Dal re Sole a Fitzgerald il romanzo delle feste senza felicita'
Vi guadagna, in fama e commerci, chi le organizza. Chi vi partecipa ha funzione ancillare. Nei grandi libri dell’Ottocento, e oltre, c’è sempre almeno un ballo in cui ci si rovina, ci si annoia, si fanno cose sbagliatissime
Di feste si può morire in senso proprio, come dimostrano gli ospiti di Eliogabalo soffocati da una nuvola di rose, Giovanni Borgia trafitto all’uscita del ricevimento di mamma Vannozza Cattanei in suo onore e la cronaca spicciola dei rave di oggi, ma anche in senso figurato, ed è la triste storia del ballo improvvisato da Madonna poche sere fa in Salento e subito coperto dal vituperio dei social che ormai nulla sembrano perdonarle, nemmeno una pizzica in piazza. D’accordo, c’è poco di più desolante che vedere una tardona mentre balla sventolando quello che, purtroppo, ormai sventola da solo anche senza salterelli e battimani, ma non ci sono dubbi che, se invece di Madonna, a sbracciarsi ci fossero state Cara Delevingne o Bella Hadid, nessuno avrebbe imbracciato l’arma di Facebook per spararle addosso o per mettersi a fare ancor più penosi distinguo fra balli regionali e orgogli nazionali. Il ballo può essere espressione tanto di civiltà quanto di selvaggeria, come diceva Jane Austen per bocca di mr Darcy e come in fondo tutti continuiamo a sospettare, ma è anche vero che il guizzo di una coscia tonica fa perdonare molte cose, compresa una danza sguaiata o una festa malriuscita, che pare un tema di moda anche in questa fine estate 2017, a dispetto di ogni genere di catastrofi occorse nel frattempo e di cui questo articolo, essendo di costume, non parla.
La triste storia del ballo improvvisato
da Madonna in Salento
e subito coperto
dal vituperio dei social
Ne aveva scritto esattamente cent’anni fa e sempre su “Vanity Fair” una Dorothy Parker agli inizi ma già inviperita contro gli uomini, mettendo alla berlina le “anime sensibili / che organizzano balli mascherati / per vestirsi come nelle “notti d’oriente” / e offrono tè nei loro monolocali / dove la gente si siede sui cuscini / e vorrebbe non trovarsi lì”. L’ispirazione per quei ritrovi newyorkesi certo un po’ forzati nei trenta metri quadri di uno “studio” arrivava da lontano, e più precisamente dalla favolosa festa “Delle mille e due notti” che, sei anni prima, nel 1911, il couturier Paul Poiret aveva organizzato per lanciare il suo primo profumo, “Nuit persane”, offrendone una boccetta alle signore del tout Paris intervenute in vesti da odalisca, esattamente come avviene oggi per qualunque maison di moda provvista di un budget adeguato e di un po’ di gusto.
Dorothy Parker
metteva alla berlina
le "anime sensibili /
che organizzano balli mascherati / per vestirsi come nelle notti d'oriente"
Fin dalle origini, la festa si è anche rivelata materia di pubblicazione e leva narrativa impareggiabile. Per esempio, è dai tempi del Mercure Galant, e siamo negli stessi anni del ricevimento di cui sopra e che oggi si definirebbe “evento”, che certa stampa vive di feste. Lo fa perfino oggi che stenta a sopravvivere, e lo fa anzi con maggiore accanimento e minore selezione, sperando di trovare nuovi lettori fra le dame plastificate e allampanate di sconosciuti salotti e gli appassionati di tronisti e malandrine fresche di prima comparsata televisiva, in un circolo di pseudo-notorietà che si alimenta e rimbalza da un media all’altro fra candeline, paillettes e photoshop. Ma è nel più complesso ordine narrativo del romanzo che la festa, apparato di rappresentanza di per sé, riesce a dare il meglio: nessun altro luogo, nessun altro topos offre infatti a un autore il destro per portare in scena tutti i personaggi principali di un intreccio e tratteggiare il carattere di ciascuno attraverso la relazione con gli altri. Della battuta di mr Darcy al ballo di sir William Lucas abbiamo già scritto (volume I capitolo VI della prima edizione di “Orgoglio e pregiudizio”), ma sfido chiunque a trovare un solo romanzo ottocentesco, e in buona parte anche del secolo successivo, in cui non compaiano almeno un ballo e una festa, sofisticata o popolare, dove tutto accade e tutto si nasconde, comprese le paure e le ossessioni dell’autore stesso: alle feste di Balzac, ossessionato dal denaro, ci si rovina con una certa frequenza; in quelle di Flaubert, di Jane Austen, di Edith Wharton, ci si innamora e si fanno figuracce; in quelle di Henry James si cercano mariti e mogli doviziose; in quelle di Moravia ci si annoia, in quelle di Sagan e di Irène Nemirovsky si covano vendette, nello specifico contro la propria madre. Agli “eventi” di Jack London ci si picchia, in quelli di Francis Scott Fitzgerald si dicono e si fanno cose sbagliatissime tra i fumi dell’alcol; chez Hemingway si fanno tutte le cose precedenti in modo sbrigativo.
Nella festa,
il divertimento
è un derivato,
mai lo scopo, che non
a caso, per millenni,
è stato o religioso
o politico