Louis-Ferdinand Céline. Gallimard ha annunciato e ritirato i suoi pamphlet antisemiti e anticomunisti del periodo della guerra. Nel 1981 Guanda li pubblicò, per volere di Giovanni Raboni e Franco Cor

Visto Céline, non si stampi: le bagatelle della censura

Giulio Meotti

Ecco come andò in Italia quando furono pubblicati i tre pamphlet antisemiti

Nel giro di quattro anni, dal 1937 al 1941, Louis-Ferdinand Céline incise le sue tre colonne infami: “Bagatelles pour un massacre”, “Les beaux draps”, “L’Ecole des cadavres”. Da allora, quei libri, frutto della demonolatria delle più paranoidi, sono rimasti inaccessibili al pubblico e dell’antisemitismo del loro autore si è detto tutto e il contrario di tutto, cercando di separare il grande romanziere dall’orrendo pamphlétaire. Nel 1993 la Francia si scandalizzò di fronte a una tesi a dir poco ardita: l’autore del “Viaggio al termine della notte”, il romanzo più ammirato di Céline, non sarebbe stato uno degli scrittori più antisemiti del secolo, ma una specie di amico degli ebrei. E’ la tesi di “Céline Seul”, il saggio di Stéphane Zagdanski pubblicato da Gallimard, in cui lo studioso, ebreo, disse che sì, “Bagatelle” è un testo scioccante e sconvolgente, ma che il suo odio combaciava con l’amore per il popolo ebraico. Vent’anni dopo, la Francia ha scoperto altro in “Céline, la race, le juif”. Il libro di Annick Duraffour e Pierre-André Taguieff racconta le compromissioni dello scrittore con il regime nazista di occupazione. Adesso la Francia torna a parlare di lui, con la decisione poi sospesa di Gallimard di ripubblicare i pamphlet, assieme a “Mea culpa”, l’omaggio a Zola e il testo contro Sartre (doveva esserci la prefazione di Pierre Assouline del Monde). Patrick Modiano, premio Nobel per la Letteratura, avrebbe combattuto duramente con Antoine Gallimard per farlo rinunciare al progetto (è intervenuto anche il premier Edouard Philippe, favorevole alla pubblicazione). In Canada, pochi mesi fa, era uscita un’edizione critica dei pamphlet a cura di Régis Tettamanzi, professore di Letteratura all’Università di Nantes.

 

Il premier Philippe era a favore, il ceto letterario contrario. Il Nobel Modiano ha fatto pressioni su Gallimard per farlo desistere

Come è possibile che in tutta Europa Céline sia ancora censurato e bandito, quando il veto è caduto anche per Adolf Hitler? In Francia circolano i testi antisemiti dell’imam Yusuf al Qaradawi, ma non i libri di Céline, di cui Vanni Scheiwiller in una nota a “Mea culpa” scrisse: “L’emozione, la frase disarticolata, la struttura ideologica, il lirismo di Céline fanno sì che la sua opera deve essere collocata non solo tra i grandi prosatori del ’900, ma tra i grandi poeti di ogni tempo”. E Cesare Cases sull’Espresso definì le “Bagatelle” “il libro migliore dell’autore dopo il ‘Viaggio al termine della notte’”.

 

Fayard ha annunciato la pubblicazione del libro di Hitler per il 2019, con un apparato critico, e le edizioni Robert Laffont hanno aperto la loro prestigiosa collezione Bouquins ai libri di Lucien Rebatet, un altro scrittore collaborazionista. E Céline? Se è riconosciuto come uno dei due più grandi, con Marcel Proust, della letteratura francese del XX secolo, Céline continua a suscitare “odi e passioni”, secondo il titolo del libro di Philippe Alméras, uno dei suoi esegeti. Sul Monde, nei giorni scorsi, Tiphaine Samoyault ha ricordato che l’odio di Céline non si trova solo nei suoi pamphlet, ma in tutta la sua opera, come il “Voyage”. Da qui la tentazione, come ha scritto Philippe Muray in una prefazione alla riedizione del suo “Céline” per Gallimard, “di espellere Céline una volta per tutte dalla storia della letteratura”.

