Quando è nato il Vaffa Day
È il 1968. L’anno in cui la rivolta contro Dio divenne un fenomeno di massa e travolse la famiglia, la Chiesa, la scuola e il sesso. Oggi tocchiamo con mano i risultati
Per motivi anagrafici, essendo ad esso pressoché contemporaneo, il Sessantotto non l’ho vissuto. Ma sono uno dei tanti che l’ha subito. E che continua a subirlo. Per questo, miei cari figli, ora che sta per abbattersi sulle nostre teste l’ennesimo tsunami di appuntamenti, libri, documentari e kermesse di ogni tipo per celebrare il cinquantesimo anniversario di quegli eventi, ho deciso di scrivere queste poche righe per voi (e siccome sono vostro padre mi farete la cortesia di leggerle. Siete ancora piccoli, e la maggior parte di quello che dirò vi risulterà incomprensibile; ma non importa, lo leggerete a tempo debito). E l’ho fatto perché oggi si parla tanto di diritti, ma il primo e più importante diritto è il diritto alla verità: dovete sapere cosa accadde sul serio quell’anno, e perchè. E soprattutto con quali conseguenze, che malgrado la vostra giovane età vi toccano da vicino forse più di quanto non abbiano riguardato me e quelli della mia generazione. Naturalmente sui libri di storia – per lo meno quelli della storiografia ufficiale – non troverete traccia di quello che sto per dirvi; leggerete invece una storia affatto diversa, al punto che vi faranno rimpiangere di non aver avuto vent’anni allora, per assaporare fino in fondo l’ebrezza che solo può dare il sentirsi onnipotenti e co-artefici di una nuova creazione. Perchè vedete, quell’anno ha segnato effettivamente la fine di un mondo e l’inizio di un’epoca nuova, e non è un caso se il nostro amatissimo Papa emerito Benedetto XVI parlò del Sessantotto come di una “cesura storica”. Il punto su cui mi trovo (e non da solo) in totale disaccordo con la vulgata corrente è sull’interpretazione del Sessantotto come un secondo rinascimento, la fuoriuscita della società dal medioevo asfissiante e repressivo della famiglia, della scuola e dei costumi tradizionali per entrare finalmente nella nuova era della libertà e dell’autonomia.
Una lucida
e determinata azione demolitrice contro tutto ciò che simboleggiava l'autorità.
Parola d'ordine: Contestazione
A volerlo riassumere in una frase vi direi così: col Sessantotto quel processo di progressiva emancipazione dell’uomo da Dio - iniziato con l’umanesimo, proseguito con il rinascinamento e l’illuminismo, e culminato con le grandi ideologie atee della prima metà del XX secolo – ha cessato di essere circoscritto alle elite culturali per divenire, attraverso la scuola e i mass media, fenomeno di massa investendo tutta intera la società. Detto altrimenti, il Sessantotto è stato un fenomeno storico che ha portato in superficie una rivoluzione di costume e culturale, prima ancora che politica e sociale, già in atto da tempo. Una rivoluzione – filosoficamente debitrice, tra gli altri, alla cosiddetta Scuola di Francoforte ma che, almeno in Italia, subì l’influsso anche di certi ambienti cattolici che vedevano nel marxismo la traduzione pratica del cristianesimo – che si voleva pacifica e non violenta ma che poi, come tutte le rivoluzioni, è sfociata anche nella violenza. Rivolta contro Dio, innanzitutto, che si è tradotta in una lucida e determinata azione demolitrice contro tutto ciò che simboleggiava l’autorità. Non per nulla, sapete qual è stata la parola d’ordine di quella stagione? Eccola: contestazione. Intanto mettete a fuoco questo: il Sessantotto è stato l’anno della Contestazione, e la scrivo con la “C” maiuscola perché ce l’abbiate ben stampato in testa. Declinata secondo molteplici forme e condensata in slogan che bastano da soli a darvi un’idea dell’aria che si respirava: “l’immaginazione al potere”, “proibito proibire”, “amore libero”, “una risata vi seppellirà”, “siamo realisti, vogliamo l’impossibile”, eccetera eccetera. Contestazione dell’autorità, dicevamo, che in concreto è stata indirizzata contro tre bersagli: la famiglia, in particolare la figura paterna simbolo per eccellenza dell’autorità; poi lo stato e i suoi apparati, in primis la scuola e l’università; infine la morale per così dire pubblica, cioè quell’insieme di norme e valori che costituivano il tessuto etico e culturale della società.
