Bufale letterarie
Paolo Di Stefano non fa critica ma critica chi la fa. Troppo facile, soprattutto per chi non osa mai giudizi
Non avendo io energie sufficienti per correggere tutte le fake news che girano per il mondo, mi limito egoisticamente a respingere un paio di calunnie letterarie (poco male, c’è di peggio!) che mi vengono lanciate contro da Paolo Di Stefano in un suo articolo sul Corriere del 27 marzo. Ecco le due cose fondamentali che (stando a Di Stefano) i lettori del Corriere devono sapere di me. Parole sue: “Berardinelli non fa che sparare nel mucchio: la poesia fa schifo e la narrativa è solo ambizione e narcisismo”.
Tutto qui? Volgarità a parte, non c’è male. Nel titolo dell’articolo di Di Stefano si parla di “critica che non c’è”, echeggiando un mio intervento apparso domenica 24 marzo sul Sole 24 Ore. In effetti, in quello che scrive Di Stefano non c’è traccia di critica. I quattro quinti del suo pezzo sono dedicati a denunciare le classifiche dei libri più venduti e il Premio Strega: cioè lo strapotere ipnotizzante del mercato in letteratura, nonché le sfacciate pressioni e manovre editoriali nell’assegnazione dei premi.
Bene. Dunque c’è bisogno di critica… Ma quanto al fatto che un libro di Matteo Marchesini sia stato rifiutato recentemente dalla Bompiani-Giunti perché conteneva alcune stroncature (di Moresco, Scurati e Montesano), Di Stefano non fa parola. Belli i tempi in cui i critici stroncavano e se ne prendevano la responsabilità, egli sospira. Ma se poi qualcuno, oggi, prova a fare critica in dettaglio o in generale, se ne tace il nome (questo è Marchesini) o lo si tratta da inattendibile facinoroso (e questo sarei io).
Ma si sa che trattare male i critici non costa niente: soprattutto se, come me, per ragioni di bassi compensi, non recensiscono più narrativa italiana (Di Stefano è un narratore) e se è noto che possono essere stimati, sì, ma da non più che dieci persone, mentre sono odiati da mille.
Caro Di Stefano, non sai quanto ti giova aver detto che a me “la poesia fa schifo”! Hai liberato centinaia di autori di versi e alcuni editori dal fastidio di ricordare che mi occupo di poesia italiana, novecentesca e attuale, da circa quarant’anni. Ne sai per caso qualcosa? Sarei uno che si occupa perversamente di qualcosa che gli fa schifo? Da cosa deduci che si tratta di schifo per la poesia? E che cos’è (se puoi dirmelo) questa platonica entità di comodo che sarebbe la Poesia, che tutti dicono di amare e da cui si sentono garantiti indipendentemente da quello che scrivono? Ti sei mai seriamente occupato di poeti contemporanei e della situazione nella quale scrivono? Hai rischiato dei giudizi? Ami tutti i poeti? Per onorare in loro la generica denominazione di poeta con cui chiunque può definire se stesso? Credi che la poesia esista come valore immutabile nei secoli, sempre identico a se stesso, da Pindaro a Leopardi a B. a C. a D… a V. a Z.?
Chi ha detto (non io) che “la narrativa è solo ambizione e narcisismo”? Io non ho niente contro l’ambizione e rispetto anche un certo narcisismo, inevitabile in arte se tenuto a bada da un po’ di intelligenza e di spirito. Ogni artista è, anzi dovrebbe, deve essere, ambizioso. Il difetto oggi è che carente è proprio la vera ambizione (scrivere il libro giusto meglio che si può). Per soddisfare l’ambizione non dovrebbe esserci bisogno di pubblicare libri di mille pagine come ormai sembra obbligo. Pare che a più di un romanziere, oggi, interessi per prima cosa ingombrare fisicamente banconi e vetrine dei librai. Produrre monumentali mattoni di carta scritta guardando i quali, più che voglia di leggerli, diventa sempre più facile che al lettore venga da pensare: allora perché non rileggere Don Chisciotte, i Karamazov, Anna Karenina, la Recherche, L’uomo senza qualità…? Con il “grosso libro” i nostri narratori vogliono farsi paura l’uno con l’altro. Fingono le dimensioni del bestseller. La paura in realtà la fanno ai lettori.
Quanto ai poveri critici, quale compenso sarebbe adeguato per recensire un romanzo di mille pagine? Mille euro basterebbero? La prossima volta che qualcuno si aspetterà di essere letto o recensito da me, gli chiederò quali libri miei lui ha letto: se saranno meno di tre, rimanderò il suo al mittente.