Attesi e inattesi allo stesso tempo, ecco perché ci piacciono i fuochi d'artificio

Giovanni Maddalena

Le feste estive e il nostro essere fatti per cose sorprendenti

Alle 24 del 15 agosto la lunga spiaggia di Termoli era colma di persone per l’inizio dello spettacolo pirotecnico che imita il presunto incendio del castello federiciano avvenuto per opera dei turchi nel 1566. Pochi conoscono questa storia del castello, meno ancora si chiedono perché festeggiare una sconfitta subita da parte dei predoni turchi che allora infestavano l’Adriatico. Eppure, tutti sono lì, di ogni età e ogni condizione, a guardare lo spettacolo dei fuochi artificiali. L’evento termolese si ripete in tutte le località balneari italiane durante le estati e in città e campagne durante l’anno, nelle infinite feste dei nostri paesi. Ma perché ci piacciono tanto questi fuochi artificiali? In fondo, a ben pensarci, non dovrebbero suscitare tanto interesse: rumore, fumo, luci nell’aria. Si potrebbe capire che piacciano una volta, o magari due, o che affascinino bambini molto piccoli. Invece, bastava dare un’occhiata alla spiaggia termolese ferragostana e alle migliaia di spiagge italiane e straniere dove l’evento si ripete per capire che c’è gente di tutte le età che li ama davvero, al di là dei motivi tradizionali o folcloristici. Sì capisce, insomma, che c’è ancora qualcosa da capire.

 

Che cosa si dovrebbe capire da due “spari”, come li chiama familiarmente il popolo? Semioticamente parlando, i fuochi artificiali sono “indici”, ossia tipi di segno che creano una connessione immediata tra se stessi e il proprio oggetto. Sono indici i cartelli stradali ma anche le campane che suonano l’ora o l’inizio di una funzione religiosa. Sono indici i nomi propri che ciascuno di noi si porta addosso figurativamente come quelli che gli sportivi si portano materialmente sulla schiena o sul petto. Come gli altri tipi di indice, i fuochi artificiali hanno un loro oggetto e un loro senso: vogliono dire “qui” – di solito un bel posto, come l’affascinante borgo medievale di Termoli – e “ora”, un “ora” di vacanze e di santi, di compleanni e di matrimoni. Come tutti gli indici, anche i fuochi artificiali risvegliano l’attenzione a quel posto e a quel momento. E’ tutto qui? E’ sufficiente per spiegare come mai ci piacciono tanto?

 

Non ci piacerebbero se non fossero anche luce e fuoco. Lasciando perdere l’attrazione fatale e ancestrale per le fiamme, su cui molto è stato detto, i nostri “botti”, “fuochi” o “spari” portano la loro luce anche sul nostro desiderio di “evento”, di accadimento improvviso, atteso e inatteso al medesimo tempo. Il bello di ogni “sparo” è il suo aprirsi in forme e colori ignoti fino all’attimo in cui accadono. Dal punto di vista della semiotica è una sequenza di indici luminosi che si aprono all’interno di un indice acustico. Il segreto del loro accadere, però, colpisce quel profondo bisogno di vedere un cambiamento improvviso, “non conseguenza di fattori antecedenti” – diceva Charles Péguy – ed esteticamente bello. Siamo fatti per questi avvenimenti, belli e sorprendenti. Solo che nella vita tali cambiamenti comportano sempre rischi immensi e gli avvenimenti, gli incontri che cambiano la vita, sono tanto desiderati quanto pericolosi, per ciò che richiedono, per ciò che fanno intraprendere e ciò che fanno lasciare. Così spesso si preferisce la noia del consueto, ci si accontenta del sicuro sebbene, in fondo, si sappia che, come in una celebre poesia di Eugenio Montale, “l’imprevisto è la sola speranza”. Tuttavia, almeno nei fuochi, la nostra sete di imprevisto, di avvenimento viene soddisfatta di sicuro e con nessun rischio, come quando si leggono le fiabe. Come di quest’ultime si dirà che nei fuochi artificiali si tratta allora di “evasione”, della ricerca di qualcosa di inconsueto e colorato che non ci faccia pensare al grigio quotidiano. Al proposito, però, val la pena ricordare quanto diceva Tolkien che, rimproverato di far della letteratura di evasione, rispondeva: “perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di evadere e di tornare a casa?”. Siamo tutti un po’ felici quando ci sono i “botti” perché essi, come le fiabe, sono l’indice che richiama la casa, il nostro essere fatti per una vita piena di avvenimenti, di imprevisti che inaspettatamente portino la desiderata felicità.

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