E' tutto un complotto
Secondo Gérald Bronner contro la dittatura delle bufale serve una battaglia culturale: “Democrazia della conoscenza contro Democrazia dei creduloni, questa è la nostra sfida”
La diffusione di teorie antiscientifiche è diventato un problema sanitario, come dimostra la recente necessità di introdurre l’obbligo vaccinale per legge sia in Italia sia in Francia, ma la questione rischia di diventare un anche problema per la salute del corpo sociale. “E’ la nuova sfida della nostra società: democrazia della conoscenza contro democrazia dei creduloni”. Gérald Bronner è un sociologo dell’Università Paris-Diderot, autore del libro “La democrazia dei creduloni” (che il Foglio sta pubblicando a puntate ogni lunedì) e ha accettato di parlare con noi del suo lavoro e dei suoi studi. Perché crediamo sempre di più a teorie senza fondamento? Cosa ci porta a diventare creduloni? “In primo luogo va chiarito che non è una tendenza moderna, ma è una predisposizione dal nostro cervello: il bias di conferma fa sì che sia più semplice per la nostra mente cercare una conferma che cercare una contraddizione. In altre parole, abbiamo bisogno di solidità intellettuale, di costanza, se cambiassimo idea ogni cinque minuti non potremmo fare nulla, impazziremmo. La nostra lunga evoluzione ha costruito questa forma di stabilità cognitiva, sia nel bene sia nel male”. C’è qualche altra motivazione che si aggiunge a questa nostra predisposizione naturale? “La seconda ragione, intrecciata alla prima, è che il bias autoconfermativo oggi può incontrare un mercato dell’informazione che permette di confermare ogni sorta di teoria. Questo è definito nel mio libro come il ‘teorema della credulità informativa’: più ci sono informazioni disponibili più aumentano le possibilità di trovare informazioni che assecondano le nostre teorie”. In altre parole, in una biblioteca di 1.000 libri è difficile trovarne qualcuno che confermi che la terra è piatta, mentre se a portata di clic ci sono 100 milioni di siti, allora la probabilità aumenta.
Molti se la prendono per questo motivo con internet, ma le teorie cospirazioniste sono sempre esistite, si pensi al presunto potere di controllo dei templari, dei gesuiti o degli ebrei. Durante il recente referendum costituzionale, persone ritenute autorevoli – giuristi, intellettuali e magistrati – hanno sostenuto che la riforma del governo Renzi derivasse da un documento della banca Jp Morgan. In pratica una riedizione dei Protocolli dei Savi di Sion. “E’ vero, le teorie dei complotti sono antiche, abbiamo avuto gli illuminati e i templari”, dice Bronner, “ma facciamo l’esempio dei vaccini: anche prima esistevano delle teorie che sostenevano fossero dannosi, ma erano confinate in degli spazi di radicalità, in sette o tra gli ecologisti radicali; la grande novità è che ora queste idee sono disperse nello spazio pubblico e grazie a internet sembrano più convincenti”. C’è la tendenza a ritenere che di colpo la società si sia popolata di stupidi e ignoranti. “Non c’è bisogno di essere stupidi, anche dopo un certo livello di studi, si può iniziare a credere a queste cose”, spiega il sociologo, “l’istruzione di per sé non garantisce l’immunità dalle teorie del complotto, anzi: ci sono studi che dimostrano l’esistenza di un legame statisticamente forte tra chi pensa che il reale sia costruito politicamente e la sua tendenza a credere alle teorie del complotto o alle fake news. Questa idea non viene portata avanti da pazzi, ma si trova, per esempio, in Michel Foucault. La preparazione intellettuale, credersi intelligenti, può predisporre a dare credito a visioni alternative del mondo ma false”. E quindi se siamo tutti nella stessa barca, colti e ignoranti, stupidi e intelligenti, cosa si fa? “Dobbiamo darci degli strumenti per verificare le informazioni razionalmente”.
