Si può cancellare la storia?
Un grande affresco di Sironi alla Sapienza riporta alla luce i tabù dell’Italia di fronte alla parola fascismo
L'opera di Sironi nelle due versioni. A destra l'originale con alcuni elementi evidenziati che,
dopo la censura del 1950, scompaiono (foto a sinistra)
Il 23 novembre sarà il capo dello stato, Sergio Mattarella, a tirare giù la tenda che copre questo enorme affresco alto nove metri e largo dieci che Mario Sironi dipinse negli anni Trenta per celebrare “l’Italia fra le arti”, nel complesso universitario disegnato dall’architetto Piacentini su committenza del duce, che lo inaugurò e battezzò. Nel dopoguerra l’affresco venne sporcato, ridisegnato, coperto, censurato, alterato, reso ideologicamente corretto ma artisticamente corrotto, seguendo argomenti che vengono da lontano, cari ai fanatici di tutti i tempi, da Torquemada ad al Baghdadi, il capo dell’Isis, gli stessi argomenti che da un fondo remoto ritornano a noi, oggi, nelle parole gettate lì con incauta spensieratezza dalla signora Boldrini, dall’iconoclastia imbecille del New Yorker, dalle retate dei carabinieri nei lidi “fascisti” di Chioggia e dalla pigrizia di quei deputati del Pd che scoprono il pericolo democratico nella paccottiglia di una tazza da tè e nell’etichetta di un vino dozzinale. Roba da disperarsi, o divertirsi.
Il confronto tra l'opera originale e la ridipintura di Siviero (foto di Stefania Sepulcri -
settore Ufficio stampa e comunicazione - università La Sapienza)
Ed ecco dunque l’ambiente universitario della Sapienza, a Roma, nel 2017, che in questo diffuso clima di timori surreali, grottesche cacce alle streghe, furbizie, tentennamenti e pruderie, mentre il Parlamento italiano spinge persino la propria dissipazione al punto di approvare una legge che già esiste contro l’apologia del fascismo, ecco l’ambiente dei professori della Sapienza che si divide in un dibattito per adesso tutto interno, ma composto di mugugni e di battutine, smorfie e sorrisi tesi, perché nessuno alla Sapienza, esclusi gli storici dell’arte che fortemente hanno voluto il restauro, sembra sapere se bisogna gioire per il capolavoro ritrovato o mettere su il cipiglio resistenzialista per via di quel Mussolini a cavallo che è spuntato fuori sotto i colpi di spazzola. Tutto un mondo, e un modo di condursi nel mondo, che ci fa intuire quanto questi siano tempi pieni di contropiedi e spiazzamenti, cretinerie e mediocrità, tempi dai quali, insomma, è pericoloso sporgersi. Persino all’università. Per lo storico dell’arte, restaurare e riportare alle origini è un invincibile impulso, una vocazione, affinché l’arte e la storia portino testimonianza. Anche fra quei poveretti che non sanno niente ma vogliono spiegarci tutto.
Immagini del restauro e confronto tra l'opera originale di Sironi e la ridipintura di Siviero
(foto di Stefania Sepulcri - settore Ufficio stampa e comunicazione - università La Sapienza)