Perché a Murano il vetro è diventata un'eccellenza globale da esportazione
Dal medioevo al futuro. Scuola, museo, design e Glass week
Venezia. Sostiene il paesaggista e botanico francese Gilles Clément che è nelle isole che si conserva meglio la biodiversità, in particolare le specie animali e vegetali che poi restano uniche con l’andare del tempo, come le iguana delle Galapagos o i vigneti sardi mai intaccati dalla filossera. Il ragionamento si può applicare tranquillamente anche alle specie della vita umana o meglio alle sue specialità. Ecco perché nell’arcipelago veneziano, l’isola di Murano (che poi è un piccolo arcipelago a sua volta) è riuscita a specializzare e conservare per così tanti secoli l’arte del vetro, ormai scomparsa nel resto d’Italia, arrivando nel 2016 a veder ufficialmente riconosciuta la scuola del vetro Abate Zanetti fondata nel 1862 come un Istituto Tecnico Superiore (cinque anni più diploma). L’abate Zanetti fu un animatore culturale oltreché un educatore: fra l’altro fondò un giornale, “La voce di Murano”, e anche il museo vetraio oggi di proprietà comunale; per cui oggi chi va a Murano trova oltre a questi enti e all’Istituto anche una serie di altre associazioni, piccole aziende e altre realtà artigianali dell’arte vetraria muranese che tutte insieme formano un piccolo arcipelago nell’arcipelago, quello delle istituzioni legate al vetro.
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Nella Scuola del Vetro Abate Zanetti si tengono anche corsi aperti ad allievi internazionali, che riguardano le diverse tipologie delle lavorazioni muranesi ovvero lume, vetrofusione e fornace; come ad esempio alcuni studenti dei corsi dedicati al vetro della Boston University.
Per troppo tempo infatti, quando Venezia era meta principale delle lune di miele degli italiani come si evince dalle commedie all’italiana da Dino Risi a Carlo Verdone, si è stati indotti a pensare all’arte del vetro come un’arte minore, nota più che altro per i suoi cascami come i souvenir, i pagliaccetti di vetro che molti ricordano. Ovviamente non è così e non lo è mai stato veramente: non a caso i pezzi muranesi sono presenti in tutto il mondo sia nelle grandi residenze reali sia nei grandi teatri delle capitali europee sia nei musei internazionali come il Corning Museum of Glass di New York.
Non si contano infatti i grandi artisti e designer che hanno modernizzato la produzione traghettandola nella modernità: basti ricordare la visita di Frank Lloyd Wright a Murano, quando ricevette la laurea honoris causa dallo IUAV nel 1951. Il maestro acquistò quasi tutti gli oggetti in vetro disegnati da Carlo Scarpa negli anni Trenta, quando lavorava per Venini. O ancora ai vetri muranesi incorporati in alcuni oggetti di Lucio Fontana, alle bizzarre figure vitree disegnati da Ettore Sottsass esposte solo lo scorso anno all’isola di San Giorgio o infine agli splendidi e modernissimi gioielli in vetro delle sorelle Marina e Susanna Sent.
Ecco perché avere un museo pubblico unico nel suo genere vicino a una scuola privata è una fortuna nei tempi dell’alternanza scuola-lavoro in cui viviamo. Si parla tanto di Made in Italy, ma poco o pochissimo è stato fatto per nobilitare il lavoro dei distretti industriali italiani con ad esempio dei musei aziendali o musei di una specifica attività come invece l’AutoMuseum Volkswagen a Wolfsburg o la Cité du vin recentemente inaugurato a Bordeaux. Studiare e lavorare sul vetro a Murano al giorno d’oggi, potendo guardare dal vivo tutto il repertorio dei sette secoli di produzione muranese, dai manufatti dei primi abitanti dell’isola provenienti da Altino o Torcello ai grandi innovatori dell’800 e ’900 – cioè prima del design quando grandi artisti come Vittorio Zecchin o Guido Balsamo Stella fecero dell’arte vetraia un campo di sperimentazioni delle arti applicate tra Secessione viennese, Liberty e Art Deco – fino a Livio Seguso, attuale direttore artistico dell’Istituto Abate Zanetti. Seguso, discendente da una delle antiche famiglie muranesi come i Barovier, è oggi uno dei molti bravi maestri, ma non moltissimi numericamente, rimasti dopo la scomparsa recente di Pino Signoretto.
Aprire la scuola a contatti con altre università straniere dunque è utile soprattutto per emancipare questo mestiere dall’atavica tendenza a rinchiudersi solo nella formazione di bottega come è sempre avvenuto nel corso della sua storia secolare: lungo apprendistato e lunghissimo affinamento delle proprie capacità (ogni maestro ad esempio ha un servente e un serventino) un po’ come accadeva nelle botteghe artistiche rinascimentali – Michelangelo che va tredicenne in quella del Ghirlandaio, Leonardo dal Verrocchio ecc. Un modello efficace, certo, ma fragile perché in grado di produrre pochi e ottimi maestri senza preoccuparsi troppo del necessario ricambio generazionale. I tempi sono cambiati da quando la Serenissima aveva dapprima confinato a Murano tutte le fornaci dei vetrai per evitare gli incendi che troppo spesso si propagavano per la città, che nel medioevo era per lo più fatta di legno, e in seguito obbligato i mastri vetrai alla residenza coatta per evitare che i segreti delle ricette del vetro e in particolare della lavorazione degli specchi (per secoli un’esclusiva della Repubblica custodita sotto minaccia di pena di morte) in cambio di qualche piccolo privilegio come dare ai maestri il diritto di sposare delle rampolle nobili. Oggi invece, con lo spopolamento di Venezia, Murano ha circa quattromila e cinquecento abitanti e valorizzare le sue istituzioni e particolarità, approfittando delle opportunità che la globalizzazione offre è divenuto essenziale. Ecco perché le collaborazioni con università e associazioni straniere come l’americana Glass Art Society (dal 16 al 19 maggio), il Premio Murano ripristinato dopo anni di rimozione, le residenze d’artista, la Glass week (9-16 settembre) possono far evolvere e traghettare l’arte vetraria nel XXI secolo compatibilmente con le nove esigenze della globalizzazione.