I nuovi scazzi di Zerocalcare
Il fumettista cresciuto a Rebibbia in "Macerie prime" si prende qualche rischio e sperimenta. Ma nemmeno troppo
A qualcuno il fatto che Zerocalcare – nato Michele Rech, aretino, cresciuto e pasciuto a Rebibbia, Roma – abbia così tanto successo (“Kobane Calling” ha venduto 100 mila copie e “Macerie Prime”, il suo nuovo fumetto, si avvia sulla stessa strada) non piace. E non piace perché disegna, perché anziché dire ragazzi dice pischelli, perché parla di fasci, di G8, perché non riesce a tenere per sé quello che pensa e perché in certi giri, troppo rossi e troppo alternativi, viene visto come uno da cui prendere esempio.
Nonostante tutto, però, lui i suoi fumetti continua a scriverli; va avanti, cambia, si permette di prendersi qualche rischio e sperimenta. “Macerie prime” è solo la prima parte di una storia. È intima, come tutte le altre che Zerocalcare ha già raccontato. Ma contiene un cambio di registro fondamentale, una narrazione più corale, dove i vari personaggi hanno il loro spazio.
Zero, per un momento, scompare. Non c’è lui e non c’è la sua coscienza, e non c’è nemmeno l’Armadillo che è diventato un suo simbolo. In “Macerie Prime” si parla di scazzo: scazzo per quelli che s’accollano, per gli amici che danno per scontate tante e troppe cose; scazzo per un mondo che i giovani – gli ex, pardon, giovani – non li vuole più.
Si parla di crisi e di precarietà, e anche questo molto probabilmente non va giù a tante persone. Ma che racconto è: sempre negativo, sempre pessimista, mai possibilista. È un racconto che parte dalle esperienze di Zerocalcare, da quello che lui oggi, dopo il successo dei fumetti, dopo i tour, i viaggi a Kobane, le chiacchiere, le storie e i reportage, è diventato.
Nella sua dimensione personale trovano spazio anche altre cose: cose a cui il lettore finisce per appassionarsi e in cui, meglio ancora, finisce per ritrovarsi. “Macerie Prime” parla di matrimoni, di figli, di lavori che non si trovano; del successo di chi, forse, il successo non lo merita; dei sogni di gloria e di speranza; della necessità di arrangiarsi, provarci, di metterci una pezza.
I disegni sono sempre quelli: forse più precisi, forti di uno stile che oramai si è consolidato, ma comunque dinamici, semplici, che non puntano all'iper-realismo bonelliano né all’eccesso stereotipato dei manga. Zero disegna come Zero. Ha una sua cifra e una sua riconoscibilità. E “Macerie Prime” è anche un’occasione per aggiornarsi e per aggiornare i personaggi, che nel corso del tempo – e delle storie – sono sempre rimasti uguali.
Alla trama principale se ne affianca un’altra ambientata in un’altra dimensione, in un’epoca post-apocalittica, dove ansia, accolli e rosicamenti sono mostri identificabili e classificabili, dove un bambino prende appunti (e li prende per imparare, proprio come facciamo noi nella vita, ogni volta che sbagliamo) e un vecchio dà lezioni. Esperienza contro inesperienza, evidenza contro novità.
Più breve di “Kobane Calling” e di “Dimentica il mio nome”, “Macerie Prime” riesce a sviluppare una storia personale senza mai diventare irrintracciabile per il lettore, e a sviluppare temi – e toni – senza mai appesantire il resto del racconto.
Universalismo individualistico