 

Le “Bagatelle” sono oggi il libro più raro in circolazione, se ne trovano poche copie nelle grandi biblioteche di Francia, lo si vende in antiquariato, a prezzi assurdi. Fu in Italia, nel 1981, che l’editore Guanda, per iniziativa di Giovanni Raboni e nella traduzione di Giancarlo Pontiggia, fece uscire “Mea culpa”, “La bella rogna” e le “Bagatelle”, subito ritirate dal mercato dopo una diffida della vedova Céline (Ugo Leonzio nella prefazione paragonò Céline allo Swift della “Modesta proposta” al marchese de Sade). E’ italiana dunque l’unica traduzione mondiale di quei libri terribili.

 

Riccardo De Benedetti al caso Céline ha dedicato la più importante monografia italiana, “Céline e il caso delle Bagatelle”, uscito per le edizioni Medusa. “Il divieto ha a che fare con due idee, abbastanza fallaci”, dice al Foglio De Benedetti, laureato in Filosofia con tesi su Habermas, vent’anni di redazione di “aut aut” dal 1978 al 2000, giornalista e cattolico. “La prima è che abbiano ancora un effetto pratico nel diffondersi dell’antisemitismo; la seconda è che cadano in mani sbagliate. L’antisemitismo odierno è nutrito da altre considerazioni, politiche e culturali che attengono al problema dell’identità europea, mal compresa e ancor più malamente gettata nella spazzatura. I pamphlet di Céline non potrebbero rafforzare i motivi dell’odierno antisemitismo più di quanto già non siano forti. E le mani sbagliate nelle quali cadrà il libro hanno già tutti gli elementi per essere antisemite, non hanno bisogno di Céline. Non solo, ma il nuovo antisemitismo muove da istanze che hanno bisogno di celarlo almeno quanto il vecchio aveva bisogno di manifestarsi alla luce del sole. Ma a questi motivi se ne aggiungono di meno dicibili, che fanno riferimento al senso di colpa e alla coda di paglia. Proibire significa dire: non siamo riusciti e non vogliamo capire perché l’Europa ha prodotto nel Novecento quello che ha prodotto, nazismo e comunismo in versioni sterminazioniste, d’altronde le uniche possibili, se ci rifugiamo in ciò che è facilmente caratterizzabile come un unicum storico, abbiamo risolto il problema e teniamo lontani i sensi di colpa, anzi, li facciamo agire come macchina positiva che crea consenso a costo zero e senza troppe domande su ciò che ha permesso ciò che è successo e ciò che lo accompagna e lo accompagnerà ancora”.

 

"In un mondo laico e aperto come il nostro, quali dovrebbero essere i criteri per censurare? Quanti libri non dovremmo pubblicare?"

Céline è già entrato fra l’altro nei classici della letteratura. “Se fossero coerenti dovrebbero toglierlo anche dalla Pléiade”, continua De Benedetti. “Céline è un feticcio della lotta all’antisemitismo. Interdizioni e scomparse così esplicite non ne conosco. Anche se va detto che il caso Céline è particolarmente grottesco perché le opere complete sono state già adeguatamente monumentalizzate da Gallimard quando le ha inserite nella Pléiade. Quindi di chi stanno parlando quando censurano i pamphlet? Del Céline già classico o di un suo pallido fantasma che si rivelerebbe ancora più forte e convincente dell’autore del ‘Viaggio’? Si lavano la coscienza inzuppandosela ancor più di ipocrisia. Da quel punto di vista sono fantastici. Più cedono al politicamente corretto, che oggi significa, un appiattimento sull’immigrazione islamica e i problemi che comporta, più si sentono in dovere di coprirsi con gli ebrei”.

 

De Benedetti, più ancora che di libertà di espressione, parla di vera e propria limitazione della libertà di ricerca. “Perché è chiaro che non si tratta, in fondo, di occuparsi dei valori letterari di Céline, che sono chiaramente assodati e, soprattutto, emulati e costantemente richiamati dall’esperienza letteraria, ma di un vero e proprio impedimento a indagare la zona rischiosa della letteratura. George Steiner è lucidissimo nell’indicare quella zona e nell’affermare che la cultura occidentale o accetta quel rischio o è destinata a soccombere. Se vogliamo continuare il nostro mondo culturale non possiamo non guardare in faccia ciò che non solo lo ha deturpato ma lo ha anche ridefinito nei suoi canoni espressivi. Céline è una di queste figure che rivelano più ancora di quanto occultano. Rivelano il male? Certo che sì, ma il male si è così distribuito e diffuso, sebbene in altre forme, che richiamare a proposito delle ‘Bagatelle’ il vecchio male paventandone il ritorno, permette di non vedere quello nuovo. Quest’ultimo implicherebbe, a differenza del primo, un’analisi nuova e una nuova attenzione nei confronti di ciò che preme al suo interno, oggi come allora”.