Prendiamo la sessualità: in quell'anno
di rivoluzione
non c'è stata cosa più calpestata, vilipesa
e oltraggiata
della sessualità
Aperta parentesi. In realtà andrebbe menzionato anche un quarto bersaglio, cioè la chiesa, anch’essa da sempre simbolo forte dell’autorità. Con la differenza che la contestazione in questo caso fu più un fenomeno interno che esterno, condotta cioè da quella corrente progressista che storicamente ebbe la meglio negli anni del post-Concilio, e che riuscì ad imporre – in ciò supportata da ben precisi ambienti culturali e da una campagna mediatica appositamente orchestrata – un Vaticano II “virtuale” contrapposto a quello reale. Anche questo è un punto che dovete avere ben chiaro, miei cari figli: checchè ne dicano i suoi detrattori, di destra come di sinistra, il Vaticano II è stato e resta un evento straordinario in cui lo Spirito ha realmente parlato alla chiesa suscitando un’azione di rinnovamento nella, non contro né oltre la tradizione – come ebbe a sottolineare Benedetto XVI in un memorabile discorso alla Curia romana il 22 dicembre 2005 – che in parte recepì le istanze di rinnovamento biblico, liturgico e teologico degli anni precedenti, in parte ne suscitò di nuove. E senza dimenticare che in quegli stessi anni lo Spirito che soffiava nella basilica di S. Pietro – sapendo già cosa sarebbe accaduto di lì a poco - era all’opera per suscitare quelle nuove realtà ecclesiali(movimenti e nuove comunità laicali) dove molte delle istanze del Concilio trovarono attuazione, e che ebbero la missione di puntellare la chiesa quando arrivò la tempesta. E’ vero, durante e dopo il Vaticano II ci furono sbandamenti, eccessi ed errori. Ma ciò non accadde a causa del Concilio– come erroneamente sostengono i tradizionalisti – bensì nonostante il Concilio e sulla base di una precisa lettura del Vaticano II che lo ha interpretato a mo’ di cesura col passato e l’inizio di una nuova era. Col risultato che che più d’uno si sentito autorizzato a vivere e pensare la chiesa come se il Concilio fosse l’anno zero, in nome del quale si potevano (e forse si dovevano) mutuare acriticamente categorie e forme della modernità per apririsi al mondo e stare finalmente al passo con i tempi. Ed è così che nacque il Vaticano secondo… me, secondo te, secondo noi. I risultati li conosciamo bene: crisi delle vocazioni e seminari svuotati; crisi del sacerdozio e conseguente abbandono dello stato clericale da parte di tantissimi preti, alcuni dei quali per stare vicino al popolo, come si diceva allora, smisero la talare per andare in fabbrica (sul punto, sarebbe interessante sapere quanti, dopo aver lasciato il sacerdozio, rimasero a fare l’operaio, ma questa è un’altra storia…); bizzarrie e amenità liturgiche di vario genere (messe beat, ecc.); smottamenti in campo morale – esemplare in tal senso la battaglia contro l’Humanae Vitae del Beato Paolo VI - e dottrinale (come le varie teologie della liberazione e, più in generale, il tentativo, teorico e pratico, di tenere insieme Cristo e Marx, che in ambito politico sfociò in quel fenomeno che va sotto il nome di catto-comunismo, praticamente un ossimoro). Ma un conto è denunciare gli errori, altro è buttare il bambino con l’acqua sporca, come fanno i nostalgici dei (presunti) bei tempi andati, convinti che sia sufficiente riportare le lancette dell’orologio alla chiesa pre-conciliare affinché l’uomo contemporaneo, sazio e disperato (copyright card. Biffi), possa innamorarsi di Cristo con la messa tridentina (in latino, che la gente non capisce), il catechismo di S. Pio X (intellettualistico e nozionistico, per nulla biblico ed esistenziale), la pastorale sacramentale (che presuppone una fede che spesso non c’è più) e tutto l’armamentario delle pratiche di pietà e di una morale casuistica lontana anni luce dalla sensibilità contemporanea. O chi, partendo da una prospettiva opposta, vagheggia addirittura un Vaticano III per riprendere e sviluppare le istanze riformatrici all’insegna del vero “spirito” del Vaticano II, tradito soprattutto dai pontificati di S. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Se è vero, come è vero, che la crisi di oggi è primariamente crisi di fede, la cura non è fare marcia indietro né vagheggiare balzi in avanti, ma riprendere e attuare il Vaticano II, quello vero, con un rinnovato slancio missionario. Chiusa parentesi. Tornando a noi, il Sessantotto è stato insomma l’anno del Gran Rifiuto in nome di un altrettanto grande sogno, un atto premeditato di ribellione collettiva – non dissimile dalla ribellione che comportò la caduta di un certo angelo, ricordate? - in nome di una libertà che si volle ab-soluta, cioè sciolta da ogni legame, vincolo, retaggio. Volendo fare un paragone con i tempi odierni, il Sessantotto è stato un Vaffa-year, ovvero un Vaffa-day ante-litteram durato un anno intero e più (e potrei fermarmi qua). Il risultato fu che tutto venne spazzato via.
