Gonne di Francia
Le case mai chiuse di Parigi dove andava il meglio della République. Madame Claude e le altre: un’inchiesta impubblicabile, ora un libro
Il 13 aprile 1946, la loi Richard impose in Francia la chiusura delle case di tolleranza. All’origine del provvedimento, c’era Marthe Richard, una ex prostituta diventata, nell’immediato dopoguerra, consigliera municipale del Quarto arrondissement di Parigi. Facendo leva sulla cattiva reputazione di molte tenutarie delle case chiuse, derivata dai loro legami con il regime collaborazionista di Vichy, la Richard fece passare la sua legge dopo un discorso, pronunciato davanti al Consiglio comunale, nel quale attaccava la società francese, “responsabile della depravazione organizzata e patentata”. Tuttavia, ciò non impedì alle professioniste del sesso di continuare a offrire i loro servizi nelle innumerevoli maisons closes clandestine che, tra Parigi e la provincia francese, raddoppiarono dopo l’abolizione di stato.
Le maisons closes clandestine tra
la capitale e la provincia raddoppiarono dopo l'abolizione di stato,
la loi Richard del 1946
Jean-Marie Pontaut, giornalista investigativo di lungo corso, ha rispolverato i suoi densi taccuini di segugio della République, e dopo una vita trascorsa a raccontare i grandi classici del mestiere, scandali di frode fiscale, impieghi fittizi e conti all’estero, ha deciso, nel suo ultimo libro, di affrontare un tema più gioioso, leggero, ma non meno importante: il ruolo delle prostitute durante la Quinta Repubblica francese, le loro liaisons dangereuses con i politici e la funzione secondaria delle case chiuse dopo la loi Richard, luoghi segreti, protetti dalla polizia, dove l’intelligence recuperava informazioni. Si chiama “Sous les jupes de la Ve” (Tallandier) il suo nuovo volume, perché Pontaut è andato a sbirciare sotto le gonne della Cinquième e vi ha trovato una miriade di racconti e aneddoti saporiti, quelle piccole storie che hanno influenzato le grandi.
“Si dice che la vita è appesa a un filo. E la mia vita professionale è stata appesa al filo dorato di un bordello. Devo effettivamente la mia carriera, quantomeno agli inizi, alle prostitute. O comunque a una di loro, che mi ha permesso di scrivere il mio primo articolo per il Point. Un articolo, ironia della sorte, che non è mai stato pubblicato… in ragione dell’eccessiva cautela della casa editrice Hachette. Ma grazie a questo articolo, mi sono fatto una reputazione tale che i miei capi hanno ritenuto che fossi dotato per raccontare ‘storie di polizia’”, scrive Pontaut all’inizio del suo libro.
E’ il 1972, e in Francia esistono già due settimanali che vanno a gonfie vele: L’Express e il Nouvel Observateur. Ma una banda di giornalisti spettinati e molto liberi decide di riunirsi in un ufficio di pochi metri quadrati alla Defense, il quartiere degli affari parigino, per fondare un news-magazine controcorrente, sul modello dell’americano Time: il Point. Tra le firme, appunto, c’è anche Pontaut, che ha appena abbandonato la redazione di Paris Match, e un caporedattore apprezzato da tutti i suoi colleghi per i suoi modi calorosi: Jacques Duquesne. Quest’ultimo, cristiano di sinistra e esperto di affari religiosi, gli affida, per il numero zero del nuovo news-magazine, un articolo che nessun’altra testata parigina avrebbe mai potuto scrivere: un’inchiesta sulle “maisons jamais closes”, ossia su quei bordelli che esistevano ancora a Parigi e dintorni, nonostante la “legge Richard”. Pontaut, che non è esperto della tematica, chiede aiuto a un suo amico belloccio e coureur de femmes che lavora come fotografo per Paris Match, è ben inserito nella Parigi mondana e conosce molto da vicino, si dice, le “notti calde” della capitale. Quest’ultimo gli dà le dritte giuste e una sera, al bar Hemingway dell’Hotel Ritz, conosce una francese di origini russe che lavora per una di quelle “réseaux” che tutta la Parigi altolocata conosce bene.
