“L'uomo occidentale non ha interesse a morire”, scrive Beigbeder
Il libro dell'autore francese già premio Renaudot, sul transumanesimo o la disperazione dell’upper class contemporanea
Roma. Il sanatorio di Davos nella “Montagna Incantata” di Thomas Mann è il luogo allegorico dove la civiltà si confronta con il problema della morte in tutti i suoi significati. Il sanatorio di “Une vie sans fin” (Grasset) di Frédéric Beigbeder, già vincitore del premio Renaudot, è quello in cui la civiltà prova a sconfiggere la morte. Protagonista del libro di Beigbeder è un maschio occidentale, eterosessuale, sui cinquanta, disilluso, che assomiglia ai personaggi di Michel Houellebecq e all’uomo dall’identità infelice descritto da Alain Finkielkraut.
Beigbeder è uno degli scrittori più corteggiati di Parigi, sposato per la terza volta con una modella svizzera e padre di due figlie, un libertino preoccupato per la “virtù risorgente” e che si definisce compagno di strada delle femministe antimoraliste come Marcela Iacub (la firma del manifesto contro la criminalizzazione della prostituzione, due anni fa, a Beigbeder è costata non poche grane nell’alta società francese che frequenta).
Il “Centro medico del benessere Viva Mayr”, questo il nome del sanatorio del suo libro, si trova sulle rive del lago Wörthersee in Austria. Assomiglia al Paradiso dantesco, dove le anime dei beati sono perfettamente paghe del grado di beatitudine chimica loro assegnato. Ci vanno tutti i ricchi del pianeta, politici come Vladimir Putin e gente dello star system come Uma Thurman. Ci si va a ripulire il sangue, il fegato e l’intestino. “Il panorama spettacolare sembra un poster attaccato al muro di un’agenzia di viaggi”. La specialità della clinica Viva Mayr è chiamata “detox digitale”. E’ “la rigenerazione dei membri della classe occidentale superiore”. Al ristorante si deve masticare ogni boccone quaranta volte prima di ingerirlo. “Mangiamo troppo in fretta, troppo grassi, troppo tardi e troppo spesso”.
“La postumanità sarà bovina?”, si chiede Beigbeder nel suo nuovo libro dedicato al transumanesimo. “Ci si addormenta in una rilassante poltroncina, con luci soffuse e il rumore delle onde”. Costa mille euro al giorno il “detox”. C’è anche il “Time Restricted Feeding”. “L’inedia intermittente brucia le riserve di carboidrati e innesca l’autofagia e la rigenerazione cellulare, prolungando l’aspettativa di vita. Sono orgoglioso di essere un bambino di cinquant’anni volontariamente vittima della malnutrizione”.
Beigbeder descrive un mondo in cui la giovinezza eterna non è più un sogno, ma (quasi) una realtà. E’ un romanzo, ma indica realisticamente il nostro mondo nuovo in cui la morte “è un problema tecnico da risolvere, come una lavatrice guasta”.
Il transumanesimo è la nuova religione contemporanea, surrogato del monoteismo giudeo-cristiano sfiancato da troppa secolarizzazione. “L’individuo occidentale, solo, senza vera fede, non ha interesse a morire”, dice Beigbeder. “Vogliamo esibire la nostra vita tutto il tempo”. E a Libération dichiara: “Le chiese sono le terme dell’anima”. L’uomo ne ha bisogno, della religione. Anche Michel Onfray, un altro epicureo un po’ rinsavito, nel suo libro “Decadenza” (Neri Pozza) parla del transumanesimo come di un nichilismo incandescente, “l’ultima civiltà che avrà il compito di sopprimere ogni civiltà”. Il Bengodi postmoderno per via endovenosa.