"Hitler contro Picasso e gli altri", la guerra per i tesori trafugati dai nazisti

Il 13 e 14 marzo esce nelle sale il documentario che racconta il sacco dell’arte perpetrato dal Führer

Claudia Casiraghi

Una congiura sotterranea correva parallela al massacro degli ebrei: distruggerne l’arte per soffocarne la cultura. Avesse potuto, Adolf Hitler avrebbe imbracciato le armi contro Vasilij Kandinskij, Henry Matisse, Francisco Goya, avrebbe dichiarato guerra alle avanguardie. Ma cancellare l’esistenza terrena dei pittori, liberi e innovativi, non fu cosa possibile. Ed Hitler, Führer della Germania Nazista, dovette accontentarsi di dare battaglia ai quadri. L’arte moderna, gli -ismi liquidati come “mode passeggere, degenerazione, caos”, fu messa al bando. Le gallerie saccheggiate, i musei depredati dalla furia del regime, le case razziate.

  

Il sacco dell’arte, sistematico e silente, divenne un’operazione centrale alla Seconda Guerra mondiale. Un modo per cancellare ogni residuo della cultura rivoluzionaria, rimpinguando le casse dello stato tedesco. Seicentomila, tra quadri, sculture e statue, furono le opere trafugate. Hitler tenne per sé le più belle e accordò ad Hermann Göring, suo pingue secondo, il privilegio di accaparrarsi le restanti: l’Astronomo di Vermeer, la Madonna con Bambino, il Ritratto di Bismarck. Dipinti celebri, finiti ad adornare le mura del suo castello, Carinhall, e fagocitati dall’appetito insaziabile di colui che Galeazzo Ciano, nei suoi quaderni, definì un “bue ciccione, che arraffava” tutto. “Quattrini, decorazioni”, produzioni poi rivelatesi false.

 

 

Hitler, con Göring, razziò l’Europa e nel 1937 varò le leggi sull’arte degenerata. Le abitazioni private dei collezionisti ebrei furono messe a soqquadro, le opere barattate con un visto d’espatrio o sottratte ai deportati. I Mondrian, gli Chagall, i van Gogh finirono appesi pochi passi più là della Casa dell’Arte Tedesca, nel luogo in cui il 19 luglio 1937 Joseph Goebbels inaugurò la Mostra d’Arte Degenerata.

 

L’idea, come raccontato nel documentario "Hitler contro Picasso e gli altri", nei cinema italiani il 13 e 14 marzo, era di esaltare la purezza e il benessere. I valori dell’arte classica, di un’estetica tradizionale contro la quale, minacciosa, si stagliava la deformità del cubismo, l’impressionismo, l’astrattismo. La mostra, allora, fu portata a spasso, così che dodici città, disperse tra la Germania e l’Austria, potessero vedere quali orrori i “cialtroni” custoditi nelle case degli ebrei avessero messo su tela.

 

Fu solo otto anni più tardi, con la fine della guerra, che le opere vennero parzialmente ritrovate, nascoste nelle abitazioni dei mercanti d’arte collusi al partito, occultate nelle miniere della Germania nazista. I Monuments Men le riportarono alla luce, ma raramente le restituirono alle famiglie di origine, il cui calvario – umano e burocratico – è la scoperta più interessante del documentario.

 

"Hitler contro Picasso e gli altri", diretto da Claudio Poli e in onda su Sky Arte nella seconda metà del 2018, racconta attraverso la voce tonante di Toni Servillo il dolore degli eredi. Dei Rothschild sopravvissuti allo sterminio, dei Gutmann migrati in America e là diventati Goodman. Di Anne Sinclair, erede dei Rosenberg, che il Ritratto di Signora dipinto da Matisse ritrovò in una cassetto fetido di casa Gurlitt, quando Cornelius, figlio del mercante d’arte nazista Hildebrand, venne fermato nel 2013 dalle autorità tedesche.

 

“La restituzione è un problema attuale, spinoso”, ha spiegato l’avvocato Christopher Marinello, che con la propria associazione Art Recovery International assistette la Sinclair. “Ci vollero diciotto mesi per recuperare quel Matisse, un pezzo del valore di 24-25 milioni di euro. Spesso mi sento dire che gli ebrei sono già ricchi, che di ulteriori tesori non hanno poi grande bisogno. Ma l’arte, quest’arte – ha continuato Marinello – non è denaro. È un modo per ricongiungersi alle proprie radici, di pacificare un passato tragico, superandolo”. Perché, come disse Pablo Picasso all’ufficiale della Gestapo che si prese la briga di interrogarlo sulla Guernica: “L’artista è un politico, la pittura uno strumento di guerra offensivo o difensivo contro il nemico”.

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