 

Che tipo di censura agisce? Soffice e dolce? “Sì è morbida e consensuale, ma non so se sia dolce!”. Come nacque il tuo libro sulle “Bagatelle”? “Fu Maurizio Cecchetti (direttore della casa editrice Medusa, ndr) in una chiacchierata a sollevare la questione della censura sui libri e disse che a lui risultava che l’unico libro a cui fu impedita la pubblicazione era le ‘Bagatelle’. Così cercai di ricostruire la storia della pubblicazione avvenuta e poi immediatamente ritirata. La destra ne faceva un motivo di censura vera e propria. In realtà non era così, era un problema di volontà prima di Céline stesso e poi della vedova. Tanto la consacrazione nella Pléiade era avvenuta indipendentemente da quei testi. Ora invece si può parlare di vera e propria censura in base a considerazioni di opportunità politico-culturali”.

 

E’ surreale che, a distanza dal 1981, tutti i pamphlet di Céline siano stati lasciati a muffire. “In Italia non c’è vera e propria censura, ma un opportunistico stare alla finestra e vedere cosa succede. Essendo l’epitome, abbastanza parodistica e grottesca, dell’antisemitismo, Céline si presta benissimo alla bisogna: lo proibisco dimostrando grande sensibilità e accorata preoccupazione non tanto nei confronti degli ebrei quanto soprattutto nei confronti di tutti coloro che ne potrebbero prendere il posto. E infatti ne ho alla porta un’infinità. Rendere assoluto il male significa anche renderlo assolutamente sostituibile con questa e quella figura che potrebbe, in forza della sua capacità comunicativa e sociale, identificarsi e garantirsi il posto di riguardo che il senso di colpa europeo concede agli ebrei… morti che tanto a quelli vivi ci pensano gli islamici”. Come dire, andiamo a leggere i sermoni scanditi in molte moschee invece di censurare le “Bagatelle”. 

 

"Proibire significa far agire il senso di colpa per l'antisemitismo come macchina positiva che crea consenso a costo zero" (De Benedetti)

Parliamo con uno dei responsabili all’epoca di Guanda, che prima al mondo pubblicò i tre pamphlet di Céline, ma che preferisce rimanere anonimo. “La nostra stoltezza fu duplice: pubblicare senza diritti e non considerare che il ‘massacro’ del titolo era più vivo che oggi nella memoria. Tutti parlarono in modo lusinghiero del libro, ci fu difesa della pubblicazione. Solo dei pazzi come in Guanda potevano decidere di pubblicarlo. Pensi che oggi persino Sade a Gallimard non è che sia stato proprio sdoganato. A posteriori non avrei pubblicato le ‘Bagatelle’, per rispetto della Shoah”. Fra i sostenitori in Guanda della pubblicazione delle “Bagatelle” ci fu Franco Cordelli, oggi sommo critico teatrale del Corriere della Sera.

 

Giancarlo Pontiggia allora era un giovane scrittore e traduttore ed ebbe l'incarico di tradurre, per la prima volta dal 1938, le “Bagatelle”. “Avevo tradotto Sade con la ‘Nouvelle Justine’ per Guanda”, racconta al Foglio Pontiggia. “Finito quel lavoro, Giovanni Raboni mi chiese di tradurre le ‘Bagatelle’. Nessuno allora le conosceva. Non erano state pubblicate neanche in Francia. Le uniche traduzioni erano uscite nel periodo pre-bellico, traduzioni falcidiate, fascistizzate. Nessuno conosceva quel testo, così dissi di sì, non per i contenuti viscerali, intollerabili, ma perché amavo molto Céline per la sua lingua straordinaria. E anche le ‘Bagatelle’ erano davvero straordinarie da questo punto di vista. Raboni spinse per pubblicare e tradusse anche ‘Mea Culpa’, che era già apparso presso Scheiwiller nel 1975, tradotto da Delfina Provenzali. Il libro uscì con un’enorme eco, ne scrissero in tantissimi, toccando vari aspetti, non solo i contenuti, la Shoah e il comunismo. Ma anche sul tema della pubblicabilità, della censura, cosa significa essere uno scrittore. Il dibattito si era allargato al di là di Céline. In Francia si seppe subito e interdissero la pubblicazione. E il libro fu sequestrato di lì a poco tempo. Guanda avrebbe tradotto anche altri libelli se non fosse fallita, poi ricomprata da Longanesi. Ma la Guanda di allora non c’è più, con i suoi azzardi”.

