Giuseppe Galasso, meridionalista crociano dall'approccio antideologico
Non era un intellettuale da esibire come fiore all'occhiello, ma una persona effettivamente impegnata e capace di battaglie anche non semplici. E' morto ieri a 88 anni
Giuseppe Galasso, morto ieri all’età di ottantotto anni, è stata una personalità assai versatile, storico di professione che assunse però importanti funzioni politiche e culturali, nelle quali si impegnò seriamente e talora assai efficacemente. Non era, insomma, un intellettuale da esibire come fiore all’occhiello, ma una persona effettivamente impegnata e capace di battaglie anche non semplici, come quella che sostenne per far approvare la prima legge di salvaguardia ambientale del territorio, ancora nota come legge Galasso.
La sua parabola culturale si iscrive nella grande tradizione meridionalista e crociana, che nella sua concezione sono rimaste intrecciate. La sua fedeltà alla lezione di Benedetto Croce, non acritica ma sostanziale, lo ha portato ad affrontare e approfondire sia temi storici già sollevati da Croce, come fece nei suoi trattati sulla storia medioevale e moderna del Mezzogiorno, sia ad affrontare esplicitamente in un saggio illuminante la dialettica tra l’impostazione culturale liberale e quella comunista soprattutto nell’interpretazione del Risorgimento in un saggio, uscito nel 1969, Croce, Gramsci e altri storici. Negli anni in cui le università erano percorse da movimenti di contestazione che in Italia assunsero tinte marxiste (magari nella variante maoista), Galasso ricordava l’origine dei totalitarismi: “Non avrai altro Dio all’infuori di me dicevano le nuove forze politiche; e ciò mentre ogni divinità sull’orizzonte del pensiero e dello spirito europei svaniva in una nebbia incerta e confusa. …Il totalitarismo del XX secolo esprimeva le forze, gli equilibri e i contrasti di tutta un’altra società, della società industriale e della società di massa nell’epoca della sua ormai piena maturità”.
Vale la pena di rileggere queste frasi per apprezzare una caratteristica del metodo analitico di Galasso. Pur nell’ambito di un ragionamento che puntava a denunciare le terribili conseguenze dei totalitarismi del XX secolo (che in quegli anni quasi nessuno declinava al plurale), Galasso ne ricerca le origini “oggettive” nelle trasformazioni economiche, la società industriale, e culturali, la società di massa. Cerca poi i punti in cui le concezioni divergono, senza accontentarsi di una lettura superficiale e persino troppo evidente delle distanze, ma cercando l’origine della differenziazione. Spiega che Gramsci parte “dall’accettazione della formula crociana della contemporaneità della storia. All’identità di storia e filosofia affermata dal Croce egli oppone una più radicale identità tra storia e politica … rifiuta di distinguere le ideologie (uguali secondo Croce a strumenti di azione politica) dalla filosofia”. La radice del totalitarismo, in questo caso comunista, viene indagata nelle sue radici materiali e intellettuali, con l’obiettivo di capire e di spiegare, che non ha nulla a che vedere con un atteggiamento di ostilità acritica.
Si tratta di una lezione importante e a lungo trascurata, soprattutto durante la lunga fase di storiografia “militante”, che naturalmente considerava l’approccio volutamente antideologico di Galasso una specie di vezzo passatista, quando non di dissimulazione di una scelta reazionaria. Nel suo saggio più recente, Storia della storiografia italiana. Un profilo (Laterza), Galasso fa un bilancio di questa lunga battaglia per depurare la ricerca storica dal predominio delle ideologie, naturalmente un bilancio critico e aperto, privo di asperità e di condanne, ma che rappresenta un lascito importante soprattutto per le nuove generazioni che si impegneranno nella ricerca storica. Un saggio in cui, a partire dalla storiografia medioevale, si vantano i pregi e l’originalità della storiografia italiana e si esaminano le più recenti tentazioni ideologiste, che vengono naturalmente criticate, ma non in uno spirito di astrattezza asettica, ma al contrario affermando l’organico ma non meccanico o ideologico rapporto tra ricerca storica e l’insieme della vita civile e culturale. Un modo nuovo e moderno per riprendere la lezione crociana della storia come storia del presente.