L'arte è un numero
L’artista non vive soltanto nell’impalpabile tempo dell’ispirazione, in attesa di un colpo di genio Elogio della sezione aurea, senza la quale non avremmo avuto molti pittori, musicisti e poeti
Praticare strade a rovescio, patire l’insofferenza dello stare al credo del sentito dire, sviare le tristi vicende prive del torbido fascino del luogo comune, porre distanze non misurabili tra noi e le banalità malinconiche di cui è infarcito l’ambiente vago della creatività contemporanea.
Più di mille son le acute spine del pressapochismo che avvolgono il favoloso mondo dell’arte. Brilla poi di luce propria – opalescente e sinistra – quella della figura dell’artista inteso come sacerdote intento a celebrare quel rito solipsistico, che a nessuno pare interessare e di cui spesso nessuno conosce il significato. Mitologia fasulla che fa sovente il paio – poiché a essa strettamente legata – alla tesi per la quale la creatività sarebbe in contrasto netto con la razionalità.
Si vuole l’artista costretto a vivere l’impalpabile tempo dell’ispirazione, l’ora in cui scoccherebbe la magica scintilla del genio. Si sa! Spesso il miracolo avviene nelle buie notti di tempesta squarciate da lampi sinistri!
Si vuole l’artista costretto a vivere l’impalpabile tempo dell’ispirazione, l’ora in cui scoccherebbe la magica scintilla del genio
Anche poesia e musica han da fare col numero d’oro: Bach, Debussy, Ravel, Bartok… e anche nei versi Baudelaire
Per tentare di contrastare simili silliness conviene cominciare col dire che l’arte ha da sempre messo in scena invece immagini strettamente connesse alle teorie scientifiche e dunque alla ragione.
Dal disegno geometrico, materializzazione di quella visione galileiana, con il quale, come ricorda Piergiorgio Odifreddi, “la natura come libro scritto opera un linguaggio avente per lettere poligoni e cerchi e per penne gli strumenti classici della geometria euclidea: la riga e il compasso”.
L’idea pitagorica per la quale alcuni rapporti armonici si possano esprimere attraverso rapporti di numeri interi risultò limitata e non giustificata. Quella teoria venne sconfessata dalla scoperta di quelli che furon chiamati numeri irrazionali, uno dei quali come si vedrà, ha non poco da fare con la creazione artistica attraverso i secoli.
Il crollo della fede pitagorica vacillò alla scoperta del fatto che il rapporto geometrico fra la diagonale e il lato del quadrato non può essere ridotta ad un rapporto tra numeri interi. Ovvero si può dire ad esempio che la radice quadrata di 2 è – appunto – un numero irrazionale. Tutti ricordano che uno dei più famosi numeri irrazionali è il π pigreco, numero dato dal rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il diametro: 3,14159…
I numeri degni di nota sono davvero tanti ma qui si deve parlare di un numero speciale che per secoli ha affascinato personaggi della cultura e che si può dire sia stato un elemento portante della creazione artistica per lo meno dall’antico Egitto ai giorni nostri. Il nostro è un numero irrazionale che la matematica scrive con 1+√5/2 ovvero con un numero infinito 1,6180339887…. ovviamente con infinite cifre decimali. Questo numero, indicato dal matematico americano Mark Barr con la lettera greca fi, forse in onore al grande scultore greco Fidia. Un numero straordinario e dotato di proprietà cariche di bellezza e armonia da meritare presto vari appellativi quali quello di numero d’oro, sezione aurea, divina proporzione. In geometria si tratta anche del rapporto tra la diagonale di un pentagono regolare e un suo lato, rapporto che rimane costante qualsiasi dimensione possa avere il pentagono.
Erodoto di Alicarnasso dice nelle sue Storie che sentì raccontare da sacerdoti dell’Antico Egitto come la Piramide di Cheope a Giza fosse stata costruita sulla base delle misure auree. Nella piramide non solo l’apotema e metà del lato di base sono uguali al numero d’oro ma è anche possibile tracciare attraverso la piramide un quadrato esoterico basato sul numero d’oro.
Si può dire però che gli artisti e gli architetti avevano da tempo non solo intuito ma messo a frutto le straordinarie capacità di quel rapporto armonico tanto perfetto.
Ad Atene, nel V secolo avanti Cristo, su iniziativa del generale ateniese Pericle fu costruito con la supervisione dello scultore Fidia il Partenone. I costruttori rispettarono proprio le proporzioni auree, infatti dividendo le misure del lato maggiore per il lato minore dei rettangoli di figura si ottiene il numero d’oro.
