L'irresistibile Whitman
In libreria il Meridiano Mondadori sul più tipico e gigantesco dei poeti americani, che o fanatizza o delude
Non si può certo sorvolare sul Meridiano Mondadori dedicato a Walt Whitman, appena uscito, a cura di Mario Corona che ritraduce Foglie d’erba e vi premette un’introduzione e una cronologia di circa cento pagine, un vero e proprio libro sul più tipico, gigantesco, generoso e americano dei poeti americani e, con Baudelaire, autore dei Fiori del male, fondatore, inventore, colonna portante della poesia moderna. Sulla coppia di coetanei opposti e complementari Whitman (1819 - 1892) e Baudelaire (1821 - 1867) ci si potrebbe lasciar andare a conversazioni critiche ininterrotte e un po’ ebbre fino a notte fonda. Non si saprebbe dire chi dei due abbia avuto più influenza sul Novecento. Baudelaire nato a Parigi, Whitman a pochi chilometri da Manhattan. Entrambi a loro modo dei mistici: Baudelaire nell’isterico-estatica concentrazione del suo intellettualismo sensualistico e visionario, Whitman nell’espansione panico-epica del suo Io a misura del mondo. Baudelaire esclusivo e idiosincratico, Whitman democratico e inclusivo fino ad abbracciare e celebrare l’intera e multiforme realtà fisica, sociale e naturale. I “fiori” di Baudelaire sono intossicati e drogati dal male della modernità urbana e dall’impulso disperato a evaderne con ogni mezzo. Le “foglie” di Whitman splendono di vitalissima naturalezza materna che tutto accoglie e tutto sana. In Baudelaire si è ipnotizzati dalla percussiva regolarità metrica dei suoi versi rimati che comprimono e controllano una sfrenata, morbosa dilatazione della sensibilità. In Whitman si è trascinati e travolti da una perpetua apertura e incompiutezza dei versetti biblicamente salmodianti, sempre vicini a perdersi nella linearità progrediente della prosa e dall’ebbro tambureggiare delle enumerazioni.
Ecco la prima delle epigrafi di Foglie d’erba: “Io canto un Io, una semplice persona separata. / Eppure pronuncio la parola Democratico, la parola En-Masse. // La fisiologia da capo a piedi io canto. / Non la sola fisionomia né il solo cervello sono degni della Musa, io dico che la forma completa è ben più degna, / la Femmina al pari del Maschio io canto. // Nella sua immensa pulsante passione e potenza di Vita, / lieto, per il più libero agire formato sotto le leggi divine, / l’Uomo Moderno io canto”.
La poesia, un genere letterario nutrito fino al midollo di tradizione, rinasce in America non sul tempo ma sullo spazio, non sul passato ma sul presente. Il presente è tutto, questo è l’America rispetto all’Europa: “Per lui io canto / innalzo il presente sul passato, / (Come dalle radici un albero perenne, il presente sul passato), / Lui col tempo e con lo spazio io dilato e accorpo le leggi immortali: / Per farlo diventare attraverso di loro legge a sé stesso”. Whitman è la religione della democrazia americana come legge e forma autofondata, universalmente valida per restituire tutta l’umanità liberamente a se stessa. Il senso del male e del limite non sfiorano Whitman, il mondo è divinizzato misticamente così com’è. Le diversità e pluralità si presentano senza contrasto né contraddizione. La Bibbia di Whitman non prevede, anzi cancella l’uscita dall’Eden e il peccato originale che ossessionavano Baudelaire. L’America di Whitman è già in se stessa redenta e pronta a redimere il mondo: “Sento l’America che canta, sento le tante e diverse carole / quelle degli operai, ognuno canta la sua come si conviene, gioioso e forte. / Il carpentiere che canta la sua misurando l’asse o la trave, / Il muratore che canta la sua apprestandosi al lavoro o lasciando il lavoro, / il battegliere che nel suo battello canta quel che gli pertiene, il mozzo che canta sulla tolda del vapore, / il calzolaio che canta seduto al suo deschetto, il cappellaio che canta in piedi, / la canzone del taglialegna, quella dell’aratore mentre al mattino va al lavoro (…)”. Tra lavoro e canto, tra fatica e gioia, costrizione e libertà, nessuna differenza. Mi chiedo che cosa sarebbe avvenuto se Whitman avesse incontrato a Londra il suo risentito coetaneo Karl Marx. Devo dirlo? Come uomo Whitman è irresistibile. Come poeta, o fanatizza o delude. Per restare negli Stati Uniti, preferisco la concentrata consapevolezza metafisica di Emily Dickinson e il sentimento del tragico e della sconfitta di Herman Melville.
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