“Roma altrimenti”, la Capitale e il suo futuro. La visione di Caudo
Presentato allo spazio espositivo di Sorgente group il libro dell’urbanista, che vuole rimettere la città al centro del dibattito pubblico del paese
È la Capitale, con le sue contraddizioni e le sue molte ambiguità urbanistiche, la protagonista di “Roma altrimenti”, il libro di Giovanni Caudo presentato in un evento organizzato da Sorgente group nello spazio espositivo di via del Tritone, 132. Una città che, parafrasando il sottotitolo del volume, deve trovare “nuove ragioni” dell’essere capitale. Nato nel corso del 2016, il libro è il frutto delle “Conversazioni su Roma”: incontri pubblici di confronto nati dall’esperienza accademica e amministrativa di Caudo, assessore alla trasformazione urbana della giunta Marino e docente di urbanistica a Roma Tre. Obiettivo? Rimettere Roma e il senso del suo essere capitale al centro del dibattito pubblico del paese.
“Il lavoro della Fondazione Sorgente nella città di Roma, a partire dall’adozione del Giardino degli Aranci, è anche frutto del lavoro amministrativo di Giovanni Caudo, che ringrazio per essere stato un ottimo interlocutore” ha esordito Valter Mainetti, azionista di riferimento di Sorgente Group Alternative Investment.
“Roma altrimenti” è un progetto di editoria partecipata e raccoglie vari scritti di esperti, urbanisti e ricercatori, con una postfazione di Walter Tocci (vice sindaco in epoca Rutelli, anche lui intervenuto nel corso della presentazione). “Non abbiamo intermediari, abbiamo pubblicato tramite la piattaforma di self-publishing di Amazon” racconta Giovanni Caudo che ha cercato di riassumere il senso dell’iniziativa e del suo lavoro: “Innanzitutto questa non è una presentazione ma una sollecitazione su argomenti utili alla città. Se parlare male di Roma ormai è diventato uno sport nazionale, la crisi non si riduce alla città, alle buche, agli autobus. Sottovalutiamo il rapporto che esiste tra Roma e il paese”.
E’ l’essere capitale la vera questione romana. “Non si è capito che il ruolo dello stato è cambiato e anche le capitali sono cambiate”. Fino al 2 ottobre 1870, quando si è svolto il plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia, Roma era la capitale del cattolicesimo, ma in senso più ampio era “capitale del mondo”. E’ stato quello il momento in cui, spiega Caudo, è iniziato un processo di “distruzione” (così lo definivano alcuni scrittori e intellettuali stranieri). Roma divenne capitale per volontà di un’élite, ma, come scrisse Dolores Pato, “non è il Piemonte allungato. Capirla? E’ più facile distruggerla”. Insomma, quella di Roma è una storia di ambigua modernità, fatta di confini amministrativi confusi, di eterna contesa tra “ciò che si distrugge e ciò che si costruisce”.
Oggi si parla tanto della contingenza, del presente della città, lasciata ormai a se stessa, ma i problemi di Roma sono insiti nella sua stessa natura. Sono molti gli esempi di questa “tensione urbana” che ha fatto del Colosseo, per fare un esempio, un crocevia dello sviluppo urbano. “Prati era il quartiere antipapale per eccellenza, e porta con sé tutti i segni di questa contrapposizione. Come la zona di Porta Pia, che Quintino Sella voleva fosse la sede della Roma amministrativa”.
Ma la storia di Roma è anche una storia di innovazione. Quell’innovazione che attraeva, a differenza di oggi, gli investimenti stranieri, come per le concessioni della rete tramviaria. E dunque forse - è la provocazione di Caudo - è proprio nel ruolo di capitale “corrotta” la genesi dei problemi della città. “Roma non ha dissipato le risorse dello Stato, ma è un borgo papalino che ha permesso a migliaia di italiani di trovare dignità come cittadini”. Un’opinione controcorrente, ma “buona parte del debito è servita per svolgere il ruolo di Capitale”. Innovazione contro parassitismo, ecco un’altra grande dualità della città eterna, un’altro sintomo di quell’ambigua modernità di cui parla Caudo. La separazione tra città amministrativa e città storica e il non accorgersi che, nel frattempo, il mondo è cambiato. Invece di interrogarsi sul nuovo, Roma ha continuato a “vedere nel trasferimento pubblico la propria idea di sviluppo”.
“Roma altrimenti” è un work in progress, un motore di idee di sviluppo per la Capitale. Sono cinque in particolare le strategie, le parole chiave su cui Caudo e le altre persone che hanno partecipato alla redazione del libro si soffermano. Quelle attraverso le quali si può intravedere un futuro per una città eternamente divisa: ridare un senso alla capitale amministrativa, rinnovando la sua forma dentro la città, unire le cose che funzionano e creare luoghi unici per ministeri e stato; ritrovare la dimensione culturale e il rapporto con la vera ragione storica di Roma, ma con innovazione. “Possiamo mettere insieme il neorealismo con le periferie e creare strumenti di condivisione” spiega Caudo; rendere sostenibile e fornire servizi alla quarta Roma con un piano di emergenza specifico; decentrare perché, come ha scritto Walter Tocci, presente anche lui all’incontro, “Roma è troppo grande per vedere i problemi di prossimità e troppo piccola per essere in grado di governare tutto il suo territorio”, e va immaginata una forma che segua quella del territorio. E poi la Regione capitale, la possibilità di mettere in rapporto Roma e il centro Italia, categoria che formalmente non esiste ma che di fatto i privati hanno capito (basti pensare alla dorsale dei centri commerciali Soratte-Porta di Roma-Valmontone-Castel Romano).
Un progetto a lungo raggio, che vuole ribattere all’insoddisfazione per il dibattito “un po’ miope”, come l’ha definito Stefano Sampaolo, ricercatore del Censis, intervenuto nel corso dell’incontro e fra gli autori del libro. I problemi di Roma vanno capiti in una dimensione più profonda. Nel lungo periodo. Per questo, “Roma altrimenti” non si ferma qui. Dal dibattito ospitato nella sede di Sorgente nascerà un capitolo ad hoc della nuova edizione del libro. Un punto di vista diverso e controcorrente di una città che soffre, ma forse per colpe non sue. “Il nostro auspicio è che il futuro di Roma sarà diverso. Non abbiamo amici, perché alla politica il nostro dibattito non interessa. Ma la nostra pubblicazione è flessibile e soggetta a consapevolezza e sensibilità. Il nostro viaggio dentro la città proseguirà”.