eccetto il solo Antonio Pascale, si direbbe che non la degni di lettura neppure chi, nella vita, ne ha scritta almeno una; sensazione più diffusa: insofferenza verso la sua posa d’autorevolezza e il suo sfacciato mandato d’ingerenza; tollerata: in poesia, nella saggistica filosofica e nei classici – quando per lo più è un’altra cosa e si chiama introduzione, e si sa, certe introduzioni valgono quanto ciò che introducono; insopportabile soprattutto: in narrativa contemporanea. Quoi? Ma la préface! Sì, Ella, la Prefazione, madama onnisciente del regno delle pagine, duchessa del Lettore, Norma Desmond di altre ere dell’editoria, quando su decine di copertine impazzava, con la sua forbitezza insigniva, attraverso le sue indicazioni ammoniva e la sua logica imperava perché si autogiustificava: c’erano meno lettori, tutti più ingenui, e l’offerta editoriale era articolata diversamente. Anche se oggi è poco amata, è utile ricordare che ha conosciuto epoche di lustro, la prefazione, e ha vissuto il rigoglio massimo negli anni (dicono) d’oro dell’editoria, i Sessanta/Settanta. Nessuno è sfuggito a una prefazione: a tutti è capitato di saltarne una. E se anche ormai la si vede raramente e si ha l’impressione che eserciti se stessa malgré soi, qua e là ritrova il piglio d’un tempo, e allora ecco che ancora ammicca, ecco che si porge col suo fascino fané, ebbra di grazia trascorsa e della sua etimologia un poco liturgica, pronta ad aggrondare, avvertire, indirizzare il lettore del sofisticato romanzo turco e il più rustico compulsatore di manualistica botanica, il distinto studioso di novellistica persiana e l’appassionato di letteratura nordamericana del Novecento.
Interrogato in proposito, un rilevante esponente dell’editoria del quale, su richiesta, si tace il nome, dopo essersi vantato di non averne commissionata nemmeno una in anni di servizio, la definisce così: “E’ come quando metti le palline all’albero di Natale: metti qui e metti là, aggiungine una e poi un’altra, e all’improvviso non sai più fermarti – all’improvviso l’arcinoto sempreverde si trasforma in un pacchiano orpellone.” Rischia di essere dunque questo, la prefazione? Una dismisura decorativa? Sarà più un gesto supponente o più un gesto malinconico? E’ una spiccia operetta morale o una filippica irrichiesta, questo spettro della Marchesa? O più un faro che illumina il prefatore della luce riflessa del prefato? E che se ne fanno, oggi, i lettori, tutti smaliziati e impudenti, di questo lavacro didattico, di questi carabinieri che scortano Pinocchio, di questo zerbino sul quale imporre loro di pulir la scarpe infangate d’ignoranza prima di posare i piedi sul marmo della Letteratura? Che se ne fanno di quest’ordalia minore tramite la quale “ci si merita” il romanzo? Quasi tutti la odiano, la prefazione, ma perché? “Io non la leggo mai,” mi dice uno scrittore italiano d’alta classifica, là dove l’aria è rarefatta. “Leggo solo le postfazioni, la prefazione mi viola qualcosa”. Si tratta pertanto di un dispositivo che sottrae piacere? “Io a volte la sbircio,” dichiara un semi esordiente di blasone, “ma spesso la leggo a metà libro…”; e poi: “Non la odio, ma nemmeno la amo.” Quindi – ipotizzo – centellinare una prefazione è l’unico modo per sopportarla? Uno scrittore retrofuturista confessa: “Sono un feticista delle note – pensa a “Nuovo commento” di Manganelli, le note senza libro! –, ma la prefazione d’autore al classico, voglio dire, che senso ha? E la prefazione al testo di un vivente? Terribile!”. La prefazione – azzardo, infine – è un tizio che non sta mai al posto suo? Uno scrittore pluripremiato, che di conseguenza ne scrive eccome, di prefazioni, mi fa: “E’ come se a teatro o prima di un concerto entrasse qualcuno a spiegarlo. Che fine farebbe tutta l’illusione?”. Svanirebbe, certo. Dissolta in un puf!, l’illusione. Soprattutto quella a cui i lettori tengono di più: quella di essere sempre all’altezza.