Nel dopoguerra l'Italia era ridotta in miseria
e i figli si facevano
lo stesso, perché non
si "viveva per se stessi"come insegna
il 1968
Un esempio? Prendiamo la sessualità. Non c’è stata cosa più calpestata, vilipesa e oltraggiata dalla rivolta di quegli anni della sessualità. Il Sessantotto ha segnato non soltanto la messa al bando di virtù quali pudore, verginità, purezza, continenza, ecc., ma soprattutto la comparsa sul proscenio della storia della pornocrazia, come ebbe a sottolineare il più grande filosofo cattolico italiano del Novecento, Augusto Del Noce. Badate: pornocrazia, non pornografia (che c’era già prima, anche se sottobanco). Pornocrazia è sinonimo di pansessualismo, cioè di una visione dell’uomo come di un insieme di bisogni fisici da soddisfare, primo fra tutti quello del piacere sessuale elevato a fine supremo. Sulla scia di un libro scritto nel 1930 dal dottor Wilhelm Reich (altro nume tutelare della contestazione) intitolato non a caso “La rivoluzione sessuale”, i sessantottini teorizzarono e attuarono la liberalizzazione sessuale. Che vuol dire liberalizzazione? Vuol dire che la sessualità doveva essere liberata (da qui il termine), cioè sciolta dal legame con la procreazione, vista come mezzo repressivo. Detto in parole povere: secondo questo Reich gli uomini dovevano essere lasciati liberi di vivere la sessualità con l’unico fine della ricerca del piacere perché solo così sarebbero stati veramente felici. Ed essendo felici, l’umanità avrebbe finalmente raggiunto la pace e la concordia universali. Fintanto che, all’opposto, la sessualità fosse rimasta al servizio, diciamo così, della procreazione gli uomini sarebbero stati repressi e, quindi, infelici. Il Sessantotto ha insomma separato la sessualità dalla procreazione, teorizzando che si poteva fare sesso senza la “scocciatura” di poter avere un figlio; partendo da lì, oggi siamo arrivati all’estremo opposto, cioè a separare la procreazione dalla sessualità (è il caso dell’utero in affitto): come si dice in inglese, from sex without babies to babies without sex. E qual era secondo voi, in tale visione, l’istituto sociale repressivo per eccellenza, l’orrida prigione che teneva soggiogato il desiderio sessuale? La famiglia tradizionale, ovviamente. Che non a caso da allora è stata, ed è sotto attacco con una ferocia implacabile, che non si spiega altrimenti se non con un’azione demoniaca, come per altro rivelò Suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima, al card. Caffarra: “lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio”. E basta guardare alla storia di quest’ultimo mezzo secolo per rendersi conto che è proprio così: dal divorzio all’aborto, dagli anti-concezionali alla fecondazione artificiale, dalle unioni same-sex alla maternità surrogata all’ideologia gender oggi imperante (a proposito: occhi aperti a scuola, e se vedete qualcosa di strano, tipo che vogliono farvi vestire e truccare i maschi da femmine e viceversa, lo dite a mamma e vedrete che non succederà più), la famiglia è stata talmente fatta a pezzi che oggi è difficile anche solo parlarne. Il motivo di tanto accanimento l’aveva già messo a fuoco Del Noce nel 1970: “L’idea di matrimonio monogamico indissolubile e le correlative (pudore, purezza, continenza) sono legate a quella di tradizione che, a sua volta, in quanto “tradere” è consegnare, presuppone quella di un ordine oggettivo di verità immutabili e permanenti…Ma se noi separiamo l’idea di tradizione da quella di ordine oggettivo, essa deve di necessità apparire come il “passato”, come “ciò che è superato”, come “il morto che vuole soffocare il vivo”; come ciò che deve essere negato per poter ritrovare l’equilibrio psichico. All’idea del matrimonio indissolubile, deve sostituirsi l’unione libera, rinnovabile o solubile in qualsiasi momento. Non si può parlare di perversioni sessuali, anzi le forme omosessuali, maschili o femminili, dovranno essere considerate come le forme pure dell’amore”.
