Anche quest'anno, sulle rive del Lemano, Artgèneve riesce a dare il meglio di sé

Sofia Silva

Delizie e curiosità sulla fiera d'arte contemporanea di Ginevra

Ginevra. Alle nove di ogni mattina una quarantenne dai capelli rossi percorre lesta il Pont des Bergues. Cigni, anatre, oche e gabbianelle la notano arrivare da cinquanta metri di distanza: è la rossa del pane; gli uccelli cominciano a cantare e starnazzare menando le ali nell’orgia. La donna si accosta all’acqua sulla sponda dell’Île Rousseau mentre i re bianchi accorrono avidi da ogni direzione. Più di duecento bestie del Lago Lemano avvolgono la loro rossa felice, la furia dei becchi le strappa brandelli del logoro bomber: questa la prima rivelazione offertami dalla città riformata durante i giorni di artgenève.

 

La fiera d’arte contemporanea e moderna, diretta da Thomas Hug, è al proprio settimo anno d’esistenza; presenta una selezione di gallerie d’arte di alta qualità, molte delle quali torneranno in occasione dell’immancabile fiera sorella artmonte-carlo (28-29 aprile). Per i profani che leggono queste parole si sappia che non tutte le fiere d’arte propongono buone selezioni galleristiche e artisti capaci; ma le giovani, emergenti, artgenève e artmonte-carlo costituiscono sempre più un’assicurazione.

 

Due splendidi dipinti di John McAllister pulsano nello stand della berlinese Wentrup: il pittore americano ha adattato la carnalità luminosa di Bonnard e Matisse ai colori della California, costantemente aprendo finestre metapittoriche in un gioco di autocitazioni tra una tela e l’altra. La galleria parigina In Situ – Fabienne Leclerc, tra lavori di Mark Dion, Ramin Haerizadeh e altri, scatena scenari caldi di carnevali arabi e giocose reliquie di passati europei (brilla, nell’accumulo di ricordi di Dion, un cachet del vecchio analgesico e antipiretico Kalmine). La torinese Franco Noero presenta una nutrita selezione d’artisti tra cui Francesco Vezzoli, Jim Lambie e Simon Starling, delineando in un turbinio d’opere la radicalità della ricerca che denota i nomi rappresentati e che dunque contraddistingue questa grande galleria italiana. La parigina 1900-2000 espone lavori novecenteschi tra cui alcuni chefs-d’oeuvre: un disegno di Man Ray stende una panciuta sardina al fianco di un nudo di donna, una macchiata telina di William Copley siede una pianista su un pitale da notte.

 

Tra le gallerie s’aggirano brillanti personalità del mondo dell’arte svizzero e monacense; la collezionista e ambasciatrice di artmonte-carlo Safia el Malqui e Cristiano Raimondi del Nouveau Musée National de Monaco osservano i gioielli di Suzanne Syz, preziosi topazi accolti in postmoderne montature di titanio; il geniale maestro dell’orologio François-Paul Journe cammina silenzioso mentre Joerg Bader del Centre de la Photographie de Genève s’aggiusta il variopinto fazzoletto nel taschino. Nel salotto dei talk, Anneliek Sijbrandij presenta la futura edizione 2018 del Verbier Art Summit, esclusivo momento di ricerca e di ritrovo per personalità eminenti dell’art world internazionale tra i ghiacci del Canton Vallese. In molti parlano con emozione della ventura artmonte-carlo in un clima di collaborazione e strategia.

 

Fuori da Palexpo e dalla fiera, Ginevra continua a dare il meglio di sé dimostrando quanto gli artisti svizzeri siano patrocinati, tutelati, favoriti, finanziati dall’impianto statale e dai privati; un sistema virtuoso in favore delle arti visive che in Italia è in parte inesistente. Partecipo al brunch offerto dalla banca Piguet Galland dove mi viene proposta una visita ai piani dell’istituto bancario: ogni stanza è arredata dal più sofisticato design svizzero, ogni muro accoglie un’opera di svizzero pittore. S’esibisce in una performance l’artista percussionista Serge Vuille che riformula l’uso di tamburo e violino ottenendo suoni inediti tramite movimenti magici e sciamanici sul dorso degli strumenti. Nel quartiere di Carouge visito la Fondazione Teo Jakob dove le opere d’arte collezionate dal pioniere svizzero del design sono esposte tra i mobili; il delizioso mercato di Carouge identifica il quartiere come zona cosy della città, difatti è in Rue Saint-Joseph che, piena di fascino e carisma, Mia Rigo ospita da Moi&Toi un aperitivo sui piatti di marmo di studioformart: la settimana dell’arte ginevrina celebra la multidisciplinarietà anche in materia di design e delizie culinarie.

 

Sulla silenziosa città vecchia cadono fiocchi di neve, penso all’eretico da me preferito, Michele Serveto, che qui fu bruciato; il temperamento mi porta a tornare lungo le sponde più desolate del Lemano, punteggiate da povere barche che recano nomi arrugginiti: Coeur Mature, La peur blanche, L’Atalante. Ricordo che nella mia precedente visita a Ginevra, in compagnia della cara amica artista Zara Idelson, avevo visitato la minuscola, radicale, Kunsthalle Marcel Duchamp, dormendo la notte tra misteriose tele di Louis Eilshemius che, ancora misconosciute, avevano attraversato l’Atlantico per arrivare qui, tra le rotte pennellate del lago.

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