Altro che amante, Don Giovanni usa la bocca per mangiare, piuttosto che per baciare

Antonio Gurrado

Grandi banchetti e bevute luculliane. Il rapporto tra povertà, amore e cibo nell'opera in scena al Festival dei Due Mondi di Spoleto

Il Festival dei Due Mondi di Spoleto, giunto alla sua sessantesima edizione, nasce ed è sostenuto da chi fortemente crede nella efficacia e nel coraggio della cultura. Primo tra tutti il suo presidente Giorgio Ferrara che ne è il cuore e la mente organizzatrice. Il Festival riconosciuto oramai come manifestazione culturale d’interesse internazionale vede il confronto tra culture lontane e diverse con la presenza di grandi artisti e giovani promesse che animano la cittadina umbra. Dal 30 giugno al 16 luglio, diciassette giorni di grande spettacolo: con 90 titoli e 174 aperture di sipario: opera, musica, danza, teatro, numerosi eventi speciali e mostre d’arte. Il Festival si inaugura con il “Don Giovanni”, opera in due atti di W. A. Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte. La regia è curata da Giorgio Ferrara, le scene da Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, i costumi da Maurizio Galante. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e l’International Opera Choir saranno diretti da James Conlon. Tra gli interpreti principali Dimitris Tiliakos nel ruolo di Don Giovanni, Antonio Di Matteo, il Commendatore, Andrea Concetti, Leporello.  

 


  

Potrebbe apparire sorprendente che l’attività principale nel “Don Giovanni” sia il mangiare e non l’amare. A ben leggere, tuttavia, il libretto si tiene piuttosto nel vago quando si tratta di capire cosa mai combini Don Giovanni finalmente solo con le vittime che persuade, e sia lui sia loro risultano sempre fumosi nel momento in cui c’è da descrivere l’atto: l’espressione più esplicita è il darsi la mano; per il resto si ha una gamma di reticenze o iperboli che va dal mero “star sola con un uom” allo “sposar”. Tutto viene lasciato all’intuizione dello spettatore tranne il fatto che Don Giovanni non baci mai: gli unici due baci conclamati dell’azione sono quelli arcadici, coniugali fra Zerlina e Masetto; e quelli dati da Leporello, travestito da Don Giovanni, quando deve prendersi cura di Donna Elvira per consentire al padrone di avere campo libero con la serva della sua ex amante.

 

Poiché non bacia, Don Giovanni usa la bocca soprattutto per sbafare. Seduzione e crapula sono strettamente correlate: “Vivan le femmine, viva il buon vino, sostegno, gloria d’umanità!”, brinda Don Giovanni un attimo prima che il fantasma del Commendatore si manifesti alla sua porta. E’ il momento in cui il cadavere pietrificato dell’uomo, che il seduttore ha ucciso dopo averne sedotto la figlia, lo coglie in sala, o meglio, scrive Da Ponte, a “una mensa preparata per mangiare”: qui vengono serviti fagiano e marzamino; qui Don Giovanni mangia con “barbaro appetito” e “bocconi da gigante”. Il cuoco è talmente bravo che perfino Leporello cessa per un attimo di servire Don Giovanni e ne approfitta per cibarsi di nascosto. Del resto già nella prima scena il servo aveva lamentato che per ottemperare alle scorribande di Don Giovanni è costretto a “mangiar male e mal dormir”. La differenza che intercorre fra le due classi sociali è proprio questa: Don Giovanni mangia quando vuole, Leporello mangia quel che può.

 

 

 

Per questo motivo la predilezione del seduttore, almeno nel tempo dell’azione scenica, sembra andare decisamente a donne povere come Zerlina e la serva di Donna Elvira. I poveri hanno fame e Don Giovanni li sfama: dal proprio palazzo ordina per loro “cioccolatte, caffè, vini, presciutti”; a casa propria fa servire “caffè, cioccolatte, sorbetti, confetti”. Non contento, Don Giovanni compie il miracolo di trasformare i poveri in cibo per mezzo dello sguardo seduttore. Quando tenta di carpire Zerlina, Don Giovanni ne elogia il “viso inzuccherato” e quindi indegno di “un bifolcaccio”, ossia di un contadino che non può permettersi cibi raffinati. Quando, camuffato da Leporello, il nobile azzarda una serenata alla serva di Donna Elvira, le canta: “Tu ch’hai la bocca dolce più del mele, tu che il zucchero porti in mezzo il core”. Il dessert è la portata fondamentale del pasto del seduttore e segna il preciso confine fra ciò che il nobile può permettersi e i poveri no. Il debutto del “Don Giovanni” fu il 29 ottobre 1787; la versione rimaneggiata è del 7 maggio 1788; la presa della Bastiglia accade il 14 luglio 1789.

 

Il catalogo delle conquiste del padrone che Leporello espone a Donna Elvira per consolarla d’essere stata abbandonata – e rivelandole che a patire la sua stessa sorte sono state “in Italia seicento e quaranta, in Lamagna duecento e trent’una, cento in Francia, in Turchia novant’una; ma in Ispagna son già mille e tre” fra “contadine, cameriere, cittadine, contesse, baronesse, marchesane, principesse”, “donne d’ogni grado, d’ogni forma, d’ogni età” – ebbene, quel catalogo è un menu pantagruelico. Don Giovanni è un seduttore all you can eat, che si abbuffa di ogni carne con la stessa ghiottoneria che mostra a tavola, fino al momento in cui il Commendatore non si presenta alla sua porta a ricambiare l’invito (“Don Giovanni, a cenar teco m’invitasti. Rispondimi, verrai tu a cenar meco?”); fino a che Don Giovanni con spavalda ingordigia non accetta l’offerta di un pasto agli inferi; fino a che, insomma, le viscere della terra non si aprono per mangiare il mangiatore.

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