Riscoprire la rivoluzione atlantica per capire l'origine della democrazia
Il ruolo degli Stati Uniti nel mondo nel libro di Israel
La triste verità della faccenda – ha scritto Hannah Arendt nel suo fondamentale On Revolution – è che la rivoluzione francese, che terminò nel disastro, è diventata storia del mondo, mentre la rivoluzione americana, che terminò col più trionfante successo, è rimasta un evento di importanza poco più che locale”. Di conseguenza, scrive sempre Arendt, “è un fatto indiscutibile che né lo spirito della rivoluzione americana né le profonde ed erudite teorie politiche dei Padri Fondatori ebbero un significativo impatto sul continente europeo”. Queste valutazioni sono state da molti accettate come definitive, ma erroneamente. Già nel 1959, Robert R. Palmer, nel suo insuperato The Age of the Democratic Revolution: A Political Historyof Europe and America, 1760-1800, aveva affermato che le rivoluzioni americana e francese “condividevano molti tratti in comune”, senza specificare, però, a quale rivoluzione francese si riferisse. Questo è un nodo imprescindibile, che Guglielmo Ferrero sciolse magistralmente con Le due rivoluzioni francesi, pubblicato postumo nel 1951 a cura di un suo allievo, Luc Monnier, libro nel quale Ferrero distingueva nettamente la prima rivoluzione, di stampo liberale, che durò dal 1789 al 1793, dalla seconda, giacobina e totalitaria, che iniziò nel 1793. Distinzione indispensabile, perché solo la prima può essere accostata, pur con le dovute differenze, alla rivoluzione americana.
La rivoluzione americana fu una “rivoluzione atlantica”. E’, questo, il nocciolo concettuale dell’importante libro di Jonathan Israel, storico ebreo americano, The Expanding Blaze: How the American Revolution Ignited the World, 1775-1848 (Princeton University Press), il quale sostiene e dimostra come “la rivoluzione americana sia stata il primo e unico tra i principali sommovimenti di tutta una serie di eventi rivoluzionari che coinvolsero il mondo atlantico durante tre quarti di un secolo, dal 1775 al 1948-49”. Tom Paine disse che, se la rivoluzione americana si fosse realizzata sulla base dei “modelli corrotti” del vecchio mondo, non avrebbe apportato alcun beneficio all’umanità. Così non fu, perché – sostiene Israel – essa ebbe una finalità ben precisa: “Una fondamentale riforma politica, sociale ed educativa negli Stati Uniti e al di là di essi”. I Padri Fondatori diffusero nuove rivoluzionarie concezioni sui diritti umani universali, sull’emancipazione degli oppressi, sulla libertà di religione, di espressione e di stampa, il tutto radicato sui fondamenti del sistema repubblicano. Si può negare che queste rivoluzionarie idee furono alla base di tutte le rivoluzioni successive nel mondo atlantico, nonostante gli esiti talvolta opposti alle ispirazioni originarie?
Dunque, la “rivoluzione atlantica”, innescata da quella americana, rappresentò un momento di passaggio fondamentale per la moderna democrazia rappresentativa. Tra gli ultimi anni del Settecento e la metà dell’Ottocento, essa fu la stella polare per le rivoluzioni in Francia, Olanda, Svizzera, Germania, Irlanda, Italia, Haiti, Polonia, Spagna, Grecia e America spagnola. Israel fa riferimento alle posizioni dell’italiano Gaetano Filangieri, il quale vide proprio nella rivoluzione americana l’inizio della rivolta contro il dispotismo e l’oppressione coloniale del Vecchio Mondo e, insieme a molti pensatori illuministi radicali, addirittura attribuì “all’America la responsabilità globale di applicare [i principi di libertà] sia all’interno sia fuori dagli Stati Uniti”. E, nello stesso tempo, “Franklin, Adams, Jefferson e Paine […] emersero come icone rivoluzionarie che ispirarono e mobilitarono le forze di altri movimenti rivoluzionari”.
I princìpi ispiratori della rivoluzione americana furono accantonati verso la fine dell’Ottocento, quando emersero il nazionalismo, l’imperialismo, il socialismo, il marxismo, tutte correnti di pensiero e di azione che rifiutavano i princìpi della democrazia liberale che avevano dato vita alla nazione americana. E si diffuse l’idea che la rivoluzione americana e il pensiero dei Founding Fathers fossero stati una tappa fondamentale per la costruzione degli Stati Uniti, ma che avessero poco a che fare con i movimenti democratici europei. Così, il concetto di “eccezionalismo”, applicato alla storia degli Stati Uniti, servì paradossalmente a operare, a quel tempo, una distinzione netta fra il paese nordamericano e l’Europa. La guerra civile americana, in qualche modo, completò l’opera, poiché offrì agli europei l’immagine di una nazione che tradiva i suoi stessi principi ispiratori e che, perciò, non poteva ergersi a esempio di democrazia e libertà.