I veri rapporti riscontrabili con documenti hanno però luogo principalmente in epoca rinascimentale. Son questi gli anni in cui ci si appresta anche a fornire una concreta teorizzazione razionale dell’atto creativo. L’interesse intorno al numero d’oro può essere ascritto al De Divina Proporzione, trattato di Luca Pacioli e pubblicato a Venezia nel 1509. Da Venezia Pacioli, su invito di Leon Battista Alberti, si spostò prima a Roma e poi – ammesso alla corte di Ludovico il Moro si recò a Milano dove conobbe Leonardo da Vinci.
Il fondamentale studio di Pacioli fu stampato arricchito artisticamente dai solidi platonici disegnati da Leonardo e iniziò a divulgare a una platea molto più vasta d’intellettuali l’esistenza del numero e di alcune delle sue numerose proprietà. Proprio quel libro eclissava la definizione euclidea, unica dicitura con il quale veniva chiamato, con l’invenzione di una del tutto nuova di Proporzione Divina.
In quello studio Luca Pacioli esprime chiaramente il valore e l’importanza che ebbero in campo artistico gli studi matematici di Leonardo.
Fu proprio nel Rinascimento che l’interesse di artisti e scienziati iniziò a fondersi intorno alla ricerca di una visione razionale, armonica e prospettica. Nel 1495 Leon Battista Alberti col suo De Pictura delineò in maniera incontrovertibile le regole della rappresentazione legate alla prospettiva e quindi ad un insieme di regole matematiche e geometriche. Indicazioni precise agli artisti come “il primo requisito del pittore è conoscere la geometria”, e anche “il quadro è una finestra aperta attraverso la quale si vede l’oggetto dipinto”.
Facile ma fondamentale allora rileggere i capolavori rinascimentali usando anche l’occhio razionale e ritrovare in Leonardo, Michelangelo, Botticelli e soprattutto Pier della Francesca la messa in pratica della divina proporzione che scopriamo diffusa – insieme alla geometria prospettica – nelle costruzioni nelle opere d’arte, pitture su tavola, tela, affreschi o delle sculture. Grande artista e grande ricercatore fu Albrecht Dürer, che visse in Italia dal 1505 al 1507 e a Bologna raggiunse Luca Pacioli per prendere lezioni di matematica e di prospettiva, quelle lezioni che a Venezia gli aveva negato – pare – Jacopo de Barbari considerandole come un segreto da proteggere.
Il modello ideale di bellezza e di regola rappresentato dalla proporzione divina non sta soltanto nella costruzione astratta e intellettuale che l’uomo ha saputo trarre dai rapporti matematici e geometrici. In maniera quasi inspiegabile e magica quelle relazioni le ritroviamo nel mondo intorno: fiori, alberi, animali han da fare in maniera diretta e profonda con la sezione aurea. Il regno vegetale rivela ad esempio, come moltissimi fiori abbiano cinque petali la cui estremità son disposte ai vertici di un pentagono regolare. Quasi tutti i fiori sono composti di un numero di petali corrispondente a un numero di Fibonacci, e ciò ci riporta proprio al numero d’oro. Questa serie numerica scoperta da Leonardo Fibonacci, matematico pisano, nel tredicesimo secolo inizia con 1 e 1. Tutti i numeri che seguono altro non sono se non il numero generato dalla somma dei due numeri precedenti: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13…
Ciò che risulta straordinario è poi che il quoziente fra un qualunque numero ed il suo antecedente, man mano che si sale nella successione, s’avvicina sempre più a quell’1,618 del numero d’oro.
Per mettere in relazione più diretta la sezione aurea e la creazione artistica in campi diversi ma più legati alla modernità conviene analizzare ad esempio l’opera del pittore francese Georges Seurat. La sua idea del cromo-luminarismo, quella sua tecnica coloristica in parte basata sulle ricerche chimiche di Eugene Chevreuil lo indirizza verso quello che con una definizione limitante è stato chiamato impressionismo scientifico. La sua teoria pointilliste che realizza la mescolanza retinica dei colori si basa in realtà – dal punto di vista – compositivo su solide forme umane e paesaggistiche costruite con ampio uso delle misure auree. La sua opera La Parade del 1888 mostra con chiarezza la definizione strutturale dell’opera nella quale s’individuano i molti rettangoli aurei.