Da Madame Billy nessun cliente venne mai rifiutato, tranne Idi Amin Dada, il dittatore ugandese, che faceva paura alle ragazze
“Buongiorno, mi chiamo Anya”, esordisce la ragazza. Poi, con rara disinvoltura, inizia a snocciolare i dettagli sul funzionamento delle case di tolleranza parigine post legge Richard, dinanzi a un Pontaut insieme incuriosito e divertito. L’Hotel Kleber, situato nel Sedicesimo arrondissement di fronte alla sede dell’Interpol, era uno degli indirizzi più apprezzati dagli habitué della capitale. La tenutaria si chiamava Madame Billy e i prezzi per le prestazioni erano fissi: per una “piccola scossa”, quindici minuti di rapporto, 300 franchi, per una “grande scossa”, fino a dure ore di rapporto, 500 franchi. Uomini politici, alti funzionari, diplomatici francesi e capi dello stato stranieri si accalcavano al 4, rue Paul-Valéry per passare momenti indimenticabili con le filles de joie di Madame Billy. Nessun cliente venne mai rifiutato, tranne Idi Amin Dada, il dittatore ugandese, che con i suoi occhi sanguinari “faceva paura alle ragazze”, come racconta Anya.
Ma la rete di prostitute più conosciuta di Parigi era quella di Madame Claude: una vera istituzione, un marchio di fabbrica. “Ha rivoluzionato il mestiere da sola”, spiega Anya. Le “claudettes”, le sue ragazze, hanno soddisfatto gli appetiti sessuali di svariate figure dell’alta società francese, ma anche internazionale, e il suo sistema era il preferito perché garantiva, nei limiti del possibile, la massima discrezione. Tutto era iniziato in un appartamento, con un telefono, tramite il quale faceva da “intermediaria”. E’ con lei che nascono le “call-girls”, le ragazze a chiamata, ed è lei, a Parigi, che possiede il miglior carnet di indirizzi. “Nessuno aveva la classe di Madame Claude”, dice Anya.
L’altra maquerelle che deliziò Parigi con le sue ragazze galanti era Katia, soprannominata “La Rouquine”. Appassionata di musica lirica, chiamò la sua casa di appuntamenti “Del Monaco”, in onore del tenore italiano Mario Del Monaco di cui era follemente innamorata. Il suo lupanare, situato al 10 bis, rue du Débarcadère, era considerato il più bello e il più divertente della capitale.
“Tutti questi luoghi sono conosciuti e tollerati dalla polizia?”, chiede l’allora giovane giornalista Pontaut. Risposta di Anya: “Certo, Billy, Claude e la Roquine beneficiano di un ‘condé’”. Di che cosa si trattava? Di un’autorizzazione ufficiosa della polizia, e più precisamente del servizio incaricato “della galanteria presso la brigata mondana della Prefettura di polizia”. La polizia, insomma, proteggeva queste “maisons jamais closes”, e in cambio, spesso, le tenutarie passavano informazioni indiscrete su alcuni clienti importanti. “Se la metà dei clienti si boicottassero tra di loro, metà Parigi non vedrebbe più l’altra”, sussurra l’amico fotografo di Paris Match. Che rivela all’amico un altro indirizzo imperdibile della capitale: Le Chatelier, un hotel risalente al 1881, noto per possedere “il più grande letto della capitale”, in grado di ospitare fino a dodici persone. Quando Pontaut si presenta dinanzi al suo caporedattore, ha in mano una sorta di Guide Michelin delle case di tolleranza clandestine (ma non troppo) di Parigi, con gli indirizzi, i prezzi, le specialità e altri dettagli pepati. I vertici di Hachette, tuttavia, decidono di non pubblicarlo, ma come racconta l’autore del libro, pare abbiano fatto diverse fotocopie “per gli amici”, oltre che per loro.
La polizia le proteggeva, e in cambio, spesso,
le tenutarie passavano informazioni indiscrete su alcuni clienti importanti
Ognuna delle tre tenutarie più celebri della capitale aveva la sua peculiarità. Madame Billy incarnava la tradizione, quella dei lupanari chic della Belle Époque, frequentati dalla vecchia nobiltà e l’alta borghesia. Figlia di due contadini della Borgogna, si dice che fosse la partner preferita di alcuni ministri prima della Seconda guerra mondiale e che acquisì la sua indipendenza proprio durante il conflitto. Al 4, rue Paul-Valéry, erano degli habitué Maurice Chevalier, Arletty e Mistinguett, ma soprattutto i deputati del Parlamento francese. Ogni sera, si dice che almeno sette parlamentari varcassero la soglia dell’Hotel Kleber, e che questo era divenuto una sorta di dépendance dell’Assemblea nazionale. “Era la loro camera preferita”, scrive ironico Pontaut. De Gaulle aveva imposto ai suoi ministri di non andare, ma in pochi sono convinti che siano state rispettate le consegne del generale. Poi, un giorno, mentre stava chiudendo per andare in vacanza, Madame Billy riceve una chiamata: era la polizia, che le chiede di tenere aperto ancora per un po’, perché stava arrivando un personaggio molto importante nella sua maison. Un ministro di primo piano? Un alto diplomatico? No, lo scià di Persia. “I poliziotti sorvegliavano tutta la strada. Alcuni erano persino appostati sul tetto. Lo scià doveva restare soltanto quaranta minuti. I poliziotti si stavano preoccupando: era lì dentro da almeno due ore!”, racconta la tenutaria.
