Dispiace per i maligni, ma lo Strega di Cognetti è meritato
“Le otto montagne” (Einaudi) ha fatto la doppietta, aggiudicandosi anche lo Strega senza precisazioni
Pensavano i maligni: hanno dato a Paolo Cognetti il Premio Strega Giovani a mo’ di contentino, per levarlo di mezzo. Invece “Le otto montagne” (Einaudi) ha fatto la doppietta, aggiudicandosi anche lo Strega senza precisazioni. Siccome in Italia siamo tutti dietrologi, il giorno dopo si contano le congiure non andate a buon fine. Forse, come scriveva Paolo Villaggio alla fine dei racconti sul ragionier Ugo Fantozzi, “sono solo pettegolezzi da bassa portineria”. Sta di fatto che abbiamo letto di signore in marcia contro Teresa Ciabatti (Mondadori): come si permette, in “La più amata”, di raccontare una femmina un po’ stronza, e pure ostinatamente figlia, senza tentazioni materne?
Intanto gli editori autonominatisi “fuori dai giochi” auspicavano la vittoria del proprio candidato contro lo strapotere di Mondazzoli. E che importa se il romanzo in questione – “La compagnia delle anime finte” di Wanda Marasco – persegue un’idea narcisista della letteratura? La soddisfazione dello scrittore conta più della soddisfazione del lettore. L’innesto dei nuovi votanti reclutati presso gli istituti italiani di cultura all’estero – ma non Parigi, neppure New York – non ha ribaltato i pronostici. Se a questo dovevano servire.
Di sicuro c’è una cosa. La rottamazione politica è fallita, la rottamazione letteraria sta avanzando. Paolo Cognetti ha 39 anni, età che in Italia si addice al giovane scrittore debuttante, non al vincitore di premio Strega (prima, ci sono stati “Manuale per ragazze di successo”, 2004, e “Sofia si veste sempre di nero”, 2012, entrambi minimum fax). Non è neppure il montanaro incallito e vecchio stile che la sola lettura del romanzo vincitore suggerisce. Fino a qualche anno fa riservava le sue attenzioni a New York, come dimostrano i suoi documentari sugli scrittori americani e i vagabondaggi letterari di “New York è una finestra senza tende”.
Già benissimo venduto all’estero ancora prima che di Premio Strega si parlasse, “Le otto montagne” è un romanzo come letteratura comanda. Ben scritto, senza fronzoli e ricercatezze. Ci sono le parole che servono a raccontare la storia, e anche quando son di scena i paesaggi alpini, la vena poetica è tenuta a bada. Lo diciamo noi che per la montagna non abbiamo nessuna passione, e neanche abbiamo un debole per le storie di arrampicate, baite da costruirsi a mani nude, amicizie virili (una mamma e una fidanzata sono molto sullo sfondo). Una cosa sola – nel più puro genere “consigli non richiesti” – vorremmo dire a Paolo Cognetti. Il suo modello è Henry David Thoreau, con “Walden - Vita nel boschi”, purtroppo tanta passione per la montagna filtrata dal giornalista collettivo rischia di farlo somigliare a Mauro Corona.
Teresa Ciabatti è arrivata seconda, dopo che mesi non si è parlato d’altro che di “La più amata”: finzione o verità? quanto c’è di vero e quanto c’è di falso? Se uno scrittore racconta i fatti propri si parla di autofiction, se una scrittrice racconta i fatti propri si tratta di pettegolezzo? Storia dei misteri italiani o memorie di una povera ragazza ricca? Ognuno ha la sua (legittima) versione dei fatti. Parlandone come di un romanzo da premio Strega, c’è il problema di Orbetello: luogo ben noto ai recensori e ai fan del libro – basta nominarlo, l’ambiente si delinea senza bisogno di raccontarlo. Non succede lo stesso per i lettori che abitano un po’ più lontano. Non è un male, comunque, che un po’ di chiacchiere e di ripetizioni e di punti fermi e di sintassi elementare entrino in un romanzo candidato allo Strega.