Il ceto medio riflessivo che non esiste, ma lotta insieme a Tomaso Montanari
Il partito "a due cifre" della borghesia intellettuale malmostosa
Milano. “Questa cosa nasce per essere a due cifre percentuali, se dovesse ridursi alla sinistra arcobaleno sarò il primo a dire che è stato un fallimento”. Fairpaly impone che si facciano gli auguri, a “questa cosa” che nasce, e che poi sarebbe l’Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza, che poi è innanzitutto una “piattaforma politica, civica e di sinistra”. La domanda che subito dopo s’impone è dove possa trovarlo, il professor Tomaso Montanari, quel bacino d’utenza a due cifre che ha evocato, con tratto visionario, domenica al Teatro Brancaccio. La risposta sul dove non è poi così complicata, in teoria.
Tutto starà, dopo, a verificare l’approssimazione alle due cifre. Dove può trovarlo, il suo popolo di sinistra, è presto detto: è quello che gli somiglia per profilo sociologico. E’ quello che uno o due decenni fa andava di moda chiamare il ceto medio riflessivo. Il ceto intellettuale diffuso, elitario per autocoscienza e velleitario per vocazione, costantemente incazzato (pardon, “critico”) con l’andazzo del mondo. Il ceto degli insegnanti di scuola pubblica (e universitari, soprattutto quelli meno propensi all’internazionalizzazione), le professioni del sociale, i mondi del lavoro editoriale e della comunicazione. Possibilmente non nei settori maistream. Tomaso Montanari è, nell’ordine, animatore con Anna Falcone del nuovo progetto politico; presidente di Libertà e Giustizia; blogger e scrittore polemista di buon seguito – ormai presidia saldamente i territori “siamo contro la riforma Franceschini” e “siamo contro la riforma della scuola”. Ma soprattutto è uno storico dell’arte, e infine un professore. Professore d’accademia, con qualche privilegio e libertà in più dei suoi colleghi di liceo, ma ceto medio riflessivo. Afflitto dalle stesse ubbìe del suo possibile elettorato. Ubbìe che prima di essere politiche – “vogliamo rompere con la sinistra alla Tony Blair che fa il lavoro della destra”, “pensiamo che ormai il Pd faccia parte della destra” – sono di carattere socio-culturale. La cultura rovinata dall’industria dei media; l’arte ridotta a turismo; il paesaggio svenduto ai palazzinari anziché affidato agli urbanisti di sinistra. Il no alle Olimpiadi, ai viadotti, ai test Invalsi. Tutto questo simboleggiato dal No del 4 dicembre trasformato, da bocciatura di una legge di riforma, in totem della resistenza passiva alla marea montante della non-cultura, della “diseguaglianza” come concetto generale. Ma soprattutto è “l’infelicità collettiva”, che il cetomedista riflessivo scorge in ogni cittadino vessato dal progresso, il mood dominante.
Ci si interroga e interrogherà su quali tratti possa avere in comune questa base rivendicativa con quella dei grillini (a scuola la chiamavano insiemistica). Forse questo: mentre Grillo si porta dietro un ceto medio-basso in regressione economica, dequalificato e internettiano, Montanari si porta dietro quella che, decenni fa, si autodefiniva come l’Italia minoritaria in grado però di salvare il paese grazie alle sue doti di consapevolezza critica e civica. La piccola e media e alta istruita. Oggi sono incazzati come grillini, ma questo è il mercato.