Al mercato della nostalgia
Il Super Nintendo, le Nike, i vinili. Come ti riproduco, aggiornata, la cameretta di quand’eri ragazzino
Super Nintendo, Cavalieri dello zodiaco, Cyborg 009, Age of Empires, pure le AirMax97 della Nike. La nostalgia ha prodotto un bel mercato di rifacimenti, riedizioni, remake e reboot. L’opera d’arte è nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, figurarsi se si tratta di rifare qualche aggeggio elettronico, cartone animato, scarpa di gomma e plastica. Ci hanno accompagnato negli anni dell’adolescenza e per fortuna ci sono tutti questi capitalisti pronti a speculare sulla pelle di noialtri che giocavamo a Super Mario, sentivamo bruciare il cosmo dentro di noi e governavamo antiche civiltà romane e greche con un mouse dentro la nostra cameretta. Ma se fosse tutto un sogno adolescenziale, il tentativo di fermare il tempo che ticchetta, sarebbe solo roba da tardoni frequentatori dei peggiori wine bar del centro o da teenager del passato omaggiati da una canzone di Mika. “Teenage dreams in a teenage circus / Running around like a clown on purpose / Who gives a damn about the family you come from? / No givin’ up when you’re young and you want some”.
L'anno scorso,
per la riproposta
del Nintendo classic, quello del primo Super Mario (era il 1985),
le richieste furono superiori alle attese
Invece il tempo se n’è andato, e lascialo pure andare, beviti i tuoi trent’anni, come diceva la Fallaci, e “riaccendi l’era cult del videogame”, come dice oggi Nintendo sponsorizzando l’uscita in formato ridotto del Super Nintendo, disegnata come quella che uscì nel 1990 e in vendita dal 29 settembre a 79,99 euro, pre-caricata con 21 giochi, tra cui Super Mario Kart e Street Fighter II Turbo. L’anno scorso uscì il Nintendo classic, quello del primo Super Mario (era il 1985), le richieste furono troppe, la produzione non era sufficiente e ci fu chi (non tra i bravi capitalisti ma tra gli infami profittatori) raddoppiò o triplicò il prezzo delle poche consolle rimaste. Ad aprile l’azienda giapponese ha comunicato i dati di vendita: 2,3 milioni, un successo non previsto. Il presidente di Nintendo America, Reggie Fils-Aime, prima dell’estate si è scusato per l’interruzione della produzione dopo averla peraltro prolungata per fronteggiare la richiesta (“Non avevamo previsto l’incredibile risposta del pubblico”), mentre stavolta non ci dovrebbero essere problemi di scarsità di approvvigionamenti e conseguenti incazzature da mancato acquisto (a prezzi ragionevoli).
Ma come ti giri ti accorgi che la vecchia cameretta di quando eri ragazzino è stata perfettamente riprodotta nel 2017. Il Nintendo, accanto al televisore, come detto, c’è, e se accendi il computer sulla scrivania c’è pure il ritorno di un gioco di strategia degli anni Novanta prodotto da Microsoft, forse la cosa migliore che ha fatto Bill Gates (sicuramente non Windows): Age Of Empires Definitive Edition. Esce il 19 ottobre a 19,99 dollari, Microsoft da settimane rilascia anticipazioni, trailer, organizza premiazioni online, lascia fermentare l’attesa in vista della pubblicazione. Prima che esistesse il binge watching, cioè guardare l’intera stagione di una serie tv in un paio di giorni, l’esperienza di stare attaccato ore a uno schermo era già stata provata nel tentativo di ripercorrere la gloria della Grecia dalla fondazione di Atene alla conquista della Persia da parte di Alessandro Magno. Solo che il giorno dopo non c’era da andare in redazione.
