In ricordo di Piero Melograni, che fu soprattutto un uomo libero
All'Accademia dei Lincei, davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella, la commemorazione di uno storico saggio ma non saccente, capace di accorgersi dei suoi errori, senza darne la responsabilità ad altri
Piero Melograni, celebrato oggi all’Accademia dei Lincei in una cerimonia davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella, è stato soprattutto un uomo libero, libero da pregiudizi, capace di accorgersi dei suoi errori, senza darne la responsabilità ad altri. Il suo carattere personale e la sua statura intellettuale coincidevano proprio in questa attitudine a coniugare, nel comportamento privato una cortesia da gentiluomo d’altri tempi con una sincerità disarmante, e, nella vita culturale, la rara capacità di scrivere di storia in modo comprensibile e privo di accademismi senza cadere nella semplificazione del divulgatore. Spiegò agli italiani il pensiero di Nicolò Machiavelli depurandolo sia della falsificazione romantica che ne faceva una specie di eroe risorgimentale ante litteram, sia della vulgata clericale che lo dipingeva come un uomo senza principi. Rilesse la vicenda della prima guerra mondiale con una prospettiva sociale realistica, non schematica come quella della interpretazione marxista allora dominante, fornendo una interpretazione del ruolo fondamentale dei contadini fino allora oscurato dalla retorica patriottica o oscurato dalla pur acuta interpretazione gramsciana troppo legata al ruolo della classe operaia.
L’altra grande vicenda della storia contemporanea, il fascismo e la lotta antifascista, la affrontò in un dialogo con Giorgio Amendola in cui non c’è traccia della esaltazione a critica della resistenza, a vantaggio invece di un esame critico delle insufficienze e dei limiti dell’antifascismo. Melograni aveva abbandonato il Pci nel 1956, in seguito all’intervento sovietico in Ungheria. Amendola che non fu mai tenero nei confronti di chi aveva rinunciato alla militanza comunista, per Melograni nutriva invece una stima basata proprio sulla sua capacità di liberare la lettura storica dai miti ideologici. A chi, come chi scrive, gli chiedeva come mai avesse fatto questa scelta che appariva singolare, rispondeva che per far risaltare il valore dell’antifascismo bisognava metterne in luce anche i limiti e le contraddizioni e che Melograni era il tipo di storico e di intellettuale più capace di mantenere quell’atteggiamento.
Come abbandonò il Pci senza polemiche personalistiche, in base a una sofferta lettura dei caratteri illiberali e autoritari connaturati al sistema sovietico, molti anni dopo abbandonò Forza Italia, nelle cui liste era stato eletto parlamentare, constatando che in Italia non c’è lo spazio per un partito di massa liberale proprio perché, in assenza dell’esperienza della riforma, non ci sono radici popolari di una rivoluzione liberale. Non aveva polemizzato con Palmiro Togliatti nel 1956, non lo fece quarant’anni dopo con Silvio Berlusconi. Cercava le ragioni profonde degli errori e dei fallimenti, a cominciare dai suoi, senza compiacenze e senza astio, e in questa mancanza di senso di superiorità intellettuale, accompagnata da una vivace capacità di analisi e di critica, sta la sua originalità di pensatore libero saggio ma non saccente. Un esempio umano e culturale che ha purtroppo pochi seguaci.