Roger Scruton

Scruton ci dice che cosa sbaglia l'Europa su immigrati e sovranità

Francesco De Leo

Un pranzo con il filosofo conservatore britannico, a Manchester, tra vino buono, ricordi del padre e dettagli di Brexit

Sir Roger Scruton, Writer & Philosopher. Così è scritto, con un carattere elegante, nella testata del sito dell’intellettuale inglese conservatore per eccellenza. Sir Roger trascorre i suoi giorni, con la moglie Sophie e i due figli, nella fattoria a Stanton Fitzwarren nel Wiltshire, una contea dell’Inghilterra sud-occidentale, famosa per le grandi vallate colorate di verde. Un luogo speciale “in cui il passato si tocca e si respira”, si legge nelle guide turistiche. Lui qui, oltre che scrivere, alleva cavalli e si diletta con la caccia alla volpe. Si è laureato in filosofia a Cambridge, ha scritto saggi e romanzi, ha insegnato estetica, è fellow alla British Academy e alla Royal Society of Literature, senior fellow all’Ethics and Public Policy Center di Washington D.C. Politologo, insegna Filosofia all’University of Buckingham e in tanti altri atenei della sua vecchia Inghilterra. Ama la musica, tanto da comporla e suonarla. Una trasmissione del 2002, prodotta da Bbc 2, sull’importanza della bellezza nelle arti e nella vita dell’uomo rimane uno dei successi a cui è più affezionato. Due anni fa, il Principe di Galles lo ha nominato Cavaliere in una cerimonia a Buckingham Palace. E’ da allora che lavora con fatica al suo ultimo libro. “Affronto la difficile e inquietante questione dell’identità britannica: come costruire una prima persona plurale persuasiva, che ci guidi negli anni a venire. Questa sarà la mia risposta al voto sulla Brexit”.

    

“I love you Sir Roger…” gli dice una signora di mezz’età dai tratti tipicamente british, prima che Scruton cominci il suo incontro: siamo a Manchester, è in corso la conferenza di partito dei Tory. Scruton è un filosofo che specula sulle strutture fondamentali e necessarie dell’essere conservatore, che studia il pensiero conservatore anglosassone a partire da Edmund Burke, il liberale membro dei Whig, che alla Camera dei Comuni, alla fine del Settecento, avversava i Tory. “Pensi a una casa ereditata e all’amore di chi l’ha donata. Pensi all’amore con cui sarà conservata e lasciata a chi verrà dopo. L’idea alla radice del conservatorismo è questa…”, dice pasteggiando con del buon vino rosso. “L’essere conservatore è desiderare l’equilibrio per il proprio paese, preservarlo, garantirgli continuità, con l’unico fine di poterlo tramandare alle generazioni future”.

   

Politicamente cosa intende? “Conoscere e rispettare le tradizioni, le istituzioni della comunità a cui si appartiene. Adattandole al presente, qualora ve ne fosse bisogno, ma mantenendole vive, conservandole. Io parto da un presupposto – parla lentamente, il tono della voce è basso – Sono più che convinto che abbiamo ereditato qualcosa di molto buono. E’ sicuramente più facile distruggere cose buone che crearne di migliori. In quanto collettività abbiamo ereditato delle cose buone e dobbiamo sforzarci di conservarle. Bisogna tenercele strette, mi creda”. Scruton pensa al patrimonio collettivo dell’individuo: alla pace, alla libertà, alla legge, alla civiltà, al senso civico, alla sicurezza della proprietà e della vita familiare. Nel suo How to be Conservative, un compendio delle sue riflessioni sull’indole conservatrice, si dice convinto che “queste e molte altre cose ci sono ormai familiari e le diamo per scontate, ma sono in pericolo e il conservatorismo rappresenta la risposta razionale a tale pericolo”.

    

Scruton è a Manchester per parlare di ambiente, una delle grandi questioni care ai Tory, peculiarità che li rende quasi unici nel panorama delle destre internazionali. “La meraviglia? E perché mai? Assurdo pensare che la tutela dell’ambiente e il conservatorismo siano in conflitto, perché sono essenzialmente la stessa cosa”. In un suo saggio si legge: “I conservatori fanno propria la visione della società di Burke, che la concepiva come una partnership fra i vivi, i non nati e i morti; credono nell’associazione civile fra vicini, piuttosto che nell’intervento dello stato; e ammettono che la cosa più importante che un vivente può fare è di insediarsi, farsi una casa e passarla poi ai propri figli. L’oikophilia, l’amore per la propria casa, si addice alla causa ambientalistica ed è sorprendente che molti partiti conservatori nel mondo di lingua inglese non si siano impossessati di questa causa”. Durante la conferenza gli era piaciuto ricordare quando da ragazzino si era guadagnato la prima paghetta con il vuoto a rendere. “Ritiravo le bottiglie di vetro per una piccola salumeria, nel mio quartiere. Pratiche ormai desuete, ma quanto mai preziose per l’ambiente. Bisognerebbe tornare a queste abitudini”.

   

È il momento con Sir Roger di parlare di sovranità. Quel concetto che più d’ogni altro caratterizza l’identità britannica e che ha finito per allontanare il Regno dall’Unione europea, limite, con i suoi ordinamenti giuridici, della sovranità degli Stati membri. “È così. Siamo un’isola, siamo stati un Impero. Siamo cresciuti e abbiamo sempre vissuto nella convinzione di essere sovrani, di essere padroni del nostro destino su questa isola, di definire da soli le nostre leggi, attraverso il nostro Parlamento, la monarchia e così via. È un assioma fondamentale dell’essere britannici”. Gli chiedo di dirmi di più, visto che quanto affermato potrebbe essere culturalmente affine a tanti altri paesi. “Bene, pensi alla lunga tradizione della common law… Intendo dire che per noi la Legge non è dettata da un monarca, viene scoperta dai giudici nei Tribunali. Questo è un concetto giuridico che abbiamo dai tempi degli anglosassoni, dunque da oltre mille anni. Vuol dire che la Legge è emanazione del popolo, non imposizione della Corona al popolo. In Italia per esempio, la Legge vi è stata imposta in modi e tempi diversi, a cominciare da Napoleone, per effetto di un atto di conquista. È inevitabile che non vi sia familiare lo stesso concetto della Legge come emanazione del popolo”.

     

Qui siamo all’apoteosi della britishness e ci viene ancora utile dare un’occhiata al suo How to be Conservative, dove nell’introduzione c’è scritto: “In nessun luogo, tranne che nell’Anglosfera, esiste qualcosa di equivalente all’habeas corpus e tutti i tentativi di limitarne l’estensione o gli effetti hanno scatenato fenomeni di rivolta nei popoli anglofoni. Questo istituto esprime nei termini più semplici possibili la relazione unica fra governanti e governati che si è creata nella common law inglese. Questa relazione fa parte della nozione conservatrice di libertà”. Se non fosse ancora chiaro, qualche capoverso dopo, Scruton ribadisce: “Noi, eredi della parte anglofona della civiltà occidentale, sappiamo cosa sono le cose buone nella condizione in cui oggi ci troviamo: l’opportunità di vivere la nostra vita come vogliamo; la certezza dell’imparzialità del diritto, che fa sì che le nostre istanze di giustizia trovino risposta e le offese subite siano riparate; la tutela dell’ambiente come patrimonio di tutti e che non può essere espropriato o distrutto a capriccio degli interessi dei potenti; una cultura aperta e viva, che ha plasmato le nostre scuole e università; il metodo democratico, che ci permette di eleggere chi ci rappresenta e di promuovere quelle leggi che vogliamo siano promulgate”.

       

Come la maggior parte degli analisti, anche Roger Scruton si dice convinto che la questione immigrazione sia stata la madre del leave, un anno e mezzo fa, nel referendum consultivo sulla Brexit. “Per la gente comune, in ogni dove, l’immigrazione è una minaccia. Pensi a gente che ha costruito la propria esistenza con poche risorse e ora si trova in competizione con estranei. È inevitabile sentirsi minacciati. Voi in Italia, per esempio. Quanta gente arriva da voi fingendosi un rifugiato con diritto all’asilo? Questo è contrario al senso comune delle persone, ma le élite politiche, spinte dalle pressioni europee, lo ignorano, voltando loro le spalle. La gente comune ha ragione e rispettare le loro opinioni rappresenta la condizione sine qua non per ottenere stabilità. I britannici non sono certamente diversi in questo. In aggiunta a immigrazione di provenienza africana e asiatica, da noi arrivano anche tanti europei, che ritengono che nel Regno Unito si stia meglio che altrove”. Cerco di comprendere se pensi alla necessità di un’immigrazione qualificata. “Niente affatto”, risponde, “apprezzando l’ultimo sorso di vino con un sorriso compiaciuto. “questo lo vuole il governo forse, ma non mi sembra giusto. Dobbiamo entrare nell’ottica che il luogo dove si viene formati diventi luogo della propria esistenza. Pensiamo ai medici o agli infermieri italiani. Si sono formati in Italia, con i soldi dei contribuenti italiani, be‘h’, si rispetti il diritto degli italiani di avvalersi dei loro servizi. Il popolo italiano ha bisogno di medici quanto noi inglesi, che diritto abbiamo di rubarvi professionisti qualificati?”.

      

Sir Roger Scruton ha più volte ricordato l’influenza che ha esercitato suo padre John, detto “Jack”, nel suo amore per la propria terra: “L’habeas corpus era scritto nel suo cuore. Coltivava un profondo amore per la libertà inglese: credeva che essere liberi di dire ciò che si pensa e di vivere come si vuole è una cosa che gli inglesi hanno sempre difeso nel corso dei secoli e una cosa che li unirebbe sempre contro i tiranni”. Che fase è quella attuale per l’occidente, e per quei valori che hanno posto le basi dello stato di diritto e della democrazia? “Mah…”, risponde un po’ perplesso. “Principi e valori occidentali hanno le loro radici nel cristianesimo. Ritengo che il cristianesimo sia in una fase di indebolimento e che questo finisca per indebolire gli stessi valori occidentali. Le faccio un esempio: la sacralità dell’individuo. Ci crediamo tutti. L’individuo non può essere sacrificato per gli interessi del tutto. Cos’è questa se non un’idea cristiana? Ma il credo cristiano non è morto. Viviamo semplicemente un momento in cui le giovani generazioni esprimono dei dubbi. Spero possano tornare alle origini”.

     

Le chiese si svuotano, però? “Sì…e questo è un grande problema. Siamo una società che vive l’abbondanza. Pochi soffrono davvero per procurarsi cibo. Tutte quelle condizioni che facevano della religione un rifugio naturale per la gente sono venute meno. Si vive un’epoca di materialismo felice. Quello che verrà dopo poco importa. Non ci si pone obblighi, nei confronti degli altri o verso Dio. È dunque inevitabile che le chiese siano vuote. Per gli immigrati, tutto è diverso. Loro sì che affrontano grandi difficoltà. Per molti, l’islam, rappresenta la risposta ai bisogni. Questa per le nostre società non è però una conseguenza semplice da gestire. La grande maggioranza dei musulmani è pacifica, come tutti noi, ma la religione in sé dà molta credibilità alla violenza e ne paghiamo gli effetti”.

       

Ci salutiamo, gli chiedo che spazio ha la religione nella sua vita di filosofo. Per Edmund Burke “l’uomo è per costituzione un animale religioso”. Mentre fa per alzarsi, prima di porgermi la mano, sorride: “Attraverso periodi di ateismo, ma le mie idee le ritengo essenzialmente cristiane. Sono un membro della Chiesa anglicana e sono convinto che del mio paese non rimarrebbe nulla se la religione cristiana morisse”.