George R.R. Martin prima di "Game of Thrones"

Edoardo Rialti

Vampiri, rock e magia: Mondadori ripubblica tre romanzi dell'inventore della saga, scritti quando il celebre fantasy non esisteva ancora 

Quando il New York Times definì G. R. R. Martin il Dickens e il Balzac del fantasy, l’intuizione non si applicava solo alla gigantesca Commedia (e forse più Tragedia) umana di “Game of Thrones”, di cui proprio in queste settimane escono le puntate della tanto attesa settima stagione televisiva a firma Hbo, caso più unico che raro nella storia dei romanzi interpretati dal cinema e dalla televisione: un “adattamento” di successo planetario che ormai ha superato e precede – magari di anni – la sua stessa fonte letteraria. Il cosmo immaginativo del “Tolkien d’America” è molto più ricco, e anteriore, a Tyrion il nano, al redivivo Jon Snow, alla Regina Daenerys (che fonde in sé l’Anastasia dei Romanov e Luther King) e i suoi tre draghi, alla Barriera che un tempo respingeva gli stessi Bruti che adesso occorrono come alleati fondamentali contro minacce ben più sinistre (un’immagine concepita da Martin negli anni 90, e invece pare scritta in questi nostri anni di migrazioni e muri, tanto per rispondere a chi taccia il fantasy di escapismo). Ben prima di evocare il conteso Trono di Spade, Martin aveva pubblicato numerosi racconti (tra cui omaggi a Lovecraft e Le Guin che hanno fatto incetta di premi prestigiosi e furono pubblicati anche da Isaac Asimov) e ben tre romanzi, appena riediti da Mondadori (anche con la collaborazione del grande e compianto Sergio Altieri, suo storico traduttore).

  

La luce morente (Dylan Thomas docet) è uno sci-fi su un pianeta abitato da diverse razze in equilibrio precario, destinato a entrare progressivamente in una sinistra orbita di buio e gelo (e quale lettore-spettatore di “Game of Thrones” non penserà al motto “L’inverno sta arrivando” che scandisce anche quella narrazione?). Il battello del delirio costituisce, al pari de Le Notti di Salem di Stephen King, una variazione sul mito di Dracula in salsa americana: mentre King decise di raccontare un’epidemia di vampirismo in una sua tipica cittadina sonnolenta del Massachusetts, Martin scelse invece di contaminare l’horror europeo di Le Fanu e Stoker con il Mississippi di Mark Twain. Armageddon Rag è invece un audace thriller musicale di ambientazione esplicitamente tolkieniana (una band rock chiamata i Nazgul, il loro agente che dona degli anelli per firmare il contratto…) che lo stesso Stephen King ha definito uno dei libri più belli sugli anni 70. In questo romanzo su giovinezza, arte e rivoluzione, la magia del rock si rivela tutt’altro che un’espressione metaforica, e ben oltre l’omicidio che mette in moto gli eventi e i personaggi, vi si canta il requiem ed elabora il lutto per un’intera epoca e tutta una dimensione interiore, personale e collettiva. Incredibile a dirsi oggi, ma il libro fu un fiasco tale che Martin per anni si concentrò essenzialmente su sceneggiature televisive come Beauty and the Beast. Questo finché non ebbe un’idea per quella che doveva essere “solo” un’ambiziosa ma tolkienianamente tradizionale trilogia fantasy, e che invece crebbe, crebbe, e sta crescendo ancora, proprio come i draghi della sua regina. In attesa del tanto rimandato e atteso The Winds of Winter (ci sono band che hanno composto canzoni che sfottono Martin perché finisca e consegni lo stramaledetto romanzo, e l’autore stesso di Armageddon Rag irruppe scherzosamente durante una perfomance e distrusse una chitarra), il lettore estivo può chiedere a questo corpulento e barbuto nocchiero dell’immaginario dove essere traghettato, se tra le inquietudini del futuro, gli orrori del folclore che irrompono nella Grande storia ufficiale, o nella magia (bianca e nera) che si annida nel nostro passato più recente. Il vecchio scaldo dal sorriso sornione ha mano ferma al timone della nave, e ricorda parecchie canzoni con cui farci compagnia mentre solchiamo le acque della notte.