Anche il pittore Gino Severini a seguito dei suoi studi sull’arte rinascimentale iniziò a sviluppare un rinnovato vigore geometrico proprio fondato sulle regole auree. Già negli anni 1917 e 1918 nella sua collaborazione con la rivista De Stijl Severini si è occupato di teoria e negli anni 20 pubblica uno studio dal titolo Du Cubisme au Classicisme in cui si dimostra molto interessato alla ricerca di bellezza e armonia, sentimenti che il clima culturale europeo vagheggia dopo gli orrori del primo conflitto mondiale.
Salvador Dalí nella celeberrima opera Il Sacramento dell’Ultima Cena del 1955 realizza una tela le cui dimensioni sono quelle del rettangolo aureo e altri rettangoli aurei compaiono nel comporre le figure. L’opera è sovrastata da un grande dodecaedro le cui facce pentagonali suggeriscono immediatamente la sezione aurea.
Fu proprio nel Rinascimento che l’interesse di artisti e scienziati iniziò a fondersi intorno alla ricerca di una visione razionale e armonica
Non soltanto la matematica, ma la realtà tutta: fiori, alberi, animali han da fare in maniera diretta e profonda con la sezione aurea
Il lungo viaggio attraverso l’arte moderna a dimostrazione dell’uso degli elementi razionali trova una stazione di tutto riposo nell’opera di Piet Mondian.
Mondrian fondò con Theo van Doesburg il gruppo De Stijl, quel neoplasticismo i cui aspetti teorici comprarirono a stampa tra il 1917 e il 1918 in undici interventi sulla rivista omonima. Scriveva Mondrian: “Costruisco combinazioni di linee e colori su una superfice piatta in modo da esprimere una bellezza generale…”.
Modulor è una scala di proporzioni inventata dall’architetto svizzero Le Corbusier. Con studi da Vitruvio, Leon Battisti Alberti e Leonardo, Le Corbusier tenta di trovare proporzioni armoniche sia in senso di pura estetica quanto sotto l’aspetto della funzionalità. E’ questo anche il tentativo di trovare proporzioni matematiche all’interno del corpo umano.
Il sistema è basato sulle misure umane, la doppia unità, la sequenza di Fibonacci e la sezione aurea. Le Corbusier le descriveva come “una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all’architettura e alle cose meccaniche”. La stessa definizione di Modulor nasce dall’insieme di due parole: modul e or, quindi modulo e numero d’oro.
Non si può parlare soltanto di pittori e architetti si deve ricordare che anche poesia e musica han da fare col numero d’oro. Il compositore Roman Vlad scrive: “Esempi dell’uso dei numeri di Fibonacci si hanno nell’arte della fuga ed in Johann Sebastian Bach… e ricompaiono nella maggior parte delle musiche di Debussy ed in Ravel… così come in Bela Bartok, l’esempio più stupefacente di applicazione su larga scala degli schemi improntati alla proporzione aurea è dato dalla Saga della Primavera di Stravinsky”.
Il matematico Federico Peyretti, che da tempo studia i rapporti arte-matematica, ci ricorda dove e quanto i rapporti aurei siano strettamente connessi alla poesia. Baudelaire in Le Serpent qui danse compone versi di otto e cinque sillabe “Comme un navire qui s’éveille / Au vent du matin, / Mon âme rêveuse appareille / Pour un ciel lointain”. Umberto Saba compone Nostalgia con due gruppi di otto e di cinque versi. L’invenzione dei fibs, una forma poetica vicina agli haiku proposta nel 2006 da Gregory K. Pincus che scrive versi con un numero di sillabe corrispondente ai numeri di Fibonacci: One / Small / Precise / Poetic / Spiraling mixture: Math plus poetry yields the Fib.
Viaggio sommario che davvero merita analisi ampie e profonde, viaggio fatto di oggettività scientifica e di genialità applicativa ad opera di artisti che hanno spaziato in tutti i campi della creatività.
Parrà una curiosità sapere che persino il grande regista Sergej Michajlovič ĖEjzenštejn metta in pratica e dichiari un esteso uso della sezione aurea in molte scene della Corazzata Potëmkin con una scansione ritmata su quei rapporti matematici a cominciare dalla lunghezza della pellicola sulla quale quelle scene sono state girate.
Davvero allora, come suggerisce Francisco Goya: El sueño de la razón produce monstruos.