Chiaro, no? Per far sì che il fiume potesse scorrere liberamente bisognava abbattere la diga. E pazienza se una volta lasciata libera, l’onda anomala s’è portata via tutto. Non solo. Ma perfettamente in linea con la teoria dell’eterogenesi dei fini di G.B.Vico (secondo cui gli uomini partono con un obiettivo e arrivano alla conclusione opposta), la rivolta del ‘68 anziché inaugurare l’età della libertà s’è risolta nel suo contrario: “Ci accorgiamo – è sempre Del Noce che scrive - che il pansessualismo di oggi non è che un momento del processo verso una nuova forma totalitaria. Se la speranza, e con essa gli ideali, lo spirito, insomma, vengono meno, è inevitabile che la sessualità ne prenda il posto”. Ecco, figli miei, cosa è stato il “mitico” Sessantotto: siamo passati da un presunto regime alla dittatura certa di un pensiero unico sessualmente (e non solo) corretto. In pratica, cornuti e mazziati. E con gli anti-conformisti di allora nel frattempo saliti in cattedra e divenuti gli arcigni custodi del nuovo conformismo di massa. Al punto che oggi la vera trasgressione e il vero anti-conformismo stanno nella difesa della tradizione. Come diceva un altro grande del passato, Joseph De Maistre, “una controrivoluzione non è una rivoluzione di segno contrario, ma il contrario di una rivoluzione”. Ma come vi dissi all’inizio il Sessantotto non è stato solo la rivoluzione sessuale; la contestazione si estese infatti anche ad altri ambiti tra cui la scuola e l’università, e lo stato. Venne colpito e abbattuto un intero modello culturale, processato e condannato senza pietà come repressivo, retrogrado, superato. La nuova parola d’ordine fu “diritto”: dal Sessantotto in poi all’etica del dovere (vero Dio il prossimo la società) si sostituì una prometeica etica del diritto che pian piano ha portato alla barbarie che vediamo oggi dove ogni desiderio si pretende venga tradotto, appunto, in un diritto. Contestando alla radice il principio di autorità (che fa tutt’uno con quello di realtà), le radici cristiane della società sono state progressivamente soppiantate da un laicismo virulento che ha relativizzato ogni ambito facendo dell’uomo, di ogni singolo uomo la misura di tutte le cose. Logica conseguenza di questo processo basato sul principio “ho diritto, dunque sono”, un appiattimento verso il basso della vita civile e la messa al bando di concetti quali meritocrazia, competizione, sacrificio a cui ha corrisposto, specularmente, una generale sindacalizzazione della vita civile che ha finito per paralizzare il paese.
E qual era, in tale visione, l'istituto repressivo che teneva soggiogato il desiderio sessuale? La famiglia tradizionale, ovvio
“All’ascesa a Dio – scriveva ancora Augusto Del Noce – si sostituisce l’idea della conquista del mondo, ovvero l’affermazione del diritto che il singolo soggetto ha sul mondo. Diritto che non ha limiti, perché, chiamato al mondo senza il suo volere, egli sente di aver diritto, quasi a compenso di questa chiamata, a una soddisfazione infinita nel mondo stesso”. La verità, miei cari figli, è che abbiamo creato un mostro. E dico abbiamo perché una buona fetta di responsabilità ce l’abbiamo anche noi cattolici, quanto meno quegli ambienti ieri come oggi affascinati e irretiti dalle sirene della modernità. Perché un uomo capace di amare null’altro che sé stesso è un essere deforme e mostruoso; un essere che vive per se stesso, abbrutito da un egoismo che lo costringe ogni volta ad alzare l’asticella delle sue pretese nei confronti della società. E dunque prima la mia carriera, la mia affermazione, il mio benessere. Prima io. Poi, forse, tutto il resto. E’ esattamente per questo motivo, sapete, che non si fanno più figli. Ma quali problemi economici. Nel dopoguerra l’Italia era ridotta in miseria, e i figli si facevano lo stesso. Sapete perché? Perché non si viveva per se stessi. Quante volte durante la celebrazione delle Lodi, a casa la domenica, l’abbiamo detto? Siamo fatti per amare. E’ inscritto nella nostra che possiamo realizzarci soltanto amando. Ma non nel modo sentimentale e peloso in cui oggi questa parola viene intesa. Amare sul serio vuol dire vivere per un altro, vuol dire dare la propria vita: nel matrimonio, in famiglia, con gli amici, nel lavoro, in una parrocchia piuttosto che in un monastero, ovunque. S. Paolo ha spiegato meglio di chiunque altro il senso di ciò che Cristo ha fatto: “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor 5, 15). Bene. Se ora pensate che dal Sessantotto in poi il “vivere per se stessi” è stato elevato a valore, programma di vita, filosofia, avrete la misura esatta di ciò che è successo mezzo secolo fa. Intendiamoci, non che questo debba essere per voi motivo di sconforto, anzi; il salmo 123 sta lì apposta a ricordarci che “Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra”. Ma quanto meno ora sapete come sono andate le cose. Non è poco.