 

Pontiggia sarebbe felice se oggi qualche editore ripubblicasse la sua traduzione delle “Bagatelle”. “Céline quando parla dell’ebreo indica l’uomo all’ennesima potenza, l’uomo come è. Céline odia l’uomo, come animale portatore di malattia, visse circondato da bestie a Meudon negli ultimi anni. Tutta la sua opera è un enorme attacco alla cultura umanistica, una grande disintegrazione degli ideali dell’umanesimo, a partire dalla stessa scrittura, dalla lingua. Céline è l’antiumanesimo. La Francia negli anni Trenta inoltre era un bacino di antiebraismo e Céline ripeteva le cose che diceva il francese medio. Zola era il coraggioso, non Céline. Anche personaggi come Blanchot sono stati coinvolti nella destra francese feroce. Sarei felice se ‘Bagatelle’ venisse letto. I suoi ebrei, i suoi comunisti, sono l’uomo per quello che è, nudo, disgustoso. ‘Io non amo gli uomini’. Detto con una potenza espressiva inaudita. Lo dice con una potenza tale che sembra vero. Forse è qui lo scandalo della censura. Quando traducevo le ‘Bagatelle’ andavo a verificare la documentazione che Céline riporta e vidi che tutto era falso. Mentre lui sta dicendo che l’uomo è un animale falso, Céline sta mentendo, si sta comportando da uomo, come lui vede gli uomini. Lui fa le stesse laidezze che imputa agli uomini. Ed è impossibile che non lo sapesse. Céline usa l’argot, la lingua del popolo, non la lingua dei signori, dell’intellighenzia. Siamo in una realtà oggi di populismi inquietanti, di politici come Trump, ma Céline faceva le stesse cose, parla come parlerebbe un popolano con una lingua dura, violenta, di menzogne, trite e ritrite, come se fossero vere”.

 

Possibile che, dal 1981 al 2018, nessuna casa editrice italiana si sia fatta avanti? “L’editoria attuale è più conformista di quella che era negli anni Settanta, quando si osava, si pensava in grande, mentre oggi si pensa a vendere libri, senza attitudine culturale”, continua Pontiggia. “Allora, quando tradussi le ‘Bagatelle’, si aveva un’idea molto forte dell’editoria, considerata al centro di una società. I piccoli editori avrebbero le forze di ripubblicare le ‘Bagatelle’? Raboni sapeva quello che faceva e in tanti, da Moravia a Cases, intervennero. Oggi forse neppure ci sarebbero intellettuali in grado di dire qualcosa di originale e fuori dagli schemi. E gli editori penserebbero, ‘cosa ci guadagno da pubblicare Céline’ o ‘cosa mi accadrebbe in termini personali’”.

 

Secondo Pontiggia, resta lo scandalo dell’unico libro scomparso nella storia della letteratura. “Perché dovremmo nascondere un libro e non trattarlo nella prospettiva di quello che è stato e che può essere? Considero assurdo che non si debba pubblicare perché, seppur con delle ragioni, qualcuno non lo vuole vedere in giro. Considero assurdo che si debba pubblicare il ‘Mein Kampf’ e non le ‘Bagatelle’. Allora, quanti sono i libri che non si devono pubblicare? Più i libri sono coraggiosi e potenti e più dicono cose terribili. Metà della Divina Commedia è terribile, pontefici che sono il demonio, come Bonifacio VIII, Dante mette all’inferno chi vuole. Maometto è una figura laida e disgustosa. In un mondo laico e aperto come il nostro, quali dovrebbero essere i criteri per censurare? Allora hanno ragione gli islamici a voler censurare e cancellare i versi danteschi sul loro Profeta?”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.