Madame Claude, dal canto suo, rappresentava la modernità. Si era adattata alla globalizzazione e alla rivoluzione sessuale, usando il telefono, strumento di comunicazione moderno, e vendendo una sessualità riservata esclusivamente alle élite: i ricchi e i potenti. Ma esiste anche un lato nascosto del marchio di fabbrica di Madame Claude: le celebri “note blanches”, informazioni bianche, ossia non firmate dall’intelligence, senza data, né titolo, che la maitresse più famosa di Parigi contribuiva ad arricchire. Lei informava la polizia, e in cambio riceva la massima protezione. Spesso queste “notes” consentivano al potere in carica di ricattare gli avversari politici, o a un alto funzionario di polizia di stroncare la carriera di un suo subalterno un po’ troppo ambizioso, ma con un debole per certe abitudini. Le informazioni più interessanti salivano fino all’Eliseo, ma la maggior parte delle volte si arrestavano al piano inferiore, ossia a Place Beauvau, sede del ministero dell’Interno. Pierre Doxe, titolare dell’Interno durante la presidenza Mitterrand, diede un nuovo nome a questi documenti assai curiosi che gli venivano consegnati dai prefetti, che a loro volta li ricevevano dai poliziotti della brigata mondana: le “notes roses”, perché traboccavano di aneddoti sui comportamenti sessuali di persone note e di pettegolezzi di ogni tipo.
Il 10 bis, rue du Débarcadère, regno di Katia “La Rouquine”, a pochi passi dall’Arco di Trionfo, era invece noto per essere il preferito della polizia, perché la padrona di casa era una signora garrula che aiutava gli agenti nella ricerca dei prosseneti e dei grandi trafficanti di droga. Ma la maison di questa tenutaria era apprezzata, soprattutto, da un fedelissimo di Mitterrand: Roland Dumas, allora ministro degli Esteri. Cliente fisso delle filles de joie proposte all’indirizzo, condivideva con Katia la passione per l’opera, a tal punto che un giorno viaggiarono assieme a New York per ascoltare Placido Domingo.
Si dice che ogni sera almeno sette parlamentari varcassero la soglia dell'Hotel Kleber. La volta che arrivò lo scià di Persia
A Parigi c’era anche Le Cléopâtre, il club libertino più chic e rinomato degli anni Ottanta, innestato in una torre d’acciaio e di vetro ultramoderna nell’insospettabile Tredicesimo arrondissement. Magistrati, politici e principi del foro parigino si precipitavano alle feste organizzate dalla coppia proprietaria del luogo, Roger et Marie-Annick Georgeault, che avevano creato, per i fedelissimi, l’associazione “Amici della vita inimitabile”. Dall’Ottavo arrondissement, partivano le navette verso la torre dei desideri, e il 14 luglio, c’era sempre una festa speciale, “riservata alle sans-culottes per conquistare tutte le ‘bastiglie’”, scrive Pontaut. Un giorno, la polizia fece un’incursione improvvisa, segnandosi nome e cognome dei presenti. Jean-Louis Debré, che era il giudice istruttore, ricevette una serie di chiamate da parte di figure di spicco della politica francese, tra cui un influente segretario di stato, che lo imploravano di cancellare i loro nomi dal dossier. La polizia li aveva soprannominati “les pleureuses”, le piagnucolone, ma tutti, alla fine, la passarono liscia. Nel libro rosa di Pontaut, si racconta anche la storia di Christine Deviers, la “putain de la République”, amante del barone del mitterrandismo Dumas, che incappò in uno scandalo di tangenti che coinvolse il gruppo petrolchimico statale Elf-Aquitaine. In chiusura, c’è Dominique Strauss-Kahn, che a Parigi tutti chiamavano il “re della festa”, e a cui l’autore dedica un intero capitolo: “Il satrapo del sesso”. Molto prima dello scandalo del Sofitel, scrive Pontaut, “le sue pratiche un po’ brusche” erano già saltate all’occhio di chi lo avvicinava.