Il cadavere, il sesso e uno specchio. Che spettacolo la riesumazione di Dalí
Si riapre la tomba per il test del Dna chiesto da una donna per confermare la parentela con l'artista
Milano. Salvador Dalí aveva una perversione per la morte, scheletri, cadaveri di animali, volti di defunti, le formiche che divorano un pipistrello morente, l’asino putrefatto. C’è anche un corpo riesumato, in stato avanzato di decomposizione, che a guardarlo ora sembra una premonizione – una delle tante – visto che oggi sarà il cadavere di Dalì a essere tirato fuori dalla tomba e osservato e ispezionato per trovare un frammento di Dna utile a capire se Dalí è il padre di Pilar Abel.
Il solo fatto che l’artista spagnolo potesse essere un padre è una perversione, o forse una distorsione, di un’immagine, di una eredità, di un ricordo. Dalí era fissato con la masturbazione (davanti allo specchio), con il rifiuto del sesso e ancor più con l’ossessione erotica per la morte, mangiare carne putrefatta come atto di piacere estremo, perverso certo, ma anche “controllabile”. Nella sua autobiografia, The Secret Life of Salvador Dalí, l’artista racconta la storia di un re che prova a curare la sua perversione sessuale per la morte mangiando il naso di zucchero di un manichino, come se stesse consumando la carne di una donna vera. Quando il re “uccide” questa donna, trova l’estasi nella dolcezza della morte, ma riscopre anche nella dolcezza della vita, e si pente di averla condannata a morte per la sua ossessione. Questa perversione si cura, insomma, ma per Dalí è più di una disfunzione da curare, è la rappresentazione del suo matrimonio con Gala: dopo il primo bacio, Dalí ebbe l’istinto di ucciderla, di buttarla giù da un precipizio, e racconta di averle preso la testa e chiedendole: “Dimmi lentamente, guardandomi negli occhi, le parole più erotiche e più feroci che puoi in modo che ci facciano provare la più grande delle vergogne”. Capì che era amore, quando lei rispose: “Voglio che mi uccidi”. Dalí amava Gala alla follia, ma non faceva sesso con lei; Gala lo ricambiava della stessa adorazione e sfogava il suo desiderio sessuale con altri. Dalí no, racconta di donne che perdevano la testa per lui, di una ragazza che lui ha baciato e accarezzato per cinque anni (ma Gala ancora non c’era) senza mai andare oltre, studiando da vicino le trasformazioni del desiderio e del piacere, ripetendo: tra cinque anni ti lascio, e poi lasciandola.
Ora però c’è la mamma di Pilar Abel, che secondo la ricostruzione della figlia (la confessione della paternità di Dalí è stata raccolta da Pilar dalla madre, che da anni è ammalata di Alzheimer) aveva 25 anni quando lavorava come cameriera a casa Dalí a Port Lligat: lui aveva 55 anni. Pilar ha ottenuto la riesumazione, la Fondazione che porta il nome dell’artista continua a opporsi e dice che farà appello, ma questa storia di morte, tombe che si riaprono, corpi putrefatti non sarebbe uno spettacolo perfetto senza Pilar. La quale è già diventata celebre per aver intentato e perso una causa contro lo scrittore Javier Cercas che l’avrebbe diffamata nei “Soldati di Salamina” attraverso il personaggio di Conchi. Ora Pilar si gioca la sua credibilità con un frammento di Dna del necrofilo Dalí, tracciando una somiglianza familiare non tanto fisica quanto nella passione per il grottesco e il surreale, ancor più nella premonizione: Pilar è una cartomante, una sensitiva, legge i tarocchi, e vuole andare fino in fondo, ha trovato un giudice che come lei è a caccia della propria fortuna, e si dia inizio alla riesumazione.
Ma come poteva Dalí, l’artista devoto al sesso non consumato – ha scritto A.N. Devers sul Prospect Magazine – interessarsi all’improvviso a una giovane ragazza al punto da superare la più assoluta delle sue perversioni? Pare strano, non rientra nell’immagine che Dalí voleva lasciare di sé, immagine da cui era ossessionato, come racconta lui stesso nella sua autobiografia. L’unica spiegazione potrebbe essere che Dalí avesse fatto sesso con la cameriera non certo per inseguire il proprio piacere, ma piuttosto per assecondare quello di qualcun altro, o anzi più probabilmente per assecondare l’altrui perversione, di Gala, l’adorata Gala, torturata e affascinata dal rifiuto per il sesso del marito. L’ispezione del cadavere dell’artista non risponderà a questa questione, non ci toglierà il dubbio sul perché del sesso consumato, ma alimenterà il nostro voyeurismo, la perversione che ci accomuna tutti, ed è proprio lo spettacolo che Dalí andava cercando mentre fotografava, dipingeva, si osservava nello specchio, il massimo del surreale, il massimo della premonizione, “dobbiamo sorprendere chiunque, sempre”. Un finale perfetto.