Il costo di produzione delle notizie è sceso quasi a zero, e questo è un bene, ma l’effetto paradossale è che sono aumentate quelle false. Perché per smentire una fake news servono più tempo e risorse che per inventarla. Come si combattono? “Ci sono media che cercano di reagire alle fake news, e rendono un gran servizio. Molti studi dimostrano che i complottisti duri e puri, i più radicali, reagiscono diventando ancora più convinti della loro idea se vengono smentiti. E’ quanto io chiamo effetto backfire. Se questo è vero per i ‘credenti’, non lo è per quelle persone che potremmo chiamare ‘silenziosi’ o ‘indecisi’ che invece sono in una zona grigia. Per questo tipo di cittadini è molto importante avere a disposizione delle controargomentazioni”. Ci sono però molti dubbi sull’efficacia del fact checking. “Questa zona grigia è appunto silenziosa, quindi è difficile misurare quanto il debunking sia utile. Tuttavia è necessario. Questa battaglia va condotta per la salute della democrazia, credo sia utile diffondere gli argomenti contenuti ne ‘La democrazia dei creduloni’ non tanto perché possono essere efficaci contro le credenze, ma soprattutto perché spiegano come funziona il cervello, e che cadere nella trappola non è sintomo di essere stupidi. Questo è vitale per la democrazia”.
Ma è un errore logico che capita a tutti o un modo ragionare di pochi? Pare che chi creda a una teoria del complotto sia poi portato a credere a tutte le altre, è così? “Sì in effetti c’è una tendenza, si può essere contaminati e credere ad altre bufale o complotti. C’è una cartografia politica che tiene insieme questa mentalità: ci sono dei legami tra le adesioni cospirazioniste e la radicalità politica, se voi guardate il jihadismo troverete pochi radicalizzati che non siano anche cospirazionisti, che non credano al complotto degli ebrei o quello dell’11 settembre orchestrato dalla Cia. E non sono persone che vi aggrediscono, anzi! Sono rispettosi, gentili. Queste persone si creano una sorta di cittadella imprendibile, composta da tutte le altre teorie che confermano la realtà parallela nella quale credono di vivere. E’ fondamentale fare della prevenzione e dell’educazione per evitare che le nostre democrazie siano impotenti di fronte a complottisti diventati ormai radicalizzati e irrecuperabili”.
In fondo il cospirazionismo mette in dubbio le verità ufficiali. Un tempo Popper sosteneva che non si dovessero tollerare gli intolleranti, oggi dovremmo smettere di tollerare chi mette in discussione verità consolidate? Non è proprio il dubbio ciò che fa progredire la scienza e la società? “La democrazia ha sempre avuto problemi a difendersi da chi vuole rovesciarla, ma credo che possa rispondere fermamente e soprattutto prevenire queste degenerazioni”, continua Bronner, “è legittimo avere dubbi, ma il diritto si accompagna ai doveri: è sano dubitare, ma bisogna dotarsi di strumenti per dubitare con razionalità. Parlando di Popper, i cospirazionisti non rispettano il criterio di confutazione, se voi chiedete a un complottista cosa potrebbe convincerlo del fatto che ciò in cui crede non sia vero, è incapace di rispondervi. Mentre io, che non credo che l’11 settembre sia un autocomplotto, posso dirvi che se domani George Bush mi dicesse di aver orchestrato tutto allora gli crederei”. Quindi bisogna accettare solo chi dubita seguendo un certo metodo? “Non si può rivendicare il diritto al dubbio senza accettarne i doveri. E’ vero che anche la scienza può sbagliare, ma è il mercato più selettivo di tutta l’umanità: se una rivista scientifica pubblica qualcosa di inaccurato o che si rivela falso, viene subito ritirato. La scienza ha la capacità di riformarsi, cosa che invece non ha chi crede alle bizzarre teorie del complotto”.