In ottobre ritorna
Age of Empires:
la Grecia dalla fondazione di Atene
alla conquista della Persia da parte
di Alessandro Magno
Ma nel mercato della nostalgia non ci sono in vendita solo videogiochi. Netflix, che sa come spillare soldi ai trentenni, ha pubblicato una serie di Cyborg 009 (“Call of Justice”) e sta producendo il reboot dei Cavalieri dello zodiaco, anime tratto dal manga di Masami Kurumada. Non è tuttavia sindrome da Peter Pan, nessuno qui vuole tornare fanciullo, anche perché il tempo che passa ti dona una libertà che a 15 anni non c’era. E non è la sindrome di Peter Pan perché essenzialmente negli aspetti videoludici c’era una cosa imprescindibile: la narrazione. Tutti questi videogiochi, questi cartoni animati hanno una storia da raccontare. La serialità e la ciclicità è ciò che rende affascinante le serie tv di oggi. Alcuni videogiochi di oggi, ormai così evoluti da essere così lontani da quella figurina in 2D di Super Mario, sono al pari del cinema, tale è la complessità della storia in cui ti immergi con un joypad. Lo stesso vale per i Cavalieri di Atena che andavano in onda su Odeon. Odi epici e amicizie altrettanto epiche, etica del sacrificio. Come poteva non stregare un anime così? E come può non stregare tuttora? Se è vero come sosteneva Calvino che un classico è un libro che non ha ancora finito di dire quello che ha da dire, allora i “Cavalieri dello zodiaco” sono un capolavoro da leggere, rileggere, vedere e rivedere; il tentativo di provare a spiegare come possa la speranza riuscire a battere il male. Per un ragazzino, può essere un’esperienza complessa. L’italiano dei Cavalieri era dotto, ricco, variegato, racconta una storia che potrebbe essere insegnata a scuola (e pure anche in qualche scuola di partito). Certo, lo spirito da fact-checker che ormai s’è incistato ovunque rischierebbe di rovinare l’amore per quello che è un romanzo di formazione, in cui ragazzini devoti alla dea Atena sono costretti a confrontarsi con lotte fratricide (quella fra Phoenix e Andromeda), il passato che è un fardello (la morte della madre per Cristal il Cigno), i limiti da superare (Sirio il Dragone che riesce a combattere nonostante la cecità) e la violenza pronta a stritolarti ogni giorno, anzi casa dopo casa, come nel percorso lungo le Dodici Case, nel quale Pegagus e compagni devono sfidare gli avversari, molto più potenti di loro sulla carta, i Cavalieri d’Oro. Davide contro Golia.
Berlusconi e l'eterno ritorno degli anni Novanta. Non sempre felice l'uso politico
della nostalgia. Renzi
ci ha provato con l'Unità
Il mercato della nostalgia venderà pure vecchi sogni a prezzi concorrenziali a trentenni non del tutto cresciuti e forse non tutto è utile, come il ritorno del Nokia 3310. Alcune cose hanno effettivamente un hic et nunc, un qui e ora. Non vale la pena riprodurre tutto, non tutto ha ancora un senso vent’anni dopo. Molte cose però ce l’hanno davvero, come dimostra l’uso politico della nostalgia. Non tutti naturalmente sono come Berlusconi, che può offrire se stesso e il proprio corpo come tangibile prova dell’eterno ritorno degli anni Novanta, fra giudici che fanno da supplenti alla politica e il Cav. che fa politica dalle pagine di Chi con un paio d’autoscatti all’autogrill mentre sceglie la noce di prosciutto al pepe e le caramelle. Berlusconi è il Super Nintendo della politica italiana, anche se naturalmente molte cose sono cambiate nel centrodestra. Come ha osservato una volta Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, “credo che, al posto di soluzioni liberali, ci sia piuttosto una domanda più rilevante di sicurezza. C’è un forte pezzo dell’elettorato spaesato che ha bisogno di punti fermi, che non capisce come si comportino i governi davanti all’immigrazione, che ha paura del terrorismo, che è preoccupato rispetto a certe evoluzioni della società e quindi vuole risposte più di destra che di taglio liberale. La domanda è: quali sono gli spazi di libertà in un mondo nel quale gli ideali di sicurezza sono sempre più sentiti?”. Se Berlusconi è il Nintendo, c’è insomma il rischio che oggi Matteo Salvini sia la nuova Xbox.
Ma se nel caso di Berlusconi siamo nell’ambito della mitologia, qualunque sia il giudizio sul Cav., non sempre l’uso politico della nostalgia è felice. Renzi ci aveva provato con L’Unità, come se bastasse riaprire (e farlo chiudere) un giornale per raccogliere un’eredità politica, come se bastasse chiamare le feste di partito con il vecchio nome per poter esercitare ancora un’egemonia culturale. La nostalgia verso il passato può essere riposta in un tempo lontano ma anche ravvicinato. Instagram è diventato l’archivio fotografico di ricordi d’infanzia, Facebook il diario di bordo di esistenze passate, anche se certe volte il confine tra essere nostalgici e patetici è molto labile. “In un Agosto, per adesso, tutto impegnato a raccontarci la crioterapia mattutina di Vacchi e le peripezie di Dudù - scrive su Facebook Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd - forse mi sarà concesso divagare su una notizia di per sé non decisiva, ma fonte di emozioni e fantasie. Per chi, come me, ha passato da bambino intere giornate a contrapporre in estenuanti battaglie il Triceratopo e il T-Rex, la notizia della ricostruzione dei resti del dinosauro Patagotitan Mayorum, scoperto nel 2013 in Argentina, ha avuto lo stesso effetto delle celebri Madeleines di Proust. Si sono affollati in me intensi ricordi e quel gusto della scoperta e dell'ignoto che la tenera età e la preistoria stimolano e custodiscono. Pensare che sia esistito - e che si sia estinto - un essere di 70 tonnellate, pari ad una decina di elefanti africani, non può non darci, inoltre, la misura della precarietà e della transitorietà delle cose. Un dinosauro lungo 40 metri, il più grande mai esistito… e per un attimo si torna bambini e si pensa come sarebbe stato grandioso avere un degno rivale per il nostro fido e imbattibile T- Rex”. E, sempre a proposito di nostalgia, di fronte ai parlamentari scalcagnati piovuti con parlamentarie varie, molti del M5s, non siamo qui che ripensiamo, adoranti, alla Prima Repubblica? Su Facebook c’è persino una pagina molto seguita che si chiama “Una foto diversa della Prima Repubblica. Ogni giorno”, che gioca con i “meme” andreottiani.
Si ritrova un rapporto con i dischi e le singole canzoni che
la successione sterminata delle playlist aveva disintegrato
Nel mercato della nostalgia e nella nostra cameretta del 2017, tra i poster di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, mica potevano mancare i giradischi e i vinili, che ormai sono ritornati da anni, tant’è che “il ritorno del vinile” è un titolo già letto ovunque. Qui non è interessante dibattere sul duello fra cd e vinili, perché è evidente che i cd vendono molto di più dei vinili. L’aspetto interessante è che i vinili sono una nicchia, e per ora tanto basta. L’anno scorso sono stati venduti nel Regno Unito - secondo i dati della British Phonographic Industry - 3,2 milioni di vinili, ed era dal 1991 che non capitava, quando il disco più venduto fu Stars di Simply Red. Nel 2016 il bestsller è stato Blackstar di David Bowie. Luca Sofri nel suo blog ha raccontato l’esperienza di riscopritore di vinili. “Sono circa sei mesi che ho ricominciato ad ascoltare i dischi e a girare i dischi”, scrive in un post di maggio. “E sapete cosa?, da sei mesi ascolto quasi soltanto dischi. Non per purismo fanatico o tardohipster nei confronti della qualità del suono – di cui pure ho qualche impressione – e nemmeno per quella cosa là che mi pareva uno sbattimento ma ora faccio con piacere: alzarsi, pescare un disco dallo scaffale, tirarlo fuori dalla copertina, recuperare quei gesti e quella vecchia agilità di controllo del vinile coi polpastrelli contro l’orlo o a toccare rigorosamente solo l’etichetta, appoggiare il disco, sollevare il braccio del giradischi con l’indice e farlo scendere verticalmente appoggiandolo per evitare derapate, sentire quel ‘pop!’, e tornare a sedermi davanti al computer mentre il disco inizia. E dopo quella ventina di minuti (per ragioni di qualità dell’incisione e maggiore lunghezza dei cd adesso molti dischi sono doppi e quella durata a volte diminuisce di molto, forse troppo) alzarsi senza fretta – lasciala andare a vuoto, la puntina, senza ansia: non si vive con le piccole ansie inutili – e andare a capovolgere il disco sollevandolo dal feltro, con un gesto fatto ormai migliaia e migliaia di volte che evita persino di arrestare la rotazione del piatto, e poi di nuovo la puntina, eccetera”. La ragione vera, scrive Sofri, “per cui tutto questo mi piace, è che tutto questo restituisce un rapporto con i dischi e le singole canzoni che la successione sterminata – random o no – delle playlist o degli album in versione dodici/quindici-mp3-di-seguito aveva disintegrato: sul lato di un disco ci sono da tre a cinque canzoni, e il gesto di girarlo, quello di leggere l’etichetta mentre cerchi la più o meno occulta indicazione del lato A (solo il tempo di cottura della pasta è più introvabile), il misurare la successione dei pezzi ascoltandoli, prima di alzarsi, fa sì che ogni canzone venga collocata esattamente, riconosciuta, tratta dal disco, invece che essere un momento confuso e confondibile di un’unica cosa fluida che dura un’ora o magari tutta la giornata”.
L’eterno ritorno della nostalgia ha insomma molte forme. La mia malinconia è tutta colpa tua. Tua e di qualche cartone degli anni Ottanta.