In viaggio nelle opere di Klimt
Al Mudec di Milano la mostra “Klimt experience”. Il visitatore si siede al centro della stanza e si ritrova avvolto dalla proiezione virtuale di quadri del pittore austriaco
La chiave di lettura della nuova mostra di Klimt al Mudec di Milano (prodotta da 24 Ore Cultura e aperta fino a gennaio) sta nel titolo stesso dell’esposizione: “Klimt experience”. Ormai la semplice fruizione di un oggetto, che sia un’opera d’arte o un prodotto commerciale, sembra non essere più sufficiente, bisogna invece vivere “un’esperienza” ad esso collegata. Aderendo a questa filosofia, il Museo delle Culture ha lanciato un progetto innovativo incentrato sul celebre pittore viennese: non ci sono sale né opere esposte, tutto è ambientato in un’unica “experience-room”. Il visitatore si siede al centro della stanza e si ritrova avvolto dalla proiezione virtuale di quadri klimtiani che scorrono lentamente lungo le pareti e sul pavimento, con l’accompagnamento della suggestiva colonna sonora che alterna brani di Strauss, Mozart, Beethoven, Bach. Settecento immagini si susseguono in un unico flusso onirico che illustra, o meglio lascia intuire, la vita e la carriera dell’artista dagli esordi fino agli ultimi dipinti. Ne emerge un mondo simbolico, enigmatico e carico di sensualità.
Le prime immagini mostrano il contesto in cui operò Gustav Klimt, una Vienna a cavallo tra Ottocento e Novecento in pieno fermento culturale. Nel mondo dell’arte prese piede il movimento della Secessione, che si poneva in contrasto con i canoni tradizionali stabiliti dall’Accademia. I secessionisti coltivavano il mito di un’arte totalizzante che integrasse pittura, architettura, design per cogliere con un nuovo linguaggio i mutamenti della società. La filosofia, con Schopenhauer e Nietzsche, e l’affermarsi della psicologia influenzarono questi artisti nello spingersi oltre la semplice rappresentazione del reale e nell’indagare la complessità dell’animo umano. Klimt, esponente della Secessione viennese, seppe tradurre le inquietudini della sua epoca attraverso forme fantastiche, linee allungate e colori brillanti, esprimendo un senso del mistero. Al centro della sua arte un posto di primo piano è riservato alla donna, fino a sfiorare l’ossessione. Le ritrae vestite o nude, in pose statiche o languide, in stati di calmo appagamento o di eccitazione. Klimt stesso ebbe svariate amanti di cui riconobbe 14 figli. Per lui la donna è al contempo generatrice e distruttrice, sensuale ed inquietante, ed è proprio grazie alla donna che l’uomo conosce il mondo, inabissandosi nell’inconscio ed esplorando le oscure potenze dell’eros. Tra le opere più famose, per citare un esempio, va ricordata “Giuditta”, simbolo della donna fatale: l’eroina biblica è ritratta a seno nudo mentre regge tra le mani la testa recisa di Oloferne, con un’espressione sul volto che sembra esprimere godimento per l’atto appena compiuto. Il corpo della donna si intreccia con arabeschi e forme geometriche su uno sfondo piatto e irreale. La tendenza a collocare le figure su uno sfondo d’oro (come anche nel celebre “Il bacio”) deriva da un viaggio che Klimt compì a Ravenna dove poté ammirare le vetrate medievali e i mosaici bizantini.
Queste informazioni sulla vita e l’arte di Klimt vengono però lasciate fuori dalla mostra. Il visitatore può leggerle sui pannelli esterni alla “experience-room”, poi però deve abbandonare l’approccio razionale per immergersi in un’esposizione multimediale e sensoriale. L’obiettivo non è più quello di acquisire una conoscenza, ma di lasciare un segno emozionale, senza opere dal vivo o spiegazioni di una guida, solo in una stanza con dei proiettori e la musica. Per godere della mostra lo spettatore non è più chiamato a compiere uno sforzo intellettivo e assume invece un ruolo passivo in cui deve semplicemente lasciarsi trasportare dal flusso di immagini e suoni. In un certo senso, anche questo evento espositivo punta all’obiettivo surrealista della totalità dell’arte incrociando immagini, architettura e musica, ma lo fa sempre solo sul piano virtuale. E conferma la tendenza dell’arte, a partire dal Novecento, di farsi sempre più astratta, lontana dal reale e dalla razionalità per puntare su un impatto emozionale. O esperienziale.