Nel suo libro descrive l’“effetto Otello”. Non importa quanto una teoria sia accurata, anche una teoria palesemente falsa può avere successo se invade il dibattito pubblico e instilla il dubbio nella mente delle persone. E' un po’ ciò che lentamente è accaduto con i vaccini. “In questo momento si sta creando un gigantesco ‘effetto Otello’ contro l’industria farmaceutica, su cui c'è molta diffidenza nella popolazione. Eppure il 50 per cento della ricerca nel mondo è fatta dalle industrie, perché gli stati non hanno abbastanza soldi per fare tutta la ricerca di cui abbiamo bisogno. Non è una cosa scandalosa, quello che andrebbe spiegato è che o facciamo esplodere i nostri bilanci e le nostre tasse per raggiungere livelli ottimali di ricerca oppure dobbiamo diminuirla. Non c’è altra strada che la collaborazione con le multinazionali”. Ma da parte dei media c’ sempre una certa ritrosia a difendere Big Pharma o le grandi aziende, mentre trovano più agevolmente spazio personaggi dalle scarse competenze. “I media devono responsabilizzarsi, bisogna smetterla di pensare che tutte le opinioni sono uguali, ci deve essere spazio per tutti diamo metà del tempo a Hitler e metà del tempo agli ebrei per spiegare le loro ragioni. La presenza dei complottisti sui media dovrebbe essere proporzionata all’impatto che queste teorie hanno nel mondo scientifico, se soltanto il 5 per cento degli studi sostengono che i vaccini sono dannosi non è proporzionato organizzare un dibattito in modo eguale tra chi dice che sono necessari e chi dice il contrario. Non è rappresentativo, non è normale, e fa credere all’opinione pubblica che la comunità scientifica è divisa, mentre non è così”.
La comunità scientifica ha creato meccanismi per difendersi dalle bufale, ma non ha trasmettere queste armi di difesa alla società. Forse pensava che la divulgazione non fosse un suo compito? “Certo, la scienza ortodossa ha per lungo tempo ignorato o addirittura considerato in maniera altezzosa chi metteva in dubbio le sue acquisizioni. Oggi però non è più così. Il mondo scientifico ha preso coscienza dei rischi della mancata divulgazione e contaminazione. Silvia Morante, che ha tradotto il mio libro, è una fisica e io sono appena stato nominato membro dell’Accademia della medicina anche se sono un sociologo. Sono segni di apertura della comunità scientifica”. Da sociologo vede una tendenza totalitaria nel cospirazionismo? “Certo, il cospirazionismo può portare al totalitarismo. Abbiamo degli esempi storici, il regime nazista ha fondato parte della sua propaganda sul complotto ebraico. Il legame è logico: se le teorie del complotto fossero vere, allora vivremmo in un mondo talmente infame e senza valori che soltanto un potere assoluto potrebbe difenderci! Esiste una carica totalitaria nel complottismo. Non bisogna però dimenticare che spesso queste persone sono in buona fede, è complicato combattere i complottisti perché credono sinceramente alle loro teorie”.
In Italia ci sono tante forze populiste che, sommate, arrivano al 40 per cento dei consensi. Vuol dire che una larghissima parte della società è affascinata da un certo modo di ragionare. Come si fa a recuperare il consenso senza scendere nel terreno del populismo? “Hanno vinto per il momento la battaglia dell’immaginario e della narrazione. E’ evidente che i democratici e i liberali devono trovare nuove risorse per una narrazione diversa: abbiamo un deficit di narrazione, contiamo troppo sulla razionalità mentre la maggior parte dei nostri concittadini ha paura del futuro. Una parte importante della questione risiede nella battaglia narrativa, che passa dalla capacità dei politici e degli intellettuali”.
Si cercano anche delle soluzioni legali, ad esempio in Germania hanno pensato di punire con una multa fino a 50 milioni di euro i social network che non eliminano contenuti falsi o hate speech. E’ una misura utile? “Sinceramente non lo so, mi sembra una misura liberticida, sono un liberale e queste cose filosoficamente vanno contro le mie idee. Finora non mi sembra che provvedimenti del genere siano stati efficaci, in Francia abbiamo chiuso alcuni siti, ma poi abbiamo visto che si ricostituiscono e si moltiplicano in poche ore, diventando una sorta di Idra, che in più garantisce legittimità a chi sostiene che non siamo in democrazia ma in dittatura. Bisogna trovare altre vie d’azione ed essere molto attenti a non eliminare le libertà pubbliche”.
In Italia è stata lanciata l'idea di un’Authority indipendente per il controllo sulle fake news. “Non funzionerebbe, l’aggettivo ‘indipendente’ verrebbe subito messo nel mirino dai cospirazionisti che troverebbero un bersaglio perfetto. Il miglior metodo è essere pazienti, fare una rivoluzione pedagogica, spiegando il funzionamento e i limiti del nostro cervello. E’ un lavoro a medio lungo termine: democrazia della conoscenza contro democrazia dei creduloni. Non siamo che all’inizio, è una cosa che